Sabato 24 Febbraio una ventina di solidali si sono ritrovate/i davanti alle mura del CPR di Ponte Galeria per esprimere l’odio contro questa infame prigione come contro ogni gabbia, e per provare a comunicare con le donne recluse, a rompere quel muro di silenzio e indifferenza che le rinchiude e isola.
I nemici e le nemiche delle frontiere hanno trovato ad accoglierle/i, oltre al consueto dispiegamento di forze dell’ordine, anche un folto gruppo di giornalisti, bramosi di immortalare questi famigerati “gruppi di antagonisti” – di cui si era parlato nei giorni scorsi sui giornali – che avrebbero protestato “contro le politiche di immigrazione” (sempre parole loro) cavalcando l’onda di questo sabato di proteste in una Roma più che mai blindata, sperando di riprendere magari qualche succoso tafferuglio. Ma l’accoglienza è stata tutt’altro che calorosa: abbiamo ribadito infatti il rifiuto verso qualsiasi informazione che passa per i media mainstream e la loro complicità nel silenzio che aleggia quotidianamente sulle vite delle donne recluse come su ogni forma di oppressione. I giornalisti, presenti a Ponte Galeria solo quando c’è aria di scoop e pronti a rigirare il tutto in chiavi pietiste e di commiserazione, colpiti nell’orgoglio, hanno poi scritto i soliti articoli ridicoli, non smentendosi..fanno sempre piacere le poche certezze della vita!
Tutt’altro che interessate a passare il tempo a litigare con i giornalisti, le attenzioni sono state quindi rivolte alle donne dentro. Per circa due ore si sono succeduti interventi in più lingue, cori e musica cercando di instaurare una comunicazione sempre più difficile a causa delle continue minacce che ricevono se parlano al telefono con le persone fuori e del fatto che, come di consueto, durante il presidio vengono tenute chiuse e riescono quindi a sentire ben poco. Nonostante questo, una donna è riuscita a segnare il numero che viene urlato al microfono e a chiamare, raccontando di continue deportazioni, di donne portate lì appena sbarcate, senza sapere dove si trovano e dove hanno portato i loro cari, di bugie e inganni: “ti portiamo dal dottore” e invece ad attenderle c’è un volo di rimpatrio e dei sacchi neri della spazzatura contenenti le loro cose. Da quello che è stato raccontato, al momento dentro sono circa una sessantina, molte delle quali provenienti dal Maghreb(Marocco e Tunisia), alcune romene, e quasi nessuna parla italiano; molte di quelle che lo parlano vengono dal carcere, in questo continuo rimbalzo da una prigione a un’altra perché durante il periodo di reclusione scade il permesso di soggiorno.
Il presidio si è concluso con il consueto lancio di palline contenenti messaggi di solidarietà e il numero da chiamare, con la speranza di poter raggiungere quelle donne che non hanno potuto ascoltare quanto detto dal microfono.
È sempre forte la determinazione a ritrovarsi lì fuori, a combattere contro ogni frontiera, a far sentire alle donne recluse la nostra solidarietà, a raccontare fuori quello che succede lì dentro, a desiderare la distruzione passo dopo passo di ogni galera.
Tutte e tutti liberi
alcune nemiche e alcuni nemici delle frontiere