Un’altra morte e proteste dei migranti a Moria. 23 ottobre.
Traduzione da Musaferat Lesbo
Dopo la morte di una bambina di 5 anni il 10 ottobre per cause ancora ignote, un altro decesso si aggiunge ai precedenti avvenuti nel centro di detenzione di Moria.
Venerdì 20 ottobre un uomo iracheno di 55 anni ha perso la vita, diventando il morto numero 13 del campo di concentramento dell’isola. Gli esami medici indicano problemi cardiaci come causa della morte, mentre i suoi compagni di detenzione dicono che l’uomo si sarebbe rivolto alle autorità e alle ONG la settimana precedente lamentando problemi di salute ma senza ricevere alcuna attenzione. Le stesse problematiche evidenziate per la morte della bambina, costretta a dormire in una tenda estiva con i suoi genitori e 5 fratelli, che avevano chiesto coperte senza essere minimamente considerati.
Le autorità provano a dichiarare che le cause delle morte sono da imputare a cause naturali o malattie croniche; invece queste non sono altro che la trasposizione delle politiche di morte anti-immigrazione dai confini della Grecia e della UE al proprio territorio.
Migliaia di migranti sono intrappolati nei centri di detenzione, dove vivono in condizioni pessime, sfiancati dalla detenzione prolungata e disperati dall’incertezza che li circonda. L’unica causa di morte è la svalutazione della loro vite da parte delle politiche razziste dello stato. Come “corpi stranieri”, a loro non sembrano riconosciuti gli stessi bisogni di tutti, come un tetto, il cibo o l’accesso alla salute.
Dato che di recente gli arrivi sono aumentati in modo significativo mentre le valutazioni delle richieste d’asilo sono spaventosamente lente, più di 5500 migranti sono stivati nel centro di detenzione di Moria, la cui capacità non supera le 2500 persone. Questa condizione ha reso la situazione intollerabile per la maggior parte di loro, ammassati uno sull’altro, creando inoltre seri problemi di tutela delle persone più vulnerabili. Una miscela di poteri intrecciati e strumenti repressivi viene usata per disciplinare le persone migranti, che però non sempre risulta applicabile.
L’ultimo esempio è la recente protesta di 150 persone, perlopiù afgane, messa in atto venerdì 20 ottobre. Un’accesa lite tra arabi e afgani nel centro di detenzione ha portato molti reclusi a rifiutarsi di passare altri giorni lì dentro. Inizialmente, essi hanno occupato la strada di fronte al centro per una notte, pressando le autorità per accelerare le pratiche per l’asilo, ma anche per essere spostati in un posto più adatto per le donne e i bambini presenti tra loro. Il sabato mattina hanno poi provato a partire in corteo verso Mitilene per protestare, ma sono stati bloccati dalla polizia all’entrata della città. Quando la strada è stata riaperta, hanno continuato a camminare verso piazza Saffo, la principale piazza della città, dove hanno decido di stanziarsi fino all’ottenimento di risposte alla loro rivendicazioni. Dall’inizio, la polizia presente è stata molto impegnata nel tentativo di terrorizzare i migranti e di chi accorreva in loro solidarietà. Molte di queste persone sono state identificate.
Tuttavia, l’arrivo costante di sempre più persone ha costretto la polizia a ritirarsi dalla piazza dove i migranti hanno poi trascorso la notte. Dalla domenica mattina, mentre la polizia faceva pressione contro le persone solidali, le autorità cercavano di convincere i migranti ad abbandonare la piazza, promettendo loro di accelerare le procedure e trasferirli nel centro di Kara Tepe. Allo stesso tempo, diversi migranti, tra cui bambini, venivano trasferiti in ospedale per malori dovuti alla stanchezza.
Un grande impedimento per le loro richieste è rappresentato dall’UNCHR che, secondo i report, sta negando la registrazione di chi ha protestato in piazza Saffo per essere trasferito nel campo di Kara Tepe, chiedendo a queste persone di tornare a Moria, per timore che queste proteste possano diventare esempio anche per altri migranti.
