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Arrivando a Ventimiglia in treno ci si imbatte subito in quelli che sono ormai divenuti controlli ordinari: poliziotti che individuano i possibili migranti “irregolari” sulla base del solo colore della pelle nera o comunque troppo scura: quelli cioè senza il documento giusto. Quelli ai quali deve essere impedito di salire sui treni diretti in Francia nel loro tentativo di superare la frontiera. Le pattuglie di polizia aspettano le persone in arrivo lungo le pensiline o nei sottopassaggi, nell’atrio della stazione, ma anche tutt’attorno alla stessa. Sta diventando sempre più numeroso il personale di polizia in borghese, così che ai migranti risulta più difficile individuare il pericolo e scappare.
Uscendo, nella piazzetta antistante alla stazione, si possono contare una cinquantina di migranti di ogni età e sesso, pronti a partire tentando l’attraversata indipendente, o intenti a prendere contatti con i vari passeurs, operativi sul territorio di Ventimiglia.
I migranti presenti a Ventimiglia non sono solo uomini o ragazzi di qualsiasi età: da mesi arrivano sempre più donne, avviate al viaggio verso l’Europa già attraverso le dinamiche e i ricatti della tratta o una volta in Italia, facilmente agganciate dal racket, che le sfrutta in cambio del passaggio del confine. Stanno aumentando anche gli arrivi di famiglie con bambini piccoli e comunque troppo numerose per poter pagare il servizio di un passeur: a loro resta la scelta di provare a raggiungere il confine in autonomia, attraverso pericolosi percorsi nei quali sempre più frequenti sono i casi di gravi ferite e menomazioni. Negli ultimi mesi, oltre alle cadute nei dirupi e alle lacerazioni riportate cercando di scappare dalla polizia e dai militari francesi che presidiano i monti con la Legione Straniera, cani e infrarossi, sono aumentati i decessi per investimenti su autostrada, per folgorazione sui tetti dei treni o dentro gli stipetti dei cavi elettrici tra i vagoni, dove le persone sono infilate di nascosto dai trafficanti.
Inoltre è alta, per tutti e tutte, la probabilità di essere fermati dalla polizia francese sui sentieri e le strade che attraversano la val Roja come sui treni o la statale diretta a Mentone (circa 10 km separano Ventimiglia dal confine), o ancora a piedi lungo le rotaie, per essere quindi riportati a forza verso l’Italia. La linea del confine francese si estende, per zelo securitario, per molte decine di chilometri nel territorio francese, fino ad arrivare anche a Nizza, da dove quotidianamente le persone sono deportate in suolo italico. Lungo tutto il percorso, nelle zone “sensibili”, come stazioni e fermate dei pullman, valichi montani e gallerie dei treni, sono presenti pattuglie di PAF (Police Aux Frontiere), di CRS (Compagnie Républicaine de Sécurité), l’antisommossa transalpina, di militari e Gendarmerie. La PAF, polizia di frontiera francese, collabora quotidianamente con le forze italiane (una cooperazione transfrontaliera promossa dagli accordi di Chambery del 1997), scandagliando in stazione a Ventimiglia i binari e i treni in partenza per la Francia.
Il meccanismo più massiccio di controllo è attuato nella prima stazione dopo il confine, Menton Garavan: qui squadre di una decina di uomini, indossando guanti neri di pelle, controllano l’intera lunghezza del treno, aprono gli sportelli dell’elettricità, i bagni, e controllano persino sotto i sedili, nel tentativo di prendere i migranti che provano a nascondersi. Dopo molti tentativi, qualcuno riesce comunque a superare il blocco di frontiera.
Le persone fermate la sera o di notte nel tentativo di attraversare i monti, aspettano l’arrivo del mattino dentro i container della polizia francese, alla frontiera di Ponte San Luigi. In genere, il fermo dura il tempo necessario per ricevere un foglio che attesta il Refus d’Entrée: accesso negato. Durante il fermo, le pratiche utilizzate dalle forze dell’ordine francesi sono ricorrere sovente a metodi aggressivi, violenza verbale, insulti razziali. Si sono riscontrate, nelle persone rimandate a Ventimiglia: ferite da percosse e morsi di cani, le suola delle scarpe sono state tagliate, i cellulari sono stati sequestrati e le password di accesso sono state modificate per puro sfregio, così le persone si ritrovano con un telefono inservibile, perdendo tutti i contatti. Il primo Giugno una giovane donna è tornata in Italia con ferite e sangue sul volto e al capo: ha raccontato di essere stata violentemente spintonata dalla polizia francese mentre veniva tirata giù dal treno, e che cadendo ha dato una testata sulla banchina.
