Riceviamo dalle compagne di Barcellona e diffondiamo.
Soffia ancora forte il vento della rivolta
Cronologia e riflessioni sull’ultimo anno di lotte contro i CIE e le altre strutture di detenzione per persone migranti nello stato spagnolo
13 luglio – 52 prigionieri iniziano uno sciopero della fame nel CIE di Zona Franca (Barcellona) per protestare contro le espulsioni.
1 agosto – 86 prigionieri iniziano una rivolta nel CIE di Aluche (Madrid). Quello che chiedono è la libertà.
1 ottobre – 47 persone evadono dal CIE di Aluche (Madrid) approfittando della scarsa presenza di agenti della Policia Nacional. 86 prigionieri si rivoltano e aprono come una valanga le porte, riuscendo così a fuggire.
3 novembre – 26 persone evadono dal CIE di Sangonera (Murcia) scontrandosi con la Policia Nacional armati di utensili da cucina.
6 novembre – 60 persone tentano di scappare dal CIE di Murcia, senza purtroppo riuscirci.
16 novembre – proteste e sciopero della fame nel Centro di Permanenza Temporanea per Immigrati (Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes – CETI) di Melilla dopo la deportazione illegale di 28 persone.
Un altro anno di proteste, evasioni, rivolte e scioperi della fame nei CIE e negli altri centri di espulsione e sterminio, o come li si voglia chiamare, dello Stato spagnolo. Come abbiamo già visto negli anni passati, queste rivolte in molti casi nascono in modo spontaneo, senza la necessità di un’organizzazione formale, e si diffondono negli altri centri, mano a mano che le prigionier* si rendono conto della loro efficacia. In molti casi, queste proteste hanno come unico obiettivo la libertà, senza alcun intento di riforma o miglioramento delle condizioni di detenzione. Queste persone ci hanno mostrato che la libertà non può essere richiesta, va presa tutt* insieme, perché solo lottando insieme agli/alle altr* molt* sono riuscit* a fuggire. Nel caso dell’evasione di massa dal CIE di Madrid, alla rivolta hanno partecipato più di 80 persone e l’autorganizzazione solidale ha permesso di sfondare le porte del carcere e più della metà delle persone è riuscita a scappare. Queste esperienze sono una dimostrazione chiara di una ribellione che nasce dalla stessa tensione verso la libertà, al punto che molte di queste persone sono disposte a lottare e affrontare le conseguenze che questo comporta, anche sapendo che non tutt* riusciranno a raggiungere l’obiettivo. Come è stato osservato nel caso degli attacchi di massa alle recinzioni di Ceuta o Melilla, queste persone sanno bene che più sono le persone che assaltano le recinzioni, più possibilità si hanno di entrare, anche se non potranno mai entrare tutt*. Forse non può chiamarsi coscienza di classe, ma nell’Europa pacificata queste ci sembrano le esperienze più rivoluzionarie di autorganizzazione popolare contro le strutture del potere.
In altri casi, le proteste sono scoppiate nel momento in cui alcune delle persone detenute o appena arrivate sono state deportate, come è successo nel CIE di Barcellona o nel CETI di Melilla. Le deportazioni, tanto quelle legalizzate quanto quelle cosiddetta ‘a caldo’, generano momenti di unione collettiva, rivolta, sciopero della fame. La deportazione rappresenta solo l’ultimo anello di una lunga catena di razzismo istituzionalizzato e di violenza sistemica che le persone devono subire per il fatto di non avere documenti e di volersi muovere nella fortezza Europa. Quando le persone si ribellano contro tutto questo, per tutta risposta lo Stato cerca di deportare i testimoni delle violenze che la Policia Nacional commette contro le prigionier* in rivolta, o decide di sparpagliare i più rivoltosi in CIE diversi per allontanarl* dai/dalle propri* compagn*. Quello che ottengono spesso è che la fiamma della protesta si espande o genera nuove rivolte. Quello che ci arriva da questi luoghi isolati e opachi è un messaggio di solidarietà ribelle e di grande coraggio.
Quello che sta succedendo nei CIE dello Stato è una delle lotte più efficaci, radicali e partecipative contro la detenzione da moltissimi anni e tuttavia è stata scarsamente appoggiata e diffusa nelle strade. Troppo spesso, i gruppi anticarcerari danno risposta o appoggio pratico quasi esclusivamente alle rivendicazioni dei prigionieri in lotta nelle sezioni maschili del carcere, però c’è poca solidarietà organizzata attorno ad altri tipi di strutture detentive, come le sezioni femminili, i centri di detenzione minorile o i CIE. Il 31 dicembre è un momento importante anche per riflettere sulla necessità di una trasversalità nella lotta anticarceraria, nell’intento di allargare il discorso e lo sguardo, tenendo conto di tutte le oppressioni su cui si fonda la società.
Cerchiamo di far sì che i presidi fuori dal CIE siano così rumorosi perché l’isolamento a cui sottopongono queste persone è ancor più radicale che nelle altre carceri a cui faremo visita in quel giorno. La struttura stessa del centro, con le finestre che danno sul cortile interno, l’enorme muro che circonda l’edificio, le barriere anti-rumore e il luogo ‘NON-luogo’ in sé in cui hanno costruito il CIE, generano un sentimento di isolamento e di invisibilità. Non possiamo parlare direttamente con loro attraverso le finestre e neanche mettere della musica: da dentro si sentono solo i rumori forti. I/le prigionier* che decidono di ribellarsi, in pochissimi casi hanno potuto essere accompagnat* da una manifestazione solidale all’esterno e quando questo è invece successo è stato accolto con favore e negli anni passati è stato addirittura richiesto da dentro un appoggio alle proteste che si stavano organizzando all’interno.
Chiudiamo questo 2017 facendo arrivare il nostro rumoroso saluto alle persone rinchiuse in questa prigione per persone senza documenti, con il desiderio che l’anno che inizia sia altrettanto ribelle di quello che sta volgendo al termine, e che molte persone trovino la libertà grazie alla lotta. Desideriamo anche che i/le solidali si assumano l’impegno di stare qui fuori appoggiando le rivolte che possono generarsi, tutte le volte che questo succede e che si realizzi una risposta efficace che tolga la cappa di invisibilità che lo Stato ha voluto stendere su questa struttura, per espandere verso l’esterno le voci di tutte quelle persone che decidono di lottare contro la prigionia, contro le frontiere e contro le deportazioni.
Che la lotta continui, fino a che tutt* non saremo liber*!