Ieri mattina un gruppo di donne provenienti dalla Nigeria ha portato avanti un blocco stradale a singhiozzo per ottenere documenti e libertà, protestando contro l’obbligo di vivere in un centro di accoglienza posto in una frazione di Castiglione di Garfagnana, mal collegata con Lucca tanto da renderle completamente isolate da due anni esatti.
Il blocco stradale diquattro ore ha probabilmente riguardato l’unica via principale e i residenti, a detta della stampa locale, piuttosto che ascoltare, comprendere e unirsi alla protesta, hanno pensato unicamente di allertare le forze dell’ordine che sono intervenute ripristinando la quiete tombale con qualche difficoltà.
La loro deportazione in questa frazione aveva destato polemiche nella giunta locale proprio nell’agosto 2016, quando il sindaco Daniele Gaspari l’aveva considerata, infatti, un’imposizione della Prefettura.
Imposizione prefettizia che ha fatto gola a un privato che guadagna affittando 4 immobili adibiti a centro di accoglienza, e alla cooperativa che gestisce, a detta stessa delle donne in lotta, la vita delle persone costrette a viverci.
L’arrivo di queste donne a Castiglione di Garfagnana è da ricondursi alle operazioni di “alleggerimento” che hanno riguardato, a più riprese, la tendopoli-hub delle Tagliate (Lucca), gestita dalla Croce Rossa.
Vi abbiamo recentemente parlato di questa tendopoli nel caso di un TSO a cui una ragazza nigeriana è stata recentemente costretta, proprio perché voleva lasciare il campo e scegliere dove vivere con sua figlia.
Sembra evidente che anche a Lucca e provincia sia chiaro il business legato alle cosiddette “categorie vulnerabili”, etichetta attribuita alle donne costrette a fare richiesta di protezione internazionale per entrare nel territorio europeo, bollino prezioso per chi gestirà il loro percorso a tappe nel sistema campo.
Di fatto, se da una parte questa denominazione e la conseguente infantilizzazione permettono alle cooperative di guadagnare più soldi sull’accoglienza di queste donne, dall’altra le commissioni che decidono sulla protezione internazionale non si fanno problemi a diniegare le richieste di regolarizzazione, spingendo queste donne a diventare clandestine.
Vi lasciamo alle loro parole riportate nei giornali e alle foto dei cartelli portati nel blocco stradale, con le loro chiare rivendicazioni:
“Siamo qua da due anni e ancora siamo in attesa di una risposta dalle commissioni. Otto di noi hanno ricevuto una prima risposta negativa, mentre le altre ancora aspettano. Lo Stato italiano non ci riconosce. Nel frattempo ce ne stiamo quassù, dove d’inverno il freddo e la nebbia fanno paura, senza fare niente e senza documenti. Abbiamo solo soggiorno e tessera sanitaria.
Quello che chiediamo sono però i documenti per la residenza. Stiamo per di più in una zona remota con scarsi collegamenti con i mezzi pubblici. Basti pensare che il pullman per Castelnuovo, da noi, passa solo due volte.
La mattina, alle 10, e il pomeriggio, alle 15.20. Se qualcuna di noi dovesse recarsi a Lucca, il primo treno disponibile sarebbe alle 11.50, ma, al ritorno, non saremmo in grado di prendere l’ultimo pullman disponibile per tornare a casa”.
e ancora:
“Stamattina abbiamo manifestato davanti a casa nostra – concludono – ed è intervenuta anche la cooperativa che ci gestisce, oltre ai carabinieri. Ci è stato detto che cercheranno di risolvere il problema. Noi però non vogliamo stare più qui senza fare niente”.