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Dopo mesi in cui nessuna voce ha superato le mura del lager di Ponte Galeria, il presidio del 23 settembre ha finalmente riaperto i canali di comunicazione con le recluse nel CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio), facendoci giungere alcune notizie.
Al momento ci sono all’interno circa 90 donne provenienti per la maggior parte da Nigeria, Marocco, Sudamerica, Cina e Ucraina. Circa 15 donne marocchine sono arrivate direttamente dal mare passando per la questura di Palermo.
Le situazioni che portano alla cattura delle donne sono spesso le retate in strada che avvengono in tutta Italia, ma ogni situazione è buona: ci raccontano per esempio che un controllo dei documenti della macchina a un posto di blocco diventa controllo del permesso di soggiorno dell’unica persona non bianca a bordo.
Tra i problemi più sentiti dentro ci sono i pasti preconfezionati “schifosi” sempre a base di pasta o riso, che arrivano a orari diversi e sempre freddi, cosa che con il cambio di stagione li rende ancora più immangiabili.
L’igiene personale è un altro punto: i saponi sono scarsi e non adatti (mancano quelli per il bucato e l’igiene intima, infatti ci dicono di essere costrette a utilizzare lo stesso prodotto per lavare tutto). Coperte, lenzuola e materassi sono sporchi e provocano prurito. Quando è necessario preparare le stanze per i nuovi ingressi, sembra che una modalità per igienizzare i materassi sia di lasciarli semplicemente fuori all’aria.
C’è grande paura che le malattie che alcune hanno possano diffondersi rapidamente vista anche la mancanza di medicx. Le uniche due medicine conosciute all’interno sono la tachipirina e le gocce “per dormire”, suggerite caldamente dai carcerieri.
Il vivere all’interno di questa struttura è reso ancor più angoscioso dall’estrema incertezza sugli iter burocratici che dettano i tempi di reclusione, variabili da poche settimane a un anno e che diventano facilmente oggetto di ricatto.
Nonostante tutto, il clima all’interno non sembra rassegnato: c’è solidarieta tra le donne e sono frequenti i contrasti con l’amministrazione quando la situazione diventa insostenibile; è inoltre grande il desiderio di comunicare all’esterno le ingiustizie subite.
L’isolamento a cui sono costrette le donne recluse non può farci dimenticare la loro quotidiana resistenza tra quelle sbarre. La loro forza deve spingerci ogni giorno a lottare qui fuori contro ogni prigione e confine.
nemiche e nemici delle frontiere