riceviamo e diffondiamo:
Venerdì 29 giugno, una ventina di compagnx si è ritrovata ancora una volta davanti le mura di Ponte Galeria per supportare le resistenze quotidiane delle donne immigrate recluse nel lager romano.
In una fase storica in cui il fascismo, il razzismo e la xenofobia la fanno da padroni, che sia in parlamento o nel bar del quartiere; in un periodo in cui quasi quotidianamente muoiono migranti inghiottitx dal Mediterraneo a causa del regime delle frontiere o vengono ammazzatx biecamente sui luoghi di lavoro o nelle strade; in un momento in cui ogni giorno si assiste quasi inermi e indifferenti alla violenza delle retate e alla persecuzione, marginalizzazione, criminalizzazione e invisibilizzazione di migliaia di individui solo perché nati “nel paese sbagliato”, ancora una volta sappiamo da che parte stare.
Ancora una volta abbiamo scelto, a dispetto dell’isolamento e della partecipazione esigua, di tornare di fronte al CPR per urlare il nostro odio contro un sistema che esclude, reprime, ingabbia e deporta migliaia di persone; contro uno Stato – e ogni stato – che porta avanti senza tregua la sua guerra colonialista, e quella sì non conosce frontiera alcuna. Nessun confine né limite quando si tratta di depredare, sfruttare, distruggere territori, stuprare e uccidere persone.
Abbiamo di nuovo scelto di essere lì davanti per comunicare con le donne recluse, raccontare le lotte che le persone immigrate portano avanti per affermare e rivendicare la propria esistenza; per far sapere alle detenute che non sono sole e che vogliamo continuare a essere lo strumento che permette alle loro voci di sfondare quelle infami mura.
Tra cori, musica e interventi in più lingue, per circa due ore il presidio è continuato mentre dall’interno arrivavano le prime telefonate che ci hanno permesso di riprendere alcuni contatti con le detenute, interrotti da un mese perché le donne con cui comunicavamo sono uscite.
Dalle telefonate abbiamo appreso che, come sempre, le donne erano state chiuse a chiave nelle celle dalla mattina, senza quindi la possibilità di uscire in cortile o andare in palestra. Il tutto arricchito dai soliti discorsi (delle guardie e degli operatori) che mirano a spezzare la solidarietà tra le recluse e i/le compagnx fuori, accusatx appunto di essere la causa di questa ulteriore restrizione a danno delle detenute. Restrizione che viene attuata anche quando, dopo un presidio o uno dei saluti solidali che vengono fatti ogni tanto, le guardie escono in ronda per cercare e sequestrare le palline da tennis che lanciamo con dentro messaggi e il numero di telefono per le detenute.
Da quello che sappiamo, al momento all’interno del CPR ci sono circa 30-35 donne di diversa provenienza, alcune detenute da più di 8 mesi e chiaramente stremate dalle condizioni di detenzione. Alcune informazioni rispetto il bando per la nuova gestione del CPR ( che al momento sembra passata nelle mani della cooperativa Albatros 1973, di cui si parla qui) ci rivelano che, durante i lavori di ristrutturazione del lager, la capienza massima sarà di 51 recluse.
A tutta questa violenza vogliamo rispondere con la nostra solidarietà e il calore della nostra rabbia, finché la voglia di libertà non infiammi ogni gabbia.
Sempre a fianco di chi resiste e lotta in ogni prigione
nemiche e nemici delle frontiere