CIE e CARA costituiscono il business di una cooperativa che rosica: Auxilium

Abbiamo appreso dal web che la Polizia postale, su denuncia della cooperativa Auxilium, ha posto sotto sequestro una pagina del sito dinamopress.it, sulla quale veniva riportato il comunicato di un’azione alla sede romana della suddetta cooperativa.

Mentre il CIE di Ponte Galeria è a tutt’oggi sotto i riflettori della stampa e dei media di regime, il CARA di Castelnuovo di Porto, seppur con le potenzialità di rompere gli argini che costringono i richiedenti asilo in un limbo giuridico che permette alle cooperative di lucrare, è stato immediatamente ricacciato nell’ombra dopo la dura repressione delle proteste avventue a maggio e giugno di quest’anno.
Da una parte l’intervento celere del direttore del CARA, che convocati tutti gli immigrati ha promesso migliorie, dall’altra la mano pesante dello Stato che, a distanza di un mese circa, ha individuato chi partecipò alle proteste procedendo con l’espulsione dalla struttura e dall’intero circuito nazionale di “accoglienza”.

Informare: in che modo, a che scopo?

Chi gestisce il CIE di Ponte Galeria ha spesso accettato amichevolmente le numerose delegazioni, con secchiate di giornalisti al seguito, che si affannano a trovare il “caso umano” da salvare, la storia struggente da raccontare, elogiando spesso il carattere umano dell’ente gestore di turno e del personale in servizio.
Un ambiente artificiale dove le minacce a chi racconta episodi scomodi, accompagnano le delegazioni in qualsiasi luogo di detenzione.

Interviste, dossier, foto, documentari, film, pietà e promesse, tante promesse.

Se il “modello Maroni”, che nega l’ingresso alle delegazioni, può funzionare in momenti d’estrema turbolenza sebbene inciti il coro della “libertà d’informazione”, nel quotidiano un’informazione main stream che si auto-annulla, può tornare utile per normalizzare l’esistenza di lager moderni e semmai orientarne una riforma.

“Si sono cuciti le bocche!” e subito c’è qualcuno pronto a dire: “è cucita poco e possono mangiare e bere, oppure, è un gioco da ragazzi, è fil di ferro, è tutto falso”.

“Hanno ingoiato le lamette!” e subito qualcuno scrive: “Ma quale lametta! il trucco è semplice e vecchio come il cucco”.

Anche se fosse in buona fede, la mediaticizzazione della prigionia nei CIE e le promesse di fare il possibile per “salvare un caso” dalle gabbie del lager, cristallizza l’esistente, non racconta le radici schiaviste della macchina delle espulsioni, si sofferma spesso sulla retorica antirazzista e orienta verso modalità “consone” ed individuali, la protesta.

Se usiamo questi toni è perché proviamo profondo strazio davanti le centinaia di gesti estremi di autolesionismo che abbiamo sentito raccontare dai reclusi e dalle recluse, ma riconosciamo la tenacia di chi, anche individualmente, le prova tutte per conquistarsi la libertà.

Quello che probabilmente l’Auxilium e lo Stato vogliono evitare è che le lotte, che hanno distrutto intere sezioni dei centri causandone la chiusura, possano crescere, avere il supporto solidale e finire l’opera di smantellamento prima di una riforma che omologhi tutti i CIE a delle carceri ad alta sorveglianza, come quello in via Corelli a Milano.

Detto in parole semplici, l’Auxilium rosica forte perché l’immagine umana che vorrebbe accreditarsi, viene spesso sfregiata dalle rivolte e dalle evasioni che la cooperativa preferirebbe risultassero “immotivate” e “inaspettate”, senza la narrazione della quotidiana brutalità dei CIE.

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