Si sta inoltre diffondendo e radicando la pratica della delazione: molti passeggeri dei treni che da Ventimiglia partono per la Francia avvisano i controllori e la polizia quando vedono le persone nascondersi. In Val Roja è stato istituito un numero apposito per le delazioni, da chiamare in caso di avvistamenti di migranti, così che le forze dell’ordine possano intervenire immediatamente.
Durante la cattura e il fermo, donne e figli vengono divisi dai mariti/padri: le prime sono rispedite in Italia sul primo treno utile assieme ai bambini, così da evitare imbarazzi con le autorità italiane che non dovrebbero accettare il respingimento di minorenni; mentre i ragazzi e gli uomini vengono consegnati direttamente alla polizia , che ne decreta l’ennesima espulsione e li rilascia a Ventimiglia, oppure, nelle giornate meno “fortunate” li deporta con dei pullman a Taranto.
I trasferimenti forzati verso altri centri detentivi e di identificazione del sud Italia, eseguiti con l’uso di pullman della Riviera Trasporti, la compagnia di trasporti locale, sono ormai prassi collaudata dalla primavera del 2016, così come la routine di eseguire retate improvvise nelle strade e rastrellamenti in stazione o lungo le sponde del fiume Roja.
Questo è il piano definito dal capo della polizia Gabrielli la “strategia della decompressione”. Non importa che le persone fermate siano richiedenti asilo o minorenni: se sei nero, sei deportabile. La presenza di persone bloccate e costrette a rimanere lungo le zone di frontiera crea problemi diplomatici e malcontenti popolari. Quindi, semplicemente, vale l’affermazione di Alfano: “più loro continuano a venire al nord, più noi li rispediamo a sud”.
La vita quotidiana per chi staziona a Ventimiglia in cerca di uno spiraglio per bucare la frontiera, è scandita dalle distribuzioni di pasti e vestiti (sempre tutto insufficiente, nonostante gli sforzi di privati e solidali), dalle retate della polizia, dai tentativi sempre più esasperati di arrivare in Francia. Poichè siamo nel mese di Ramadan, molti migranti musulmani hanno comunque deciso di osservare il digiuno, nonostante il viaggio e le terribili condizioni in cui versano. I pasti sono adesso serviti dai volontari, con il consenso delle istituzioni, negli orari previsti dalla festività: alle 21 la cena di rottura del digiuno: iftar; alle 3 del mattino il suhur, l’ultimo pasto prima di affrontare la giornata.
È stata abolita l’ordinanza, firmata dal sindaco Ioculano, che vietava la somministrazione spontanea di cibo ai migranti e che era stata emanata dal 2015 quando i solidali lo distribuivano in situazioni autogestite.
La distribuzione dei pasti avviene solo in un luogo determinato: un parcheggio isolato, di fronte al cimitero. Qui un paio di associazioni francesi tutte le sere somministrano il cibo: le persone sono costrette a stare in fila senza oltrepassare la linea fatta con lo scotch. Si formano lunghe attese mentre i migranti si avvicinano al banchetto che fornirà loro una porzione quando gli sarà ordinato. Il contesto è teso: alcune volte si verificano risse quando il cibo inizia a scarseggiare. La scena è delimitata da un lato dalle sponde del fiume da cui risalgono i migranti, dall’altro lato ci sono almeno un paio di pattuglie di polizia, digos e varie forze dell’ordine; i passanti iniziano a scattare foto dai cellulari e i giornalisti fanno sciacallaggio nei confronti dei ragazzi che consumano il pasto accucciati sull’asfalto. Inoltre manca l’acqua potabile e i bagni chimici: i ragazzi continuano infatti a bere l’acqua del fiume rischiando così quantomeno di contrarre infezioni gastrointestinali.
Le persone bloccate a Ventimiglia in questo momento sono approssimativamente seicento. Dall’inizio della primavera (per il terzo anno dalla chiusura del confine) si percepisce l’aumento degli arrivi, che sono destinati a salire ulteriormente in estate. Le persone si fermano da una manciata di giorni a settimane. Alcune erano passate da questa città un anno addietro: sempre più spesso ritornano persone re-inviate in Italia, poiché qui identificate la prima volta tramite impronte digitali, dalla Francia, dalla Germania e da tutti i paesi che, avvalendosi del regolamento di Dublino, li rispediscono alla casella di partenza. C’è chi, non sapendo più dove andare, etichettato come “illegale” sull’intero suolo europeo, semplicemente si ferma.
