Traduzione da No Border Serbia
Dopo un rastrellamento della polizia, che ha portato più di 100 persone a essere rinchiuse nel centro di detenzione a Presevo, e dopo avere reso illegale la distribuzione di cibo, le persone che sono state intrappolate a Belgrado per mesi hanno deciso di partire in una marcia di protesta.
Nessuno ha riportato quanto accaduto la notte del 10 novembre, quando intorno alle 03:00 250 poliziotti e forze speciali hanno circondato i magazzini dietro la stazione degli autobus, dove i migranti avevano trovato rifugio negli ultimi mesi. I dipendenti del Commissariato, l’UNHCR, e gli agenti di polizia hanno minacciato le persone dicendo loro che se avessero rifiutato di salire sugli autobus (senza conoscere la destinazione), sarebbero state espulse.
Tutti/e coloro che non sono stati in grado di fuggire sono ora in un campo a Presevo, da dove le persone vengono regolarmente deportate in Macedonia. Dopo questa operazione si è creato un clima di paura ancora maggiore, senza che le persone sappiano dove nascondersi, incapaci di addormentarsi in parte a causa del terribile freddo, ma ancora di più a causa della preoccupazione costante di essere arrestate e deportate.
Perciò circa 150 persone l’11 novembre hanno iniziato una protesta pacifica marciando verso il confine con la Croazia. Nonostante le condizioni molto difficili, il freddo, e numerose botte ricevute dalla polizia di frontiera, le persone hanno di nuovo con grande forza iniziato ad alzare la voce contro la violenza del regime delle frontiere, per mandare un messaggio pubblico che continueranno la loro lotta per la libertà e la dignità. Al momento sono a piedi sulla strada in direzione di Zagabria con una scorta della polizia.
Solidarietà con i/le manifestanti in protesta.
Traduzione da No Border Serbia
Dopo 35 km di marcia tra pioggia e vento fino a tarda notte, le persone hanno iniziato a cercare un po’ di riposo sotto un ponte autostradale nei pressi di Simanovci. A causa dell’umidità e del freddo è stato impossibile dormire.
Seguendo gli ordini della polizia, il distributore di benzina, l’unico posto dove si poteva trovare un po’ di cibo, è stato chiuso per un’ora, e solo a una persona è stato permesso di entrare nella stazione con la polizia al seguito.
Il Commissariato ha tenuto costantemente sotto pressione i manifestanti, dicendo loro che avrebbero dovuto tornare al campo, “il posto in cui devono stare”.
Alle cosiddette organizzazioni è stato vietato di sostenere in qualsiasi modo le persone . Queste persone coraggiose hanno alzato la voce mostrando che non sono indifese, che non vogliono stare in fila aspettando la carità, che nessuno può togliere loro la dignità, e quindi il Commissariato, l’UNHCR, e gli altri criminali faranno qualsiasi cosa per far fallire questa marcia di protesta. Questa protesta mostra anche il business dello stato e delle istituzioni statali, e le bugie su quanto buono e sicuro sia per le persone.
Anche il cosiddetto gruppo auto-organizzato Hot Food Eidomeni, che distribuisce quotidianamente circa 1000 pasti, ha deciso di non supportare i manifestanti in protesta a causa delle pressioni subite. Il gruppo è stato infatti minacciato di chiusura da parte del Commissariato se estenderà le sue attività al di là delle iniziative fin’ora tollerate.
Naturalmente i bisogni sono tanti, soprattutto per quel che riguarda il cibo, vestiti caldi e asciutti, e un luogo dove riposarsi e ripararsi dalla pioggia.
La marcia verso il confine è proseguita fino verso le 8 del mattino. Alcune persone non sono state in grado di continuare a causa di infortuni gravi.
Potete seguire la marcia di protesta su Twitter: BelgradeUptades
Solidarietà con i/le ribelli e gli/le oppress*!
Colleghiamo e uniamo le nostre forze per lottare insieme!
