L’ennesima tragedia si è consumata in queste ore a largo delle coste egiziane. Un barcone pieno di migranti egiziani, sudanesi, etiopi, somali e siriani è affondato in mare nei pressi di Rashid, un piccolo villaggio sulla costa mediterranea. Non si conosce bene il numero delle persone presenti al momento del naufragio: dai 300 ai 600 dicono i sopravvissuti. Quello che è certo è che fino a ora sono state recuperate 169 salme e più o meno lo stesso numero di superstiti. Gli egiziani sono stati subito arrestati e subiranno un processo per immigrazione illegale. Gli altri sembra che al momento siano liberi, anche se molto probabilmente verranno rimpatriati.
A parte gli arresti e il pessimo trattamento riservato ai superstiti dalle autorità militari egiziane, le attività di soccorso e recupero sono state completamente svolte da pescatori e popolazione locale che non hanno mancato di accusare la guardia costiera di essere intervenuta molto tardi e in maniera molto limitata. Non è una cosa nuova per il regime egiziano che ha fatto della guerra ai migranti uno dei suoi obbiettivi primari da utilizzare come scambio durante le trattative con l’Europa, Italia compresa.
In effetti, l’Europa è molto preoccupata per il fatto che in quest’ultimo anno ci sia stato un aumento costante di migranti che provano a utilizzare la cosiddetta “rotta egiziana”. Fonti egiziane riferiscono che il regime quest’anno “ha arrestato più di 4.600 cittadini stranieri, la maggior parte di loro sudanesi, somali, eritrei ed etiopi, mentre cercavano di lasciare il paese. Si tratta di un aumento del 28% rispetto all’anno precedente”. Proprio per questo l’Austria, subito appoggiata da Merkel, ha proposto che con paesi quali l’Egitto vengono stipulati degli accordi simili a quelli siglati con la Turchia.
Dall’altra parte il regime egiziano fa sapere che la lotta contro l’emigrazione clandestina intrapresa a favore e per conto dell’Europa costa cara in fondi, uomini e soprattutto accondiscendenza e silenzi sulla repressione interna. Anche se il processo di Khartoum e il Migration Compact hanno dimostrato come le democrazie europee, quando si tratta di migranti, non esitano a stringere accordi con le peggiori dittature, tra cui il Sudan e l’Egitto.
Quanto al regime egiziano sta facendo tutti gli sforzi possibili, in sede diplomatica e ufficiale, per nascondere la crisi economica e sociale che ormai da anni colpisce il paese. Prova ne è l’aumento del flusso di migranti egiziani che provano a raggiungere l’Europa illegalmente. Un comunicato dell’organizzazione 6 Aprile riassume bene la situazione che si vive nel paese: “Il regime uccide i suoi cittadini con le pallottole e l’abbandono”. In effetti, il presidente al-Sisi è un uomo morto al potere. Con $50bn di debito verso i paesi del Golfo e un altro di $12bn, in trattativa con il Fondo Monetario Internazionale, al-Sisi ha più che mai bisogno del supporto degli apparati di sicurezza e giudiziari, pagati al caro prezzo della più completa autonomia. Di fatti è solo attraverso la repressione più atroce (assassinii, torture, sparizioni forzate, abusi di ogni tipo, pena di morte inflitte da tribunali militari) che il regime riesce a tenere a bada una popolazione ormai alla fame, e obbligata a tentare la fortuna su un barcone via mare.
No borders, No State.
Libertà per tutti e tutte!