E’ stata pubblicata ieri la notizia della deportazione di 31 tunisini, detenuti nei CIE siciliani (Pian Del Lago e Trapani-Milo ), con un volo diretto per Tunisi.
Molto probabilmente stiamo assistendo ad una accelerazione delle espulsioni, per far posto a nuovi detenuti. Negli ultimi giorni infatti in alcuni articoli solerti giornalisti lamentavano che per la detenzione di una persona fermata a Perugia “ la polizia ha dovuto organizzare, in tutta urgenza, un immediato provvedimento di espulsione ed un trasferimento all’unico CIE disponibile, distante mille chilometri” (appunto, in Sicilia) e che “nei Centri di identificazione ed espulsione di tutto lo Stivale italico non ci sono più posti “.
Il che corrisponde al vero: a causa delle coraggiose rivolte delle persone migranti recluse e del collasso della gestione delle cooperative con il sistema delle gare d’appalto a ribasso, in questi anni sono stati chiusi 8 degli originari 13 centri di detenzione presenti in Italia. Le rivolte nei CIE hanno ostacolato e rallentato inoltre sia la reclusione di altri migranti che la loro espulsione: da 7944 persone segregate nel 2012 si è passato alle 4.986 nel 2014, e dalle 4015 espulsioni nel 2012 alle 2.771 del 2014.
Il sistema delle espulsioni non può fare a meno infatti dei centri di detenzione, come ha sottolineato il capo della polizia Pansa nel Febbraio scorso:
”I CIE hanno senso o non hanno senso ? Su questo sono chiarissimo: noi dobbiamo capire se la modalità di gestione dei centri di accoglienza vada bene, ma dobbiamo avere dei luoghi dove trattenere le persone da espellere. Se rintracciamo un cittadino extracomunitario che non ha diritto di rimanere sul territorio nazionale e in base a una valutazione dell’autorità giudiziaria o amministrativa deve essere estradato, per espellerlo abbiamo bisogno di modalità che si basano su due elementi: la collaborazione del Paese di destinazione, perché, se non collabora, non glielo possiamo rimandare, e la possibilità di trattenere questa persona. Noi abbiamo scarcerati per pene gravi che hanno scontato la pena e devono essere mandati via. Dove teniamo queste persone nell’attesa che i consolati ci rilascino i documenti e i lasciapassare per farli rientrare ? Più posti abbiamo nei CIE (ed è bene che questi posti siano fatti nel miglior modo possibile), più abbiamo la capacità di espellere coloro che non hanno diritto di restare in Italia. […] Nei CIE sono andati 4.500 in tutto il 2014, però avevamo bisogno di più posti, perché sono pochissimi.”
In coincidenza con la diminuzione dei tempi massimi di internamento, è in atto un tentativo di razionalizzare la macchina delle espulsioni attraverso l’identificazione in carcere, la differenziazione carceraria negli stessi centri (tra categorie cosiddette vulnerabili e soggetti dall’indole non pacificata) con l’introduzione dell’isolamento e l’uso del CIE per soggetti presuntamente collegati al fondamentalismo islamico. Anche grazie a questo processo di riforma, i 5 CIE ancora attivi in Italia restano fondamentali per le deportazioni coatte di persone migranti.
Inoltre occorre ricordare che il Cie di Torino quasi completamente distrutto dalle rivolte è in fase di ristrutturazione e il completamento dei lavori in alcune aree ha permesso di passare da una ventina a circa 90 reclusi in pochissimo tempo.
Sembra che in questa direzione si muovano le politiche sull’immigrazione della Comunità europea: esternalizzazione delle frontiere e nel frattempo, per le persone già presenti in Europa, riduzione dei tempi di permanenza nei centri di detenzione al fine di ottimizzare economicamente e velocizzare le espulsioni di centinaia di migliaia di migranti considerati “irregolari” e già raggiunti da un provvedimento di espulsione. Dal 2010 al 2013, ben 1.940.000 persone sono state raggiunte da un provvedimento di espulsione, e di queste, 710.975 sono state effettivamente espulse dai paesi UE.
Nell’ultimo Consiglio straordinario europeo sull’immigrazione del 23 Aprile, uno dei punti approvati recitava appunto: “impostare un nuovo programma di ritorno per il rapido rimpatrio degli immigrati irregolari presenti negli stati membri di confine, coordinato da FRONTEX”
Per capire meglio come funziona l’ “esternalizzazione dei controlli e delle frontiere” portata avanti dall’Italia e dal resto della Fortezza Europa, vale la pena riportare quanto detto dall’ambasciatore tunisino durante una recente audizione davanti al “Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione” il 15 settembre 2014:
“Passo adesso al tema della cooperazione sui flussi migratori. Vi fu [nel 2008] una prima, grave crisi, determinata da un’ondata di migranti clandestini. Nel luglio-agosto di quell’anno, infatti, 2.000 migranti giunsero sulle coste italiane dalla Tunisia, suscitando il panico. Ci furono vittime, tensioni e polemiche a livello politico e dei media.
