fonte: Anzacresa
Oggi, 26 Marzo, siamo andatx al Cpr di Palazzo San Gervasio per portare solidarietà ai ragazzi reclusi, circa un centinaio provenienti in parte dall’hotspot di Lampedusa, incendiato a seguito di una rivolta. Nonostante le mura che ci dividevano siamo riuscitx a comunicare con loro, che hanno da subito urlato la loro voglia di libertà con la disperata consapevolezza di chi sa di trovarsi in un carcere.
“Libertà, libertà! Questa è una prigione!”: il grido che si sente provenire dal campo. Nel frattempo fuori intervengono le forze dell’ordine che procedono all’identificazione del gruppo, all’interno del campo, improvvisamente, cala il silenzio. Nell’attesa infinita dei controlli, l’aprirsi del cancello d’ingresso del Cpr per far spazio a macchine, volanti e mezzi di trasporto vari, ha reso possibile vedere e salutare alcuni dei ragazzi, seppur attraverso le sbarre. Mentre all’interno dei Cie prima e dei Cpr oggi, da anni i reclusi portano avanti un percorso di lotta e autodeterminazione c’è chi, sulla loro pelle, da infame, si costruisce una reputazione e falsa credibilità innalzandosi a paladino e protettore dei loro diritti.
Poco più tardi dei ragazzi all’interno sono riusciti a farci sapere di essere stati picchiati pesantemente da più poliziotti, con manganelli, calci e pugni per sopprimere ogni loro dissenso. Ci hanno gridato la volontà di rendere noti gli abusi da loro subiti e le condizioni in cui vivono ogni giorno (pestaggi, minacce e intimidazioni, cellulari spaccati, pessime condizioni igienico-sanitarie, docce fredde all’aperto, impossibilità di parlare con avvocati o di essere informati, assenza di beni primari, scarsa alimentazione…).
Li abbiamo sentiti determinati a resistere, “rincuorati” di non essere soli e motivati a continuare la lotta per essere liberi.