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Accoglienza e deportazioni: un business senza confini
Mentre la sezione maschile del CPR di Ponte Galeria resta ancora distrutta dalla rivolta del dicembre 2015, gli affari che interessano quel lager non si fermano e infatti, dopo l’assegnazione dell’appalto per i lavori di ristrutturazione non ancora iniziati, la Prefettura non ha certamente perso tempo nella ricerca di nuovi complici delle deportazioni.
Dopo una accurata e mirata selezione, sono infatti due le cooperative tra cui scegliere chi vincerà l’ambìto bottino di 8.847.350,40 euro per la fornitura di beni e servizi (abbigliamento, letti, pasti) destinati alla prigione di Ponte Galeria: si tratta delle già famose Albatros 1973 di Caltanissetta e Badia Grande di Trapani.
Entrambe le cooperative, oltre ad aver avuto e tenere ancora le mani in pasta in diversi centri accoglienza e di espulsione in Sicilia (il cara di Mineo e l’hotspot di Milo, solo per citarne alcuni), sono note per esser state spesso al centro di numerose proteste da parte delle persone intrappolate in questi centri, nonché dei propri lavoratori che ne hanno denunciato la “cattiva gestione”. Inoltre, non sono nuovi i tentativi di fare affari anche fuori dalla regione: entrambe le cooperative si erano già presentate, nel 2017, per accaparrarsi il bando del più grande hub del Veneto, ovvero quello di Bagnoli di Sopra. In questo caso, la coop Albatros 1973 era stata esclusa per alcune irregolarità, mentre a vincerlo è stata poi proprio Badia Grande, grazie a un’offerta al ribasso notevole rispetto la proposta di spesa per ogni “ospite” stabilita dal bando. Inoltre, la coop Albatros 1973 gestisce anche un CAS a Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze e ha partecipato a diversi bandi per l’accoglienza, in Toscana ed Emilia.
Non è interessante in questo momento elencare le diverse indagini, interrogazioni parlamentari e denunce a carico di queste due cooperative (ricordiamo tra tutte il sacerdote Don Librizzi, presidente di Badia Grande ed ex Caritas, che coperto da guardie e istituzioni, ha continuato a stuprare migranti promettendo loro i permessi di soggiorno) : non indigna né stupisce certamente che lo Stato che indaga sulle “irregolarità” sia poi lo stesso che affida nuovi incarichi di lavoro alle stesse aziende che per anni hanno agito violenze e lucrato sulla vita delle persone migranti. D’altronde cos’è il potere se non il perpetuarsi dello sfruttamento e della violenza? E cosa sono queste cooperative se non molteplici e diffuse protesi con cui lo Stato esercita la sua forza dietro la maschera dell’umanitario?
Importante è però ricordare che se per cooperative e Stato questo è un giro di soldi e una macchina di repressione, per le persone costrette a gravitare per tempi infiniti in centri di accoglienza o CPR, significa prigionia e spesso morte.
Non si può dimenticare, per esempio, che la cooperativa Albatros 1973 sia tristemente nota anche per la morte “sospetta” di due uomini reclusi nell’allora CPT di Caltanissetta durante gli anni della sua gestione: Mehdi Alih, nella notte tra il 30 dicembre 2005 e il 1 gennaio 2006, e Yussuf Abubakr nel giugno 2008, entrambi uccisi per negligenza e ritardi nei soccorsi.
Alla luce di queste brevi informazioni, appare ancora una volta assai ridicolo pensare a una riforma del sistema dell’accoglienza, o chiederne una “gestione onesta e trasparente” perché riformare il sistema significa solo farlo funzionare meglio, ovvero gestire e controllare le persone in maniera ineccepibile, secondo i criteri dei sinceri democratici.
La “buona accoglienza”, così ricercata dai membri della società civile, non vuol dire altro che la trasformazione del migrante in risorsa da gestire, selezionare, mettere a frutto, espellere.
Come nemiche e nemici di ogni frontiera il dibattito su cattiva e buona gestione non ci interessa, la libertà non può essere né controllata né gestita.
L’unica trasparenza che desideriamo sarà quella dello spazio vuoto lasciato dopo la distruzione di ogni CPR o centro d’accoglienza.
nemiche e nemici delle frontiere