Fonte: Radio Black Out
Ad oltre un mese dal trasferimento al CPR di Caltanissetta, Adriana comincia uno sciopero della fame per denunciare il perdurare della propria condizione di detenzione e per gettare luce sulla situazione dei migranti detenuti nei centri di detenzione amministrativa in generale.
Ascolta la corrispondenza con Adriana:
Per chiarire la dimensione legislativa e giurisprudenziale che viene attraversata da questo emblematico, ma non unico, caso, abbiamo raggiunto ai microfoni Enrica Rigo, docente di diritto presso l’università di Roma3:
Di seguito, una trascrizione parziale della corrispondenza con Adriana.
“Buongiorno a tutti quelli che ci ascoltano, io sono qui in qualità non soltanto di transgender ma anche come persona, come essere umano, perché […] la mia vita è stata rubata dalle istituzioni italiane, io sto chiedendo soltanto la mia libertà, che mi ridiano la mia vita […].
Perché quello che sto passando io, ogni persona che è migrante in Italia oggi può passare per le stesse cose. Perché adesso esiste un nuovo apparato repressivo: anche se una persona ha speso tutta la sua vita a lavorare in Italia, ha versato più di 30 anni di contributi, perché gli era scaduto il permesso di soggiorno da 15 giorni, è andato a finire in un CIE. Tutto questo per la mancanza di lavoro, lo sappiamo tutti che esiste la mancanza di lavoro oggi in Italia […] Ci sono alcune persone che si trovano dentro il CIE che hanno anche il permesso di soggiorno valido, e si trovano qui, non perché hanno commesso un reato, non perché hanno commesso niente […].
Io voglio dare voce a questa storia, che non è solo la mia storia, perché è la mia sofferenza, quello che sto vivendo io, perché lo sto vivendo in prima persona: qui è un Auschwitz, è un vero campo di concentramento, legalizzato e attualizzato nell’anno 2017. Ormai gli immigrati sono presentati soltanto come dei numeri e dei quattrini […]. Quindi noi parliamo qui di milioni di euro e io denuncio anche questo perché lo stato in cui vivono gli altri ragazzi è invivibile, come persone, e stiamo tornando alle leggi razziali nell’anno 2017. Anche io come cittadina emigrante, come cittadina brasiliana, anche io sto pagando e quindi quello che è capitato a me può capitare a qualunque persona domani, anche alla mia mamma, che è sposata: ci sono persone qui che sono sposate, che hanno figli, che sono cittadini italiani e si trovano dentro un CIE per essere rimandati a casa […]. Ho iniziato lo sciopero della fame per la mia libertà perché non ritengo giusto che io stia qui […].”