Con il G7 a Bari e Taormina anche l’Italia ha sospeso gli accordi di Schengen, chiudendo le frontiere e rafforzando ovunque il controllo militare. Le conseguenze hanno alterato il precario equilibrio delle dinamiche migratorie: a Ventimiglia, col doppio blocco in confine, i passaggi sono diventati ancor più difficoltosi e i progetti di viaggio delle persone hanno subìto un’ulteriore rallentamento. Nel frattempo, anche la “strategia della decompressione” attuata con i trasferimenti forzati, è stata temporaneamente ridotta, sia perchè molti poliziotti erano impegnati lungo i confini e nella difesa dei potenti riuniti in Sicilia, sia perchè sarebbe comunque stato sconveniente offrire alla politica internazionale la vista dello scempio di centinaia di persone ammassate nelle stazioni e nelle città di sbarco; le stesse città infatti, facevano da teatro al vertice che ha millantato, tra i punti all’ordine del giorno, la preoccupazione di affrontare e risolvere la “questione migranti”.
Ma adesso il G7 è finito: smobilitate pattuglie e rinforzi dai confini e dai luoghi del potere, la presenza di polizia e le imboscate ai migranti torneranno ad aumentare.
L’estate è sempre calda a Ventimiglia, ma ogni anno si ricomincia da dove si era arrivati l’anno precedente: la gente vuole andare avanti, e invece viene rispedita indietro, rinchiusa nei ghetti, infilata su pullman o buttata a pernottare sui pavimenti dei commissariati. I migranti vengono ammassati come bestie, trasferiti con la forza in posti a loro ignoti, senza mediatori né traduttori, numerati anziché chiamati per nome. Quando i poliziotti si riferiscono alla procedura “retata/identificazione forzosa/deportazione” affermano di eseguire il “trattamento dei soggetti”. Nel frattempo, i responsabili della pulizia etnica si organizzano ai vertici per prendere nuovi accordi con Paesi criminali (ad esempio la Libia, il Sudan e altri), disponibili a rimpatriare le persone delle quali l’Italia e l’Europa si liberano. Ma la voglia di libertà e autodeterminazione delle persone in viaggio non è arrestabile con alcun muro, controllo, e nemmeno con abusi e violenze.
Quale sarà la strategia che l’amministrazione, la prefettura e la questura, con i vari ministri e dirigenti di polizia, hanno elaborato per la gestione del territorio nei mesi a venire?
Già il 24 maggio 2017 il prefetto Silvana Tizzano, il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano ed il nuovo questore di Imperia Cesare Capocasa (il non rimpianto Laricchia è stato infatti spedito a sabotare il movimento impegnato contro la realizzazione del gasdotto Tap a Lecce), dopo una visita ufficiale al centro della Croce Rossa (CRI) sito nell’ex area ferroviaria del Parco Roja, hanno annunciato la loro lungimirante “soluzione”: è possibile che il campo della CRI (dove ora sono presenti solo maschi adulti) venga ampliato anche per le donne e le famiglie.
La posizione particolarmente isolata del luogo, lo rende assolutamente non adatto e potenzialmente pericoloso per tutte le donne che, sole o accompagnate, rischiano in questo modo di finire con ancora maggior facilità nelle reti dei trafficanti, che potrebbero agevolmente operare indisturbati lontano dagli occhi della città e in una zona già colpita dallo sfruttamento della prostituzione.
Tuttavia sembra essere questa la volontà delle istituzioni: saranno quindi aggiunti container e brande in un luogo infelice e presidiato notte e giorno dai mezzi di polizia.
Dalla sua costruzione sono pochissime le persone che decidono autonomamente di entrare al campo della Croce Rossa, sia per la collocazione distante dal centro città, ma soprattutto perchè da Febbraio 2017 è stato inserito all’ingresso del campo un ufficio di polizia appositamente dedicato all’identificazione degli ospiti tramite il sistema SPID (sistema pubblico di identificazione digitale), con il rilevamento dell’impronta dell’indice ogni volta che un migrante entra o esce dalla struttura. La procedura, oltre a costringere chi vi è sottoposto ad aspettare la risposta del sistema informatico per molti minuti, rende pericoloso l’accesso per molte persone: per coloro che abbiano sulla propria “fedina” digitale respingimenti dal suolo italiano o europeo già scaduti o altre situazioni legali “a rischio” o che comunque provengano da Paesi considerati “sicuri”, e con i quali l’Italia ha già operativi da tempo accordi di rimpatrio come l’Egitto, il Marocco, l’Algeria, la Tunisia.
