Il 9 settembre scorso Gamal Abdel Fattah di 72 anni e Hassan Hussein di 62 anni sono stati scarcerati. Nonostante le loro condizioni di salute fossero pessime, lo Stato criminale non ha perso occasione di torturare i due oppositori politici fino all’ultimo momento. In effetti, l’ordine di scarcerazione è stato rilasciato il 4 dello stesso mese. I restanti 5 giorni Gamal e Hassan li hanno passati in commissariato, in misere celle, super affollate, senza cibo, né acqua, né sonno. L’unica cosa positiva è che i due compagni sono finalmente liberi.
Si aspetta anche l’ordine di scarcerazione per Yassin che ha finito di scontare la pena di due anni per manifestazione non autorizzata. Come tanti altri detenuti anche lui è costretto a vagare da un luogo di detenzione all’altro prima di essere libero.
Il regime comunque non dà alcun segno di tregua. Sempre il 9 settembre la Corte Criminale del Cairo ha emesso le sentenze per 739 persone (di cui 5 morte durante il processo) detenute a seguito dell’eccidio di Rabaa nel 2013: 75 condanne a morte, 47 al carcere a vita, 374 a 15 anni, 23 a 10 anni, 5 anni ai restanti.
Qui di seguito pubblichiamo la traduzione di una lettera scritta in carcere da Abdel Rahman al-Gendy, uno studente di 22 anni, arrestato a piazza Ramsis (Il Cairo) nell’ottobre del 2013. Quattro mesi dopo l’estromissione del presidente Morsi, tre mesi dopo il massacro di Rabaa.
Insieme ad altre 60 persone, è accusato di tentato omicidio, vandalismo e detenzione di armi e disturbo della quieta pubblica.
La sentenza è di 15 anni di carcere e 5 anni di libertà condizionata e una cauzione di 20.000 L.e., emessa dalla corte del Cairo il 30/09/2014.
Nel marzo del 2016 l’ultimo appello è stato rigettato dalla cassazione.
Abdel Rahman aveva vinto una borsa di studio per studiare ingegneria all’università tedesca del Cairo, non aveva ancora 18 anni quando è stato arrestato.
In quanto detenuto ha perso il suo posto all’università, ora è iscritto all’università di Ein Shams e studia dal carcere di Tora.
“Spero di vedervi presto,
così ho concluso la lettera che ho spedito alla mia famiglia con la richiesta di portarmi alcune cose al prossimo colloquio (questa lettera l’ho data a un mio compagno di cella che la consegnerà a mano alla moglie che a sua volta la darà a mia madre il giorno dopo del suo colloquio).
Cerco di dare alla mia famiglia un po’ di sollievo dopo la brutta notizia che non ci sarà nessuna amnistia per la festa del Eid (festa del sacrificio N.d.T). In occasione delle feste speriamo sempre di poter far parte delle persone che escono di galera.
Come tutti i giorni dopo la preghiera, a quest’ora si spengono le luci. Così mentre accendo la mia piccola luce mi rendo conto di essermi scordato di augurare alla famiglia buone feste per l’Eid. Penso tristemente che ormai la festa del Eid non ha più alcun senso per me, se non appunto la possibilità che esca con l’indulto o di ricevere un colloquio in più.
Prendo un libro e inizio a leggere, nell’altra mano ho una tazza di caffè. Le ore dopo l’ultima preghiera sono le mie preferite durante la giornata.
È buio e tutti dormono ancora, in questo frangente posso scrivere e pensare fino alle 7, ora in cui mi metto le cuffiette e ascolto Fairuz alla radio. Da quando ho scoperto questo piccolo tesoro aspetto con impazienza questo momento. Poche persone apprezzano il fatto di poter ascoltare quello che vogliono quando vogliono.
Sorrido mentre Fairuz canta: “Fammi visita una volta all’anno …, vergognati se un giorno mi dimenticherai”, rido da solo, sembra che lei lo sappia.
