La solidarietà non è solo una parola scritta
Sabato 18 febbraio, un gruppetto di poco meno di trenta solidali è tornato sotto le odiose e odiate mura del CIE di Ponte Galeria.
Come ogni mese, l’obiettivo è quello di interrompere il silenzio forzato, l’isolamento e la desolazione a cui quel luogo costringe le detenute; provare per qualche ora a far sentire la nostra solidarietà tentando di metterci in contatto con loro, perché siano le stesse donne lì recluse a far sentire la propria voce e a raccontare quello che succede dentro quel luogo infame.
Dal microfono aperto si sono succeduti diversi interventi in più lingue, in cui ricordavamo alle recluse chi siamo e perché siamo lì fuori, sottolineando ancora una volta che non andiamo lì per fare promesse, per chiedere un CIE più umano e lenzuola pulite o per sostenere un’accoglienza “degna”.
Siamo lì perché detestiamo carceri e carcerieri, avversiamo i confini e questa società che li costruisce e ne ha bisogno. Andiamo in quel luogo ignorato da tuttx e ci torneremo ogni volta che sarà necessario, ogni volta che le recluse ce lo chiederanno o quando si ribelleranno a chi le tiene segregate in cella.
Torniamo perché la lotta contro le galere e a sostegno delle persone immigrate che vivono combattendo ogni giorno i soprusi di questa Europa fascista, che le lascia morire in mare, o “le salva” per poi richiuderle in un centro d’accoglienza, o le perseguita per strada sbattendole poi in un centro di detenzione, è la lotta di tuttx noi che desideriamo la liberazione totale.
Cori, musica, interventi che hanno raccontato cos’è successo nell’ultimo periodo in altri CIE o cosa succede qui a Roma, e in special modo a Ostia, dove ogni forma di organizzazione autonoma di migranti e solidali viene criminalizzata e ostacolata, anche grazie al sostegno dei gruppi fascisti locali.
Mentre le nostre voci provavano a superare quelle mura, a un tratto davanti ai nostri occhi passava un pullman scortato da una macchina della guardia di finanza, con a bordo probabilmente alcune donne rastrellate durante il recente sgombero di un campo rom a Palermo.
Inutile specificare l’arroganza e la prepotenza delle guardie nella scelta di quella dolorosa sfilata pur sapendo della nostra presenza (o forse proprio sapendolo); forse vano allo stesso modo confessare la totale impotenza e frustrazione provata in quell’attimo, che però ancora una volta ci spinge a credere nella necessità di continuare la lotta, creare nuove complicità, organizzarci insieme e diventare sempre più una spina nel fianco dei nostri nemici.
Per finire, una nota di gioia sono sempre le risposte delle donne recluse, che più volte ieri sono riuscite insieme a far arrivare le loro voci e grida al di là delle sbarre scaldandoci il cuore.
In un luogo di privazione come quello del CIE (o dovremmo iniziare a dire CPR da ora in poi per adeguarci alla nuova lingua dei nazisti al governo), anche urlare per rabbia o felicità diventa pericoloso e impossibile, ed espone le recluse a continue minacce da parte degli sbirri e degli operatori che le obbligano a smettere, così come è successo anche ieri. Infatti, le minacce sono divenute concrete la sera, quando coloro che hanno mostrato la loro rabbia con urla e battiture sono state private del pasto.
Al momento a Ponte Galeria sono recluse circa 80 donne, con ingressi e uscite abbastanza frequenti. A breve partiranno diversi voli di deportazione che ancora una volta spezzeranno le vite di queste persone, allontanandole dai loro affetti e dalle loro strade per spedirle forzatamente in posti che molto probabilmente non hanno mai visto e in cui di certo hanno scelto di non vivere più.
Non resteremo impassibili davanti a tutto questo orrore.
nemiche e nemici delle frontiere