Lo scorso 5 agosto il ministro degli esteri italiano ha incontrato il suo omologo egiziano. Oltre a discutere dell’assassinio di Giulio Regeni ostentando tutta la loro complicità, i due ministri hanno affrontato sia la questione della guerra e delle elezioni in Libia, sia il tema del blocco dei flussi migratori. Non si tratta di una novità: già nel dicembre 2017 l’allora ministro degli interni Minniti aveva incontrato il presidente dittatore al-Sisi per parlare degli stessi argomenti. Nel settembre dello stesso anno è stato firmato un accordo tra i due ministri degli interni in cui l’Italia si impegna ad addestrare al Cairo personale di polizia di 22 paesi africani specializzati in “migrazione illegale”.
Durante l’ultimo incontro non si sono registrate sostanziali novità. Il ministro Shoukry si è limitato a confermare gli “ottimi rapporti con il governo italiano”, sottolineando che fin dal settembre 2016 l’Egitto ha mantenuto i suoi impegni come partner di primo piano dell’Unione Europea nella gestione e controllo di quella che chiamano “crisi migratoria”. Nonostante ciò il paese rifiuta di installare (insieme a Tunisia e Algeria) nel proprio territorio dei campi per rifugiati(i campi richiesti dall’Ue dove trattenere e selezionare le persone migranti).
Intanto la repressione nel paese non si ferma. A 5 anni dal massacro di Rabaa (dove in poche ore vennero massacrate più di 800 persone che protestavano pacificamente), e di altre carneficine che seguirono ovunque nei giorni successivi, la situazione dei e delle migliaia di detenutx non fa che peggiorare.
Nei giorni scorsi la mamma di Alaa Abdel Fattah, durante la visita in carcere al figlio è venuta a sapere che il dottor Jamal Abdel Fattah era stato trasferito in ospedale e poi rimesso in cella, senza che nessun membro della famiglia fosse stato avvisato. Il dottore ha 72 anni ed era già malato prima di venire arrestato. In prigione (in attesa del processo da 5 mesi) senza cure, né medicine, le sue condizioni di salute sono peggiorate di molto e ora rischia di morire. A niente è servito chiedere la sua scarcerazione, né il suo spostamento in un ospedale.
Di violenze, vessazioni e abusi sono vittime anche altrx prigionierx.
“Ahmed Douma è da più di 4 anni in isolamento in carcere, il suo stato di salute peggiora, il Ministero dell’interno si diverte a effettuare esperimenti sociali sui detenuti. Per esempio, rinchiudono i prigionieri ritenuti pericolosi in spazi piccoli e ristretti per poi osservarli litigare, si tratti di due gruppi opposti o un gruppo a picchiare una sola persona, loro si limitano ad osservare. Questa è la situazione di Douma dall’inizio della sua reclusione”.
Nei giorni scorsi la famiglia di Ahmad Douma, tra i fondatori del movimento 6 April, uno dei ragazzi più attivi contro il regime fin dai tempi di Hosni Moubarak, ha rilasciato questo comunicato:
“Per la terza volta di seguito in un anno, Ahmad Douma subisce un tentativo di pestaggio da parte di altri detenuti implicati nel processo di organizzazione dello Stato islamico nel Sinai e di alcuni reclusi definiti dalla direzione carceraria come appartenenti allo stato islamico ISIS.
La prima volta una persona ha provato ad ucciderlo mentre faceva gli esami nel carcere di Torah. È stato un episodio orribile. Ahmad è riuscito a scappare dopo l’intervento di uno dei partecipanti all’aggressione che lo ha minacciato di morte quando sarebbe uscito dal carcere. Il tutto nella più totale mancanza di intervento da parte della sicurezza interna al carcere.
Il secondo tentativo è avvenuto all’interno della cella del tribunale, in una delle udienze del processo di Maglis al-Wuzara’ (Consiglio dei ministri), per cui è ancora dentro. In assenza dei secondini che lo avevano “dimenticato” apposta, Ahmed è stato rinchiuso in una cella adiacente e comunicante con gli imputati accusati di appartenere allo Stato islamico nel Sinai. Le gabbie sono state aperte. Viene da chiederci se questi non siano dei tentativi da parte delle guardie di far assassinare Douma, usando le divergenze politiche dei reclusi, nonostante essi ne siano perfettamente a conoscenza e il tutto sia stato da noi più volte denunciato.
Questi eventi si sono ripetuti con le stesse dinamiche anche oggi in una cella durante un’udienza in tribunale. Le guardie hanno impedito alla difesa di vederlo, di assicurarsi della sua integrità e di denunciare l’accaduto. Inoltre, è stato negato alla famiglia di assicurarsi della sua integrità, con il rifiuto di ricevere visite. Il Ministero degli interni è completamente responsabile dell’integrità di Douma. Chiediamo che siano fatte delle indagini e che siano prese delle misure appropriate contro i secondini responsabili della ripetuta negligenza nei suoi confronti.
Ricordiamo anche che il ministero dell’interno che si rifiuta di intervenire è lo stesso che insiste a tenere Douma in isolamento dal 3 dicembre 2013 con la scusa di proteggerlo dal resto dei detenuti reclusi con lui. Chiediamo, pertanto, che siano prese le dovute precauzioni quando l’integrità di un detenuto è a rischio, mettendolo in cella con uno dei suoi amici”.
Si tratta solo di alcune testimonianze di quello che quotidianamente accade nelle carceri del regime.
Fuoco alle galere!
Libertà per tuttx i/le detenutx!