A Ventimiglia è chiaro l’intento di voler segregare le persone in ghetti sempre più periferici e attuare una vera e propria pulizia etnica dell’intera città.
Non solo l’obiettivo dei prossimi mesi è di ghettizzare le persone a diversi chilometri di distanza dal centro, in una zona disabitata, ma il progetto prevede anche un’operazione di “bonifica” delle sponde del fiume Roja, attualmente rifugio per centinaia di migranti.
Il 30 maggio 2017, l’onorevole Federico Gelli, Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sull’accoglienza, si è recato in visita a Ventimiglia per valutarne la situazione.
Oltre ad appoggiare l’idea avuta da Tizzano, Ioculano e Capocasa, circa l’ampliamento del Parco Roja, il politico ha aggiunto che “va data una corretta informazione a quei migranti che pensano di non accogliere l’aiuto dello Stato italiano presso il Parco Roja e trovano una soluzione precaria sul greto del fiume. È necessario bonificare quell’area che dal punto di vista igienico-sanitario può creare problemi anche per l’intera popolazione di Ventimiglia, ma soprattutto fornire una corretta informazione ai migranti e spiegare che questo non vuol dire condizionare la loro permanenza nel nostro Paese”. Le sponde del fiume costituiscono l’unica area nella quale i migranti hanno trovato un margine di sopravvivenza all’interno della città, scelta da loro come zona sicura, al posto di un campo presidiato dalla stessa polizia che, ogni giorno, respinge e rastrella anche con l’uso di violenza. Ci sembra di ricordare il discorso di Angelino Alfano (allora Ministro degli Interni) durante la primavera del 2016: “Noi siamo un grande Paese che accoglie, ma l’accoglienza la facciamo dove diciamo noi. Non possono scegliere i migranti dove andare”.
L’annunciata bonifica dall’area, infatti, non passa solo dalla rimozione della spazzatura e dal disboscamento del greto del fiume (le persone si riparano tra arbusti e cespugli per non essere catturate), ma mira anzitutto ad una “pulizia” che “elimini” i migranti stessi, visti come il degrado che imbarazza il turismo in arrivo dalla Costa Azzurra. La soluzione ancora una volta sono i rastrellamenti di esseri umani. Le prossime settimane saranno cruciali per comprendere in quale direzione evolveranno eventi e strategie politiche.
I e le solidali provano a documentare quello che accade, produrre testimonianze e cercare il modo di continuare a lottare, nonostante la repressione che potrebbe conseguirne e che, già dal 2015 ad oggi, è stata costante. Nei primi giorni di Giugno è iniziato il procedimento in tribunale contro i compagni e le compagne accusate di occupazione per il periodo del campo autogestito ai Balzi Rossi nell’estate del 2015. In conclusione del mese di Giugno, invece, si attendono numerose udienze di delibera per vari ricorsi al provvedimento amministrativo del foglio di via, assegnato tra l’estate del 2015 e l’estate del 2016, a una sessantina di compagni e compagne, non solo dal comune di Ventimiglia, ma da un totale di 16 comuni della zona.
Si resta in attesa di evoluzioni anche in merito all’ammenda da 2.590 euro ciascuno, rifilata a una ventina di solidali, accusati di blocco del traffico in occasione di una critical mass organizzata, con il preciso intento di riportare l’attenzione sul problema della frontiera, nel luglio del 2016.
Nonostante i ripetuti sgomberi anche da spazi regolarmente affittati, gli avvisi orali di pericolosità sociale, i fogli di via, le multe, la pressione psicologica e le ripetute intimidazioni, in molti hanno deciso di violare i numerosi provvedimenti legali e rifiutarne le dinamiche fasciste, continuando a portare avanti una presenza solidale su Ventimiglia.
Continueremo ad essere presenti sul territorio per cercare di monitorare, documentare ed organizzarci contro la frontiera e ciò che questa comporta, per la libertà di tutti e tutte e per portare supporto ai migranti e alle migranti in transito sul territorio.
Siamo solidali con chi lotta per la libertà, contro qualsiasi frontiera, contro i vecchi e nuovi fascismi, contro il razzismo e le ingiustizie.
Hurriya, freedom, libertà.
I solidali di Ventimiglia