Con le condizioni meteorologiche che si prevedono in peggioramento nei prossimi giorni, l’unica soluzione per i migranti e le persone solidali è il rafforzamento delle lotte. Contro la barbarie dello stato capitalista, la cultura dei confini, delle nazioni e dei nazionalismi.
Lettera delle persone migranti in protesta a Piazza Saffo a Lesbo. 27 ottobre.
Traduzione da Musaferat Lesbo
Nel nome de “L’Uno che ha creato la libertà”.
L’Unione europea deve ancora assicurare a noi rifugiati la sicurezza per cui è diventata famosa. Abbiamo viaggiato da noti luoghi pericolosi per cercare rifugio qui. Siamo venuti qui per cercare un rifugio sicuro e per essere rispettati, e alla fine dobbiamo ancora sperimentare una tale sicurezza in Europa.
Siamo liberi, e nessun paese ci può privare della nostra libertà. Secondo la Convenzione sui rifugiati firmata nel 1951, la libertà è un diritto fondamentale per ogni rifugiato e per questo ci è stato concesso il diritto di andare ovunque scegliamo in Europa. Nessun paese ha il diritto di deportare i rifugiati al loro paese o ad un altro analogo paese pericoloso. Nessun paese ha il diritto di torturare o imprigionare i rifugiati. Nessuna legge consente la violazione della dignità umana e la continua umiliazione. Tutti gli auto-dichiaratisi paesi “civili” vedono se stessi come protettori e osservatori della dignità e dei diritti umani, con particolare attenzione ai diritti delle donne e dei bambini. Tuttavia la realtà racconta una storia diversa. La realtà è che fin dal primo momento in cui siamo arrivati a Lesbo, un’isola greca che fa parte dell’Unione Europea, siamo stati sistematicamente umiliati e abbiamo dovuto subire il più grottesco trattamento fascista. Ad ogni modo, non abbiamo bisogno di scrivere su quanto avviene all’interno del campo di Moria. Una semplice ricerca su Google o YouTube vi permetterà l’accesso a qualsiasi informazione necessaria. Conoscendo questo capirete ciò di cui stiamo parlando. Siamo uomini, donne e bambini che sono fuggiti dalle bombe e sono finiti a Moria dove siamo trattati come prigionieri in un campo di concentramento nazista.
Noi, i rifugiati senza rifugio, siamo fuggiti da Moria e non torneremo lì e in nessun altro campo a Lesbo, perché vogliamo la libertà. Vogliamo il rispetto per la nostra dignità umana e vogliamo che voi seguiate le vostre stesse leggi. Vogliamo da voi l’applicazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e della Convenzione sui rifugiati del 1951, redatta da voi stessi europei.
Tenuto conto di tutto questo, molti di noi hanno deciso di cominciare uno sciopero della fame. Gli altri fra noi daranno al governo greco e all’UNHCR altri quattro giorni di tempo per riconoscere la nostra libertà, prima di unirsi a coloro che hanno cominciato lo sciopero della fame. Qui, nella culla della cosiddetta democrazia, ci costringete a cucire le nostre labbra e ad avviare uno sciopero della fame, anche se lo stiamo facendo solo per difendere la nostra dignità e la nostra libertà.
Abitanti dell’Europa, stiamo parlando con voi. Siamo venuti qui per cercare rifugio da voi. Siamo fuggiti da paesi che sono stati perseguitati e distrutti da regimi autoritari, sfruttamento e guerre. Vi consideravamo come un esempio di un collettivo amore della civiltà e della pace. Invece, scandalosamente, siamo stati semplicemente accolti non da un caldo abbraccio ma dalle tue strade fredde e desolate.
Non ci avete visto nei passati 9 giorni? Se no, allora dovreste sapere che siamo un gruppo di uomini, donne e bambini che dormono all’aperto esposti alla pioggia e al freddo.
Dovete accettarci come rifugiati, e se non volete allora restituiteci la nostra libertà di movimento. Per ripetere ancora una volta, un certo numero di rifugiati inizierà domani lo sciopero della fame, dopo quattro giorni un maggior numero di uomini e donne si uniranno allo sciopero se non accetterete le nostre richieste.
Vi lasciamo soli con la vostra coscienza.