Il 6 agosto 1998 vi fu uno scambio di note che rappresenta un accordo storico, in quanto fu il primo contributo a una soluzione parziale del problema dell’immigrazione dalla Tunisia e un contributo all’impegno per aiutare la Tunisia nel suo sviluppo economico.
Ai sensi dell’accordo del 1998 la cooperazione tra Italia e Tunisia in campo migratorio ha funzionato più o meno bene fino all’avvento della rivoluzione del 2011, quando un’ondata di 22.000 tunisini si è riversata sulle coste italiane, principalmente a Lampedusa, fuggendo da un Paese dove l’ordine pubblico era fuori controllo, perché sia l’esercito che la Marina erano occupati nel mantenimento dell’ordine, sia nelle campagne che nelle città.
Quella fu, dunque, la seconda grave crisi in materia di immigrazione clandestina, che abbiamo affrontato insieme grazie a un incontro che ebbe luogo il 5 aprile di quell’anno tra i due Ministri degli interni e a una visita di lavoro del Presidente del Consiglio Berlusconi a Tunisi.
Questo accordo del 5 aprile 2011 prevede innanzitutto la fornitura di attrezzature e materiali alle forze di sicurezza tunisine e alle forze armate, principalmente alla Marina, che ovviamente agisce anche nelle acque internazionali per il controllo dei flussi e il salvataggio di vite umane. L’accordo stabilisce che tutti i tunisini arrivati sulle coste italiane dopo il 5 aprile 2011 debbano essere identificati e rimpatriati.
Vediamo cosa è successo dal 2012 in poi grazie all’ottima cooperazione tra i servizi specializzati dei nostri Ministeri degli interni e alla vigilanza dei nostri servizi di sicurezza e della nostra Marina. I clandestini sbarcati sulle coste italiane da 22.000 nel 2011 sono calati a 2.500 nel 2012 (il 90 per cento in meno), a 1.097 nel 2013, e dal 1 gennaio di quest’anno alla data di oggi ne contiamo circa 600, di cui 593 sono stati rimpatriati. Il contributo della Tunisia al problema dei clandestini è quindi pressoché nullo.
Una cosa che va sottolineata, perché è la punta nascosta dell’iceberg, è che le nostre forze di sicurezza, così come voi, nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum hanno fermato migranti in mare, che provenendo da diversi Paesi africani e partendo dalla Libia cercavano di dirigersi verso le coste italiane.
Del resto, i nostri dati sulla vigilanza, sugli arresti in mare, sui salvataggi sono regolarmente comunicati alla direzione centrale per le frontiere e gli stranieri del Ministero dell’interno italiano, diretta dal dottor Pinto. Ciò non vuol dire che non esista ancora la tentazione di partire e, grazie al controllo che siamo di nuovo in grado di esercitare sulle nostre frontiere marittime e terrestri, alla vigilanza italiana e anche a campagne televisive che cercano di dissuadere i migranti da ciò, evidenziando come non convenga emigrare in Europa perché non c’è lavoro e si rischia la vita, il fenomeno è contenuto.
Rimangono in sospeso questioni come i 240 scomparsi in mare nel 2011. Questo è ancora un dossier spinoso tra l’Italia e la Tunisia, poiché i genitori continuano a reclamare notizie sulla sorte dei loro figli.
Vengo ora all’applicazione dell’accordo e soprattutto alla procedura di riammissione, che viene applicata regolarmente con discrezione, tanto che la stampa parla di sbarchi ma non di rimpatri. Nel 2011 abbiamo dunque rimpatriato 3.321 clandestini (cifre ufficiali di fonte italo-tunisina), 2.031 nel 2012, 724 nel 2013 e, ad oggi, 593 nel 2014. “
Uno degli organi fondamentali per l’esternalizzazione del controllo delle frontiere, responsabile delle suddette campagne “dissuasive” ed accompagnatore negli accordi bilaterali tra Stati è l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).
L’OIM, responsabile tra l’altro del sistema del “rimpatrio volontario”, viene spesso presa in considerazione dall’associazionismo per proporre soluzioni nel rispetto dei diritti umani delle persone migranti.
Proprio questa Organizzazione, composta da 156 Stati membri, 10 Stati osservatori, a cui si aggiungono numerose organizzazioni intergovernative e non governative, nel gennaio 2014, accennò a delle proposte concrete per riformare i CIE in Italia, in un momento in cui la denuncia dei media di regime stava portando alla luce le condizioni d’internamento delle persone migranti.
Vi lasciamo alla lettura delle 10 proposte dell’OIM, per tornare a breve ad interrogarci su quanto, a poco più di un anno di distanza, si sia avverato.