Maggio 2016
Sul blog “Hurriya – Senza frontiere, senza galere” inauguriamo una nuova sezione con contributi, notizie e analisi dall’Egitto.
La redazione del blog è quindi allargata a compagni/e che vivono in quel territorio, con cui abbiamo relazioni dirette.
Le ragioni sono molteplici e vanno dal non voler disperdere pezzi di ragionamento sul web provando quindi a raccoglierli e archiviarli, al tentativo di conoscere meglio le lotte e i dispositivi repressivi messi in campo dall’altra parte del Mediterraneo.
Se auspichiamo l’estensione di un fronte di lotta comune, il tentativo sarà quello di conoscere e approfondire con costanza la realtà delle lotte e della repressione, aldilà della cronaca mediatica.
In Italia, la storia dei centri di detenzione amministrativa per persone migranti ha conosciuto fasi di arresto grazie alle lotte dei/delle reclusi/e. In diverse occasioni abbiamo sentito la necessità di approfondire i conflitti e le lotte nei paesi di provenienza di queste persone, per riconoscere anche le responsabilità occidentali e capire in che direzione muovere la solidarietà.
Oggi iniziamo con l’Egitto, con la tensione ad allargare questi tentativi di analisi a compagni e compagne che vivono e lottano in altri paesi.
In base ad accordi di riammissione firmati tra i Governi di Italia ed Egitto nel 2007 (1) e rafforzati nel 2014 (2), gli adulti egiziani in fuga dalla dittatura, arrivati in Italia, vengono immediatamente reclusi e deportati nel giro di 48 ore.
Nel 2015 la metà dei voli di deportazione, ben 22 su 44 in totale, ha avuto come destinazione l’Egitto. Tra le persone recluse nei CIE, gli egiziani sono tra le nazionalità più presenti.
Solo negli ultimi giorni: il 13 maggio ad Augusta un gruppo di egiziani appena sbarcati ha tentato la fuga, ed è stata ripreso dalle forze dell’ordine. Per i 21 egiziani sbarcati a Palermo il 14 maggio la Questura ha avviato le procedure di deportazione. Nello stesso giorno a Lampedusa alcuni egiziani che avevano partecipato alle proteste contro le identificazioni forzate e l’hotspot sono stati trasferiti in aereo, con fascette di plastica strette ai polsi, verso Palermo e Catania, per la successiva deportazione. Anche dall’hotspot di Taranto, dopo lo sbarco del 23 maggio, sono stati espulsi 50 adulti, tra i 126 egiziani arrivati.
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Con la presa del potere dell’esercito nel 2013, dopo la deposizione dei Fratelli musulmani, sempre manovrati e saliti al potere con il consenso dell’esercito, in Egitto si è instaurato un regime che, dietro la facciata di procedure democratiche, ha assunto il volto di una brutale e sanguinaria dittatura.
Migliaia sono le persone uccise. Decine di migliaia quelle che il sistema giudiziario, al soldo del regime e in particolare del ministero dell’interno, perseguita e chiude nelle carceri. Altrettante quelle che polizia e esercito arrestano, seviziano e torturano nelle caserme, nei commissariati e nelle prigioni. È vietato manifestare, parlare, scrivere, pensare, muoversi, fare video e foto, stare in gruppo. Tutto è severamente punito. Perdere la vita è facile nelle strade d’Egitto. Tutto è a discrezione di guardie e militari.
La repressione non ha, però, fermato le lotte. La brutalità, spesso arbitraria e gratuita del regime, è anche il risultato della tenace resistenza di chi, con grande coraggio continua a lottare e si oppone alla dittatura. Attivist*, giornalist*, avvocat*, medic*, scrittor*, intellettual*, ragazzi e ragazze, donne e uomini non perdono occasione per scendere in strada a gridare: libertà, dignità e giustizia sociale.
In queste pagine si scriverà di repressione, di dittatura e tanto più di lotte e resistenza affinché non si dimentichi e si solidarizzi con chi non si arrende e non china la testa di fronte a una dittatura che colpisce tutti e tutte e di cui l’Europa, in primis l’Italia, è complice.
La rivoluzione non è finita!
Libertà!