Accoglienza e controllo
Con il termine “accoglienza” si intende l’insieme delle strutture e degli strumenti istituzionali e delegati ai privati utilizzati per gestire la persona migrante dal momento del suo ingresso nel territorio nazionale fino alla supposta integrazione nella società.
È definita e organizzata da precise procedure in base alle condizioni e alla situazione di appartenenza della persona “accolta”, la quale viene sottoposta a un processo di spersonificazione e mercificazione.
Il processo di accoglienza segue una serie di iter: la prima fase di selezione comincia nei centri di prima accoglienza e soccorso (Cpa, Cpsa) e negli hotspot, dove avviene l’identificazione e la valutazione della richiesta d’asilo. Già in questa prima fase però si possono verificare situazioni differenti: se la persona migrante decidesse di non intraprendere l’iter per la regolarizzazione o se non dovesse soddisfare i requisiti necessari, si procederebbe con la reclusione in un Cpr o con l’immediata espulsione; qualora invece la persona migrante scegliesse di presentare una richiesta d’asilo, avrebbe inizio la fase d’attesa e, analogamente ad un pacco postale, verrebbe smistata in un centro di seconda accoglienza, ora riservato solo alle persone titolari di protezione internazionale e a minori non accompagnatx. L’introduzione dell’ultimo decreto di sicurezza ha negato a* possessor* di protezione umanitaria e protezione speciale di continuare il percorso nel sistema di accoglienza.
Coloro che sopravvivono alle selezioni e ai filtri dettati dalle istituzioni passano alla fase successiva, che consiste nel rimanere per un lunghissimo periodo – durante il quale avverrebbe la presunta integrazione – all’interno dei centri gestiti da cooperative e privati. Qui vengono sottopostx a rigidi meccanismi di controllo su orari, corsi da seguire, volontariato da portare a termine e altri regolamenti imposti con il ricatto di continuare o meno a vivere in Italia.
Un rifiuto, un tentativo di indipendenza o auto-gestione porta alla fuoriuscita da questo circuito, condannando la persona nel limbo dell’irregolarità, al carcere (tradizionale o al CPR) e all’espulsione.
Il percorso dell’accoglienza cela un insieme di procedure e regole che reprimono ogni essere umano, il quale è costretto a rispondere non alla propria volontà, ma alle regole di uno stato che, in cambio della promessa di un tetto, di cibo e di “protezione”, lo spersonifica. Così, privata di ogni libertà, la persona migrante è costretta a prestare lavoro gratuito, ad imparare una lingua e a sposare una cultura diversa. Tutto ciò per raggiungere un’integrazione che non avverrà mai, come dimostra lo sfruttamento de* lavoratr* nei campi agricoli, nella logistica e in altre attività commerciali.
L’assistenzialismo imposto crea e alimenta una forte dipendenza dalle istituzioni. La sostituzione dei costumi tradizionali, l’imposizione della cultura occidentale sono poi alcuni dei meccanismi che il colonialismo ha da sempre adottato per reprimere e controllare le popolazioni straniere per impedirne la ribellione.
Con l’accoglienza non si vuole aiutare la realizzazione degli individui, ma creare leali e produttivx cittadinx.
Il miraggio e l’ipocrisia che si cela dietro l’integrazione dimostra che il processo di “civilizzazione”, oggi definito “cittadinanza attiva”, è soltanto un’arma volta alla formazione di automi non pensanti e contro la quale l’unica vera azione risiede nella ribellione.
L’autodeterminazione è l’unica vera azione da mettere in campo contro l’ipocrisia del concetto stesso di “accoglienza”, nella quale è insito quello di altro, diverso, che genera di per sé una separazione e di riflesso una mai vera fusione.
Ne parliamo con un compagno di Torino
venerdì 1 Marzo alle ore 18:30
alle Cagne Sciolte (Via Ostiense, 137)