Le persone pensano che ci si abitua al dolore se questo perdura. Sbagliano! Forse troviamo delle scappatoie per convincerci, ci lavoriamo, a volte lo ignoriamo, ma non ti abitui mai. Ogni volta fa male come fosse la prima volta.
Oggi è il primo giorno dell’undicesima Eid che passo in carcere. Il numero mi impaurisce. Tutti questi numeri, la mia vita in carcere inizia a terrorizzarmi.
Ho una strana nostalgia, quella di voler passare l’Eid a casa: la preghiera alla moschea principale del Rehab, l’atmosfera che si respira, le visite a casa di mia nonna con i parenti che vedo una volta all’anno nel quartiere di al-Abbasiya.
Mia nonna è morta durante la mia detenzione in carcere, non ci saranno più le visite a casa sua.
Mi chiedo: “Quanti altri ricordi nella vita il carcere ucciderà?”
Penso alla teoria che ho sviluppato negli ultimi anni: ogni fenomeno passa per tre stadi come un cerchio, inizia da zero, arriva al picco per poi ritornare allo stadio iniziale.
All’inizio questi passaggi sono evidenti, l’essere umano, per esempio, nasce debole poi diventa forte poi ritorna debole finché non muore.
Mi sembra che tutte le esperienze umane seguano questa traiettoria.
Prima vivevamo vicino alla natura e usavamo le sue risorse, più tardi con l’evoluzione e lo sviluppo della conoscenza e della scienza siamo arrivati all’industrializzazione, ma ora che tutto questo ha perso il suo fascino, ora l’umanità ricerca il contatto con la natura e le sue risorse e così via.
Lo stesso accade a me, all’inizio della mia detenzione ero pieno di emozioni, ogni cosa mi deprimeva, tutto, con il passare del tempo le mie emozioni si sono fermate, ho imparato a schivare i pensieri dolorosi e le feste sono diventate un giorno come un altro. Ora ancora una volta sono pieno di dolore e provo nostalgia per casa.
L’indifferenza mi ha scioccato e colmato di dolore. Tra meno di un mese inizierà il mio sesto anno in carcere, un altro numero terrificante, cerco di non pensare che ne mancano altri 5 prima che io esca.
Digrigno i denti al solo pensiero, una volta questa possibilità di rimanere altri 5 anni era molto più orribile e ora so nel profondo che tutto è sopportabile.
Nonostante questa verità ho una sensazione di paura addosso che non mi prepara a sopportare meglio il dolore.
Ancora non mi capacito che sono passati 5 anni.
Tra tre mesi sarà il mio ventitreesimo compleanno, uno dei numeri peggiori.
Nei miei piani di tanto tempo fa, in questo momento avrei dovuto essere da tutt’altra parte, facendo altro, magari avrei avuto un curriculum pieno di esperienze.
Sto lasciando da parte sogni e ambizioni, prima riuscivo a misurarli in mesi o anni, ma ora un altro sogno muore con ogni giorno che passa.
Non riesco a smettere di pensare quale sarà il prossimo sogno o persona che morirà. Il dolore è diventato insopportabile.
All’inizio della mia detenzione in carcere provavo un dolore costante alimentato dalla paura per l’ignoto.
Con il passare del tempo ho imparato a usare ogni secondo utile per conoscere e approfondire tutto ciò che ho intorno, assorbendolo come fa una spugna, così che l’entusiasmo prendesse il sopravvento sulla paura, ma ora sia il dolore che la paura sono tornati come vecchi amici a vivere con me. E ancora il pensiero di queste tre fasi.
C’è qualche possibilità che questo incubo finisca prima o poi? C’è qualche speranza che il sole sconfigga le nuvole al di là di ogni aspettativa?
La risposta di Fairuz è: “Si, c’è speranza, a volte appare dopo la noia”.
Annuisco e penso che sia vero, lo stesso vale per la noia e spero che Fairuz abbia ragione.”