Grecia – Una donna e suo nipote morti nell’incendio della loro tenda nell’hotspot di Moria a Lesbo.

moriaUna donna di origine irachena di 60 anni e suo nipote di sei anni sono morti nell’incendio scoppiato nella notte di mercoledì 23 novembre, nella zona dove vivono sopratutto curdi iracheni, nell’hotspot/ centro di detenzione di Moria, sull’isola greca di Lesbo. Altre 12 persone sono rimaste ferite, 2 delle quali in modo grave: si tratta di una donna 25enne e un bambino di quattro, trasferiti in un ospedale di Atene a bordo di un aereo militare. Gli altri 10 feriti, invece, sono stati portati in ospedale a Lesbo.

moriaLe cause dell’incendio non sono confermate, ma secondo le prime ricostruzione potrebbe essere stato causato dall’esplosione di una bombola di gas avvenuta mentre la donna provava ad accenderla. Poco dopo l’esplosione, l’incendio si è propagato rapidamente in tutto il campo prima di essere spento dai vigili del fuoco.

moria2Dopo che la notizia si è diffusa violenti disordini sono scoppiati nel campo tra le persone recluse nel centro e la polizia antisommossa; la stampa mainstream ha nuovamente ribaltato i fatti sostenendo che la morte della donna e dei suoi figli fosse la conseguenza dei disordini nel campo e non la causa.

I responsabili di queste ennesime morti sono i Governi europei, che costringono, a Lesbo come altrove, decine di migliaia di persone a vivere recluse in campi sovraffollati, senza nemmeno la possibilità di riscaldarsi o cucinare se non ricorrendo a rischiosi mezzi di fortuna.  Negli ultimi mesi il centro di detenzione di Moria è stato ripetutamente teatro di scontri fra rifugiati e polizia e vi sono avvenute diverse proteste, le più recenti riportati qui di seguito:

9 settembre, scontri tra i migranti e la polizia nell’hotspot di Moria: inizialmente a causa di 500 persone lasciate senza cibo, poi in seguito i migranti hanno sentito parlare di voci su 8 profughi morti in un container nel porto di Mitilene. Quando la polizia ha rifiutato di fornire ai migranti informazioni circa queste morti, sono cominciati nuovi scontri.

19 settembre, nell’hotspot di Moria a Lesbo, verso mezzogiorno,  ha avuto luogo una fuga di massa di circa 300 persone, pare in seguito alla circolazione di notizie su prossime deportazioni verso la Turchia (la più recente deportazione dall’isola era avvenuta l’8 settembre e aveva riguardato 13 persone provenienti da Pakistan, Iraq, Yemen, Algeria, Palestina e Libano) I 300 in fuga dal centro di detenzione si sono diretti in corteo verso Mitilene, la città principale dell’isola, ma sono stati bloccati e rimandati indietro dalla polizia. A questo punto nell’hotspot (dove sono ammassate da mesi circa 5650 persone, compresi minori non accompagnati, in un centro previsto per contenerne 3500) si sono diffuse le proteste. I migranti hanno rifiutato il cibo e, gridando slogan per reclamare la libertà, hanno costretto gestori e polizia di guardia a lasciare il campo. Verso le 17 alcune fonti hanno riportato di scontri all’interno, tra varie comunità, sul posto alle 18 è arrivata anche la polizia antisommossa per controllare i/le migranti ma questo ha provocato ulteriori tensioni e dopo poco sono scoppiati incendi ai danni dei prefabbricati adibiti al trattamento delle domande d’asilo e di alcune tende. Il fuoco si è diffuso nel resto del campo e alle 20:30 un altro gruppo di migranti ha provato a dirigersi verso la città e anche stavolta è stato fermato dalle forze dell’ordine.

24 ottobre, 70 persone, in maggioranza di origine pakistana e bengalese, hanno prima lanciato pietre e poi appiccato il fuoco a parte della struttura di Moria a Lesbo. Ancora una volta la rabbia è esplosa durante una protesta per i ritardi con cui vengono gestite le procedure burocratiche. Ventidue migranti sono stati arrestati.

Nelle strutture organizzate a Lesbo ci sono attualmente circa 6mila rifugiati, cioè quasi il doppio della capacità delle strutture stesse. Si tratta di persone giunte in Grecia dopo l’accordo sui migranti fra Unione e Turchia, attuato a partire dal marzo scorso, e la maggior parte di loro è in attesa di una risposta alla richiesta d’asilo, che per la stragrande maggioranza sarà un diniego che comporterà la deportazione in Turchia.

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