A distanza di più di un mese dalle manifestazioni del 15 aprile si inasprisce la repressione e la violenza contro chi si oppone al regime.
500 milioni di dollari, come prima tranche di un ulteriore prestito complessivo di 2, 5 miliardi, sono arrivati nelle casse dello stato egiziano direttamente dall’Arabia Saudita. Servono (insieme a prestiti e finanziamenti provenienti da Kuwit, Emirati, Banca Mondiale e Banca Europea) a dare un po’ di respiro a un paese economicamente al collasso. Prova ne è, tra le altre cose, l’aumento negli ultimi giorni delle medice di base e quello del riso.
Questo – e non solo ovviamente – spiega il perché il dittatore Sisi abbia deciso con il consenso di Israele di cedere due isole dello stretto di Aqaba al tiranno saudita. Ma questo spiega, altresì, perché durante una conferenza stampa abbia intimato stampa e opinione pubblica i non parlare più della cessione di Tiran e Sanafir (così come dell’assassinio di Giulio Regeni per il quale è ben supportato dal silenzio delle istituzioni italiane).
Sa bene, il dittatore al-Sisi, che dietro questo atto da monarca assoluto c’è un paese al collasso. C’è un regime, privo di qualsivoglia capacità, che è costretto a cedere parte del territorio nazionale per racimolare quel po’ di denaro che l’aiuta a tirare avanti.
Per questo il regime reprime brutalmente il dissenso crescente, per questo si affretta nella costruzione di nuove carceri, per questo usa la violenza della polizia e del sistema giudiziario per reprimere chi fa informazione, mette in carcere e processa i vertici del sindacato dei giornalisti, rinchiude in celle piccole, misere e senza servizi centinaia di giovani e attivist* che provano a resistere e portare avanti le lotte, fa processare presso tribunali militari operai in sciopero che rivendicano il pagamento dei propri salari, arresta avvocati dei diritti umani.
I rapporti mensili del centro indipendente Nadeen che si occupa dal 1993 della riabilitazione di chi subisce violenze e torture di Stato in Egitto, non solo di egizian, ma anche di rifugiati, ci aiuta a capire i sistemi repressivi quotidiani che si attuano sotto dittatura.
In un’intervista a una delle fondatrici del centro, Aida Seif al Dawla si parla di una totale assenza dello stato di diritto. Le forze armate e le forze di sicurezza dello Stato godono di un’assoluta impunità nell’uccidere e nell’incarcerare. La tortura è dilagante. dilagante fino al punto che le persone non ne parlano neppure considerandola routine a meno che non si tratti di strappamento, elettrocuzione, sospensione e violenze di questo tipo. I pestaggi, le percosse collettive e individuali con manganelli e b
astoni sono talmente frequenti e diffusi che le vittime non le menzionano neppure tra le pratiche di tortura. ciò che viene chiamata “la festa di ricevimento” a cui vengono sottoposti coloro che entrano in carcere: transitare in mezzo a un doppio cordone di poliziotti ed essere ripetutamente percossi.
Le condizioni di detenzione sono terribili, veramente terribili. Sovaffollamento, mancanza di ventilazione, privazione di cibo, assenza di cure mediche. A testimoniar molte lettere di compagni e compagne in carcere. Le sparizioni forzate sono un’altra pratica sistematica sotto il regime puoi essere prelevato mentre sei a lavoro, da casa, per strada e portato in luoghi di detenzione segreti in cui puoi rimanere per anni.
Solo nel mese di maggio 2016, secondo il rapporto diffuso dal centro Nadeen parliamo di 212 assassini di Stato, 11 persone ammazzate in luoghi di detenzione, 103 casi di torture, 43 casi di assenze di cure mediche in luoghi di detenzione, 93 sparizioni forzate, 84 casi di persone scomparse poi ritrovate, 28 casi di abusi di Stato.
Il silenzio è complicità.
Libertà e solidarietà a chi è nelle carceri del regime militare.