traduzione da facebook
Nella quindicesima giornata contro la condanna a morte, pubblichiamo la testimonianza di una compagna Yara Sallam, che durante la sua detenzione in carcere si trovava vicina alla sezione “speciale” delle donne recluse condannate a morte.
Come ci siamo abituate alle urla delle detenute condannate a morte
di Yara Sallam
Cerco di ricordarmi scene di esecuzioni nei film che ho visto, ma non ci riesco.
Di sicuro nessunx nel cinema ha ripreso cosa accade prima di un’esecuzione. Forse è stata ripresa l’uniforme rossa da carceratx condannatx, ma è la tunica (che le donne sono obbligate a indossare in carcere) rossa (se sei condannata a morte) in mezzo a quelle bianche ad avere un posto particolare nel cuore.
Noi non abbiamo vista l’esecuzione capitale delle donne ma le abbiamo sentite quando venivano prese prima di essere uccise.
Io prima di quel momento non avevo ancora un’opinione sulla condanna a morte.
Quando ho guardato il film “The Life of David Gale” ho iniziato a chiedermi come noi stesse potevamo lavorare a una cosa così difficile?
Non ricordo se ho visto questo film prima di entrare in carcere o dopo. Ci sono molte cose che si sono perse nel tempo. Ad esempio non mi ricordo precisamente quando abbiamo iniziato ad abituarci alle urla delle donne nella sezione “speciale”, quella delle condannate a morte.
La sezione in cui stavamo era “al-Askari”. Tra di noi e quella delle condanne a morte internate nella sezione “speciale” c’era la sezione di isolamento. Ogni volta che prendevano una donna per procedere all’esecuzione sentivamo le altre sue compagne di cella chiamarla con il proprio nome e urlare.
Le donne che stavano nella cella “speciale” mi hanno insegnato che tutto passa in questa vita, anche quando la tua compagna di cella con cui mangi tutti i giorni viene presa per essere giustiziata.
Il giorno dopo si ascolta il Corano e dopo poco quando le prigioniere fanno le condoglianze alle compagne di cella della donna a cui hanno eseguito la condanna, tutto torna alla normalità, risate e chiacchiere.
Ci dicevano che “la speciale” era piena e che dallo scoppio della rivoluzione nessuna era stata presa per essere giustiziata. Ma un giorno o due prima del 23 giugno 2014 (prima che noi entrassimo in carcere) una donna era stata presa.
Credo che dopo 15 mesi da quando siamo uscite tutte le donne sono state giustiziate, almeno dieci recluse, e poi questa cella si è riempita nuovamente. Il presidente attuale non ama la vita.
Ricordo che la prima volta che ho sentito le urla delle donne perché una prigioniera veniva portata via per l’esecuzione era il 25 giugno 2014. L’idea della morte era qualcosa di molto strana e la rifiutavamo. Abbiamo spento la radio, siamo rimaste in silenzio e abbiamo pianto. Verso la fine del nostro tempo di permanenza dentro, la morte è diventata qualcosa di molto doloroso, ma era normalizzata. Ci siamo abituate alla tunica rossa quando la incontravamo per caso.
Ci siamo abituate alle urla delle compagne di cella della prigioniera condannata a morte, ci siamo abituate alla morte. Io stessa ho smesso di scrivere quante donne venivano prese come facevo all’inizio.
Mi ricordo che un giorno mentre chiacchieravo con una delle prigioniere, diceva che non tutte le guardie avevano il cuore duro e che in molti non riuscivano ad assistere alle esecuzioni. Al tempo non capivo che differenza ci potesse essere tra fare il proprio dovere e vederne i risultati. Forse questo significa che uccidere in nome della legge, sotto la dicitura “condanna del crimine”, in fin dei conti resta pur sempre un ordine difficile da vedere accadere sotto i propri occhi?
Un giorno le guardie hanno inscenato un teatrino: dopo aver perquisito la sezione “speciale” da cui sequestrarono degli oggetti, una delle secondine è tornata a prendere due delle donne recluse con la scusa che avrebbero ridato loro gli oggetti sequestrati.
Intanto le ore passavano e noi cominciavamo a preoccuparci. Poi abbiamo scoperto che le due donne erano state prese per essere giustiziate ma non avevano il coraggio di portarle via insieme dalla sezione come sempre. Forse avevano paura che le loro compagne di cella si sarebbero opposte.
Sto cercando di ricordare dettagli, ma la mia memoria non mi aiuta o forse non voglio ricordare.
La sezione speciale è composta da dieci celle. In ognuna ci dovrebbe essere una sola detenuta. Tuttavia visto che le condannate a morte sono molte, dentro ce ne sono due.
Ogni sezione ha l’elenco delle due donne recluse. Quando l’amministrazione carceraria decide allora dicono chi prendere per l’esecuzione e quando.
Il carcere chiude presto. Allora un poliziotto insieme a diverse secondine entrano in sezione, sanno quale cella aprire ed escono. Le compagne di cella iniziano a urlare e noi cerchiamo di capire il nome che stanno dicendo per sapere chi morirà.
Non ricordo le loro storie tranne di due sorelle accusate di aver ucciso vari autisti di tok tok per poi rivendere i mezzi. Una delle due affermava che li avevano uccisi veramente e pregava Dio di accettare il suo pentimento e di perdonarla, l’altra invece diceva di non aver fatto nulla e di essere stata reclusa ingiustamente.
Dentro al carcere è difficile sapere chi dice la verità e chi mente, come può un giudice essere certo al 100% che qualcunx ha commesso un reato?
Uno dei miei denti si è rotto mentre ero in carcere, sono andata all’ambulatorio odontoiatrico dell’ospedale e ho sentito una dottora dire a una secondina: Non voglio che nessuna della sezione speciale venga qui all’ambulatorio, le vado a visitare in cella e se hanno bisogno di cure le faccio venire in ambulatorio, se no ogni due minuti una viene senza avere niente, così è impossibile!
In effetti ho pensato che questo era l’unico modo che le condannate a morte avevano per uscire dalla sezione, di passeggiare al sole, di vedere il cielo e la gente.
Chi è condannata a morte non passeggia come il resto delle recluse, le concedono l’ora d’aria fuori dalla cella, dentro la sezione; escono dalla sezione solo se vanno all’ospedale o quando hanno le visite, che sono una volta al mese, non ogni 15 giorni come le altre recluse.
Oggi (10 ottobre ndr) è la giornata mondiale contro la pena di morte o il giorno per la difesa della vita. In questo istante c’è tanta gente a cui arriva la notizia che un loro caro è stato ucciso, o “è stato giustiziato”.
Fermiamo il crimine, non la vita!