CIE di Ponte Galeria – Ennesima delegazione per normalizzare sfruttamento, prigionia e frontiere

Riceviamo e pubblichiamo.

Ieri mattina i detenuti e le detenute di Ponte Galeria sono stati/e svegliati/e dagli operatori di Acuarinto presi dalla smania di pulizie straordinarie. Secchi alla mano, hanno cercato di dare una parvenza di igiene al lager. Le celle delle donne sono state aperte prima del solito, le suore di un’associazione contro la tratta hanno intonato una preghiera nel corridoio e poco dopo ha fatto il suo ingresso il sindaco di Roma scortato da delegati del Comune e da un ingente spiegamento di forze dell’ordine. Marino si è unito al coro delle suore e ha poi passeggiato lungo il corridoio, in alcune celle e nella mensa per qualche oretta. Alla fine della visita, ha promesso alle detenute che prenderà sul serio le loro richieste di libertà perché ha molto a cuore la sorte delle donne vittime di tratta.

Nel frattempo al maschile un ragazzo si cuciva le labbra in segno di protesta e nessuno accorreva a soccorrerlo se non i compagni di cella e alcuni operatori che non sapevano cosa fare. Il ragazzo è rimasto due ore sanguinante nella sua cella, mentre l’attenzione della cooperativa e delle guardie era rivolta alla sezione femminile dove Marino era impegnato a cantare e passeggiare in nome della libertà per le vittime di tratta. Questa ennesima ipocrisia quando appena un mese fa un tribunale non si è fatto alcuno scrupolo a prorogare la detenzione di 52 donne nigeriane, internate a Ponte Galeria poco dopo lo sbarco a Lampedusa senza che fosse data loro alcuna spiegazione né la possibilità di chiedere protezione internazionale da libere.

La retorica sulle vittime di tratta è servita a giustificarne la detenzione in un lager: se non le tratteniamo nel Cie, potrebbero finire in strada nelle mani di sfruttatori. La stessa retorica serve a separare le migranti buone e ingenue (le vittime) dalle migranti e dai migranti furbi, quindi da criminalizzare, che migrano per volontà e non per obbligo.

Certamente molte donne migranti subiscono violenze di ogni genere e, una volta arrivate qui, sono obbligate a prostituirsi per ripagare il debito contratto per il viaggio. Ma queste storie vogliamo sentircele raccontare dalle donne che le vivono e non da chi usa strumentalmente la retorica della vittima di tratta per tratteggiare l’immagine di una migrante sprovveduta e bisognosa di salvezza.

Ciò che questa immagine nasconde sono i fattori complessi che ne stanno alla radice: un momento di flusso migratorio femminile intenso, la femminilizzazione della povertà, la globalizzazione dell’industria del sesso e l’esistenza stessa delle frontiere che criminalizzando la mobilità di moltissime persone creano le condizioni dello sfruttamento.

Il vero scopo delle campagne anti-tratta è quello di inasprire le leggi sull’immigrazione e i controlli alle frontiere, giustificare le retate antidegrado e le deportazioni di massa.

Proprio il sindaco Marino è uno dei sostenitori dello “zoning”, con cui si vuole contenere il lavoro sessuale in determinate zone della città, delimitandole con check-point e militarizzazione: un processo di pulizia e decoro delle strade, attraverso l’inasprimento dei controlli sulle sex workers. Con lo “zoning”, oltre a controllare costantemente chi lavora nell’industria del sesso, si spingerà chi è senza documenti in regola a lavorare isolatx, con una sovraesposizione alle violenze, allo sfruttamento e alle retate della polizia che produrranno solo prigionia nei CIE e deportazioni.

I percorsi di protezione che accompagnano le donne dall’uscita del circuito della tratta, sono unicamente istituzionali. Percorsi che permettono, ad alcune, di uscire dalla gabbie del CIE ma non da quelle dello stigma, del pregiudizio e della vittimizzazione. La violenza istituzionalizzata, infatti, tornerà a differenziare le donne redente, da quelle che resteranno nell’illegalità.

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