fonte: Campagne in lotta
Finisce un anno e ne comincia un altro, l’ottavo dalla rivolta di Rosarno, ma nei campi di lavoro calabresi nulla cambia. Nel pieno della stagione di raccolta, la vecchia tendopoli di San Ferdinando che le istituzioni non sono ancora riuscite a sgomberare grazie alla resistenza dei suoi abitanti, è stracolma di persone. Ai suoi margini spuntano costantemente nuove baracche che ospiteranno aspiranti lavoratori e lavoratrici, e molti altri che non troveranno nemmeno lavoro, ma per cui i ghetti e i campi sono diventati l’unico riparo possibile.
E la “nuova” tendopoli?
Ostentata e osannata dalle istituzioni e da buona parte del mondo dell’associazionismo e dai sindacati confederali e di base, e descritta come soluzione che avrebbe apportato un “netto miglioramento delle condizioni di vita”, a quasi cinque mesi dalla sua inaugurazione non viene più difesa da nessuno: chi ci vive dice che è mezza vuota, mentre a chi da fuori chiede di poterci entrare viene risposto che non ci sono più posti. Pare che gli ostacoli siano la lunghezza e la noia delle pratiche burocratiche di registrazione di ogni nuovo ospite, che quindi vengono evitate. Anche alcuni operatori della protezione civile (o meglio dell’associazione a cui la protezione civile ha informalmente appaltato la gestione della tendopoli) si sono licenziati dopo non essere stati retribuiti.
E mentre a coloro che erano stati ospitati nella fabbrica Rizzo viene ora imposto di trasferirsi nella nuova tendopoli o di andarsene, vivere nella nuova tendopoli è diventato sempre più difficile: acqua ed elettricità mancano continuamente e non ci sono né riscaldamento né fornelli per cucinare, tant’è che in molti tornano alla vecchia tendopoli per poter mangiare.
Come era stato previsto al suo annuncio, il progetto della nuova tendopoli è un fallimento anche agli occhi di chi l’ha costruita e si rivela chiaramente per quello che è: un modo fra i tanti dispiegati dal sistema di accoglienza di fare business con la gestione ed il controllo degli immigrati, mascherato da eccezionale e generosa soluzione abitativa.
Fallisce la tendopoli non solo perché non ha risolto – semmai ha incrementato- la precarietà abitativa dei lavoratori delle campagne, ma fallisce anche perché non riesce nell’intento di contenere la rabbia di tutti coloro che ci vivono e che rifiutano di accettare le stesse pessime condizioni di vita e di sottostare a repressione e controllo costanti. In molti nei giorni scorsi hanno cominciato a rifiutarsi di mostrare il badge e di dare le impronte per entrare ed uscire dalla tendopoli; in così tanti si sono opposti che gli operatori li hanno pregati di pazientare promettendo cambiamenti “dopo le vacanze”.
La nuova tendopoli è solo la più recente delle dimostrazioni di quanto questa presa in giro venga promossa e perpetuata, con la pretesa di essere presentata come soluzione ottimale agli occhi del mondo. Lo sa bene chi vive in questi luoghi, che dopo la lotta e l’opposizione al trasferimento coatto della scorsa estate, continua ad attuare forme di dissenso e protesta a fronte del fallimento e del menefreghismo delle istituzioni. Ma questa lotta e questa rabbia hanno bisogno di sostegno e supporto da parte di tutt, per farsi megafono di una situazione che continua a degenerare non solo a San Ferdinando ma in molte campagne del Sud Italia. Per dimostrare come le soluzioni messe in piedi dal governo e dallo Stato non siano altro che, una volta in più, un modo per far circolare soldi sulla pelle delle persone.
Agli sgomberi, alle minacce e alla repressione risponderemo in un solo modo, oggi come otto anni fa: continuando a lottare.