fonte: Macerie
È di qualche giorno prima di Natale la notizia della conversione del Cie di Trapani in hotspot.
Sarebbero quindi due gli hotspot realizzati in Italia, sui sei previsti (Lampedusa, Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle e Augusta): Lampedusa e Trapani. Più precisamente l’unico hotspot davvero funzionante in quanto tale è Lampedusa (e Lesbo in Grecia) perché lavorano già al suo interno tutti i tipi di funzionari (Frontex, Europol, Eurojust e Easo).
Tuttavia anche Lampedusa non è ancora un Centro chiuso come prevede l’Unione Europea. Recentemente, infatti, centinaia di immigrati, soprattutto eritrei, hanno manifestato contro il prelievo delle impronte girando per le vie della città.
In Contrada Milo, invece, come lamenta il Prefetto trapanese Falco, hanno dovuto fare tutto in fretta e furia. I reclusi sono stati in pratica liberati passando in un Cas a regime aperto. Non è la prima volta che il Cie di Trapani viene decretato hotspot per poi fare dei rapidi passi indietro a causa di alcune incongruenze giuridiche. Staremo quindi a vedere.
Intanto, Franco Fasola, Responsabile dell’Unione territoriale del Lavoro (UTL-UGL) di Trapani, commentando la notizia dell’apertura a Trapani del secondo hotspot in Sicilia e sul territorio nazionale, si dichiara soddisfatto per il ritorno al lavoro di 40 lavoratori dellaCooperativa Badia Grande, e ringrazia contestualmente il Prefetto Falco per il buon esito della faccenda.
Gli hotspot dovrebbero essere, nelle intenzioni dell’Unione Europea, il luogo di prelievo delle impronte digitali di chi vi transita, che devono poi entro 72 ore confluire nell’Eurodac, banca dati europea per il confronto delle impronte digitali dei richiedenti protezione internazionale. La Commissione europea, infatti, richiede agli Stati membri la raccolta delle impronte digitali di chi avvii la richiesta di asilo e di chiunque sia beccato mentre cerca di entrare in Europa sprovvisto dei documenti necessari. L’incapacità di Italia e Grecia a prelevare efficacemente le impronte digitali di chi sbarca sulle loro coste è già costato ai due Stati mediterranei diversi reclami. Nelle parole di Daniela Stradiotto, Direttrice del servizio di Polizia scientifica della Polizia di Stato, dal 1 gennaio al 10 settembre 2015, su 121.974 migranti arrivati sulle coste italiane, 81.282 non si sono opposte al fotosegnalamento e al prelievo delle impronte. Il che significa che una persona su tre riesce a non farsi prendere le impronte digitali. D’altronde, in Italia, il prelievo forzoso delle impronte digitali è previsto solo in caso di fermo, resta quindi da vedere come, nella pratica, l’Italia recepirà la direttiva europea.
Sono inoltre in vigore, dalla scorsa estate, anche le modifiche al regolamento dell’Eurodac, che ora, poiché «nella lotta al terrorismo e ad altri reati gravi è essenziale che le autorità di contrasto dispongano delle informazioni più complete e aggiornate possibili per poter svolgere i loro compiti», dovrà mettere tali dati a disposizione delle forze di Polizia nazionali ed europee («è pertanto necessario che i dati dell’Eurodac siano messi a disposizione delle autorità designate dagli Stati membri e dell’Ufficio europeo di polizia (Europol) a fini di confronto»).
Secondo le testimonianze, come è usuale in tutti i Centri italiani, i tempi di permanenza a Lampedusa stanno superando ampiamente le 72 ore previste raggiungendo per il momento i mesi d’attesa e quando ci sono delle risposte, avvengono in modo arbitrario, menzognero e attraverso l’uso del respingimento differito.
Per quanto riguarda il sistema quote – correlato all’approccio hotspot –, per ora si può dire che stia miseramente fallendo. Basti pensare che all’ora attuale solo pochissime persone sono state ricollocate sulle 160mila previste nel giro di due anni. Sono 184 i ricollocati dall’Italia. Di questi il più alto numero sono stati spediti in Finlandia (87); a seguire Svezia (39), Francia (19), Spagna (12), Germania (11), Portogallo (10) e Belgio (6).
macerie @ Dicembre 29, 2015