Traduzione da No Border Serbia
Amici, quante volte abbiamo la sensazione di non essere in grado di trovare i modi e le possibilità per lottare contro la violenza quotidiana e la repressione che lo Stato e governanti creano – quando la maggior parte delle persone intorno a noi abbraccia gli ideali capitalisti e glorifica le ideologie e le pratiche militariste? Come far fronte a ciò e rimanere mentalmente più o meno sani di mente e riuscire anche a sopravvivere finanziariamente? Siamo spesso arrivati alla conclusione che nella regione quasi “nulla è possibile”. Non ci sono grandi proteste (di massa), gli sfruttati e oppressi raramente si organizzano, e le lotte anti-autoritarie sembrano esistere a fatica o sono invisibili. In realtà un bel po’ di questo sta accadendo ora.
Venerdì scorso (11 novembre), dopo una retata della polizia a Belgrado, circa 150 persone hanno intrapreso una marcia auto-organizzata per la libertà (di movimento) da Belgrado al confine con la Croazia. Le persone sono oggi riuscite, nelle condizioni più difficili (con ferite, combattendo contro il freddo, il nevischio, la mancanza di ogni bene di base e sotto costante pressione da parte delle autorità e dei loro servi) a raggiungere il confine a Tovarnik.
Queste persone coraggiose hanno alzato la voce contro la violenza di stato e la criminalizzazione, hanno dimostrato che non sono indifese, che non vogliono stare in fila per la carità, che nessuno può togliere loro la dignità. Hanno inoltre sottolineato l’attività e lo scopo di lucro dello Stato e delle sue istituzioni attorno alla “crisi dei rifugiati” Il problema del regime dei confini e la violenza che crea è strettamente legata ai problemi che tutti noi affrontiamo su base giornaliera in un sistema in cui c’è posto solo per il “movimento” delle merci, ma non delle persone e delle idee riguardanti la solidarietà.
L’unica cosa che è libera nello stato è il mercato. Le persone sono trattate come schiavi per le esigenze delle élite e degli schiavisti capitalisti. Il semplice constatare che non ci sono strutture locali di solidarietà non cambia lo status quo; tali strutture sono formate attraverso sforzi attivi. Ma ora, infatti, è il momento di raccogliere, di unire le nostre forze e portare un cambiamento concreto, per riunire le lotte locali e personali con le lotte più grandi. Ora è il momento di mostrare solidarietà con le persone che si sono organizzate, che non vogliono attendere che il sistema decida per loro, che sono stufe dell’oppressione e dell’uccisione sistematica. Ogni morte è il risultato diretto della militarizzazione e della chiusura delle frontiere, del rendere la libera circolazione e il viaggio impossibili.
Questa solidarietà di cui scriviamo non si riferisce solo alle azioni umanitarie. È un tipo di solidarietà che le ONG e le organizzazioni non governative non conoscono, il tipo di solidarietà che guarda ed esamina insieme la situazione, per rivoltarsi contro la violenza sistematica dello stato e della polizia. Colleghiamo e uniamo le lotte individuali e collettive che portiamo avanti ogni giorno con la lotta di queste 150 persone per la libera circolazione e contro la politica della cosiddetta Fortezza Europa. Un mondo, una lotta!
Aggiornamento del 15 novembre
Alla fine di una giornata concitata fatta di provocazioni e minacce costanti da parte della polizia (le persone in marcia sono state apostrofate con frasi del tipo “Tornate in Afghanistan a combattere i talebani” e ad un certo punto la polizia ha lanciato loro chicchi di grano), di botte, di mancanza di cibo e acqua e riscaldamento a causa dell’allontanamento forzato dei/delle solidali, le persone migranti sono state costrette a tornare indietro fino alla stazione di Sid dove sono state circondate dalla polizia; verso le 4 di notte tutte le persone, anche quelle sprovviste di biglietto, che erano state minacciate di essere rinchiuse all’interno del centro di detenzione di Presevo, sono potute salire sul treno e verso le 6 di stamattina sono arrivate a Belgrado.