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Perché un approfondimento sul lavoro volontario?
Come assemblea di Roma contro i CPR ci siamo interessate spesso al sistema dell’accoglienza, perché crediamo che CPR e centri di accoglienza – seppur con le dovute differenze che ci fanno distinguere una prigione da un centro dove le persone hanno orari rigidi ma possono entrare ed uscire – facciano parte di un unico sistema di gestione e controllo delle persone. Queste persone – fin dall’arrivo sulle coste italiane – sono identificate ed etichettate: nel caso in cui decidono di non fare richiesta d’asilo o non hanno i requisiti “giusti” per farlo, vengono portate direttamente nei CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri), dai quali possono essere deportate nei loro Paesi di origine oppure, in assenza di accordi bilaterali, liberate dopo mesi di prigionia con un foglio di via, che le costringe ad andarsene dall’Italia con le loro gambe o ad intraprendere una vita da irregolari. Coloro che fanno richiesta d’asilo vengono invece trasferitx in centri di seconda accoglienza, dove rimangono per anni in attesa di un documento valido. Proprio qui, in nome di una presunta integrazione nella società, negli ultimi anni ha fatto la sua comparsa il lavoro volontario.
Da questo punto di partenza abbiamo cominciato ad interrogarci su come e quando il lavoro non retribuito (nuova formula per chiamare la schiavitù) si è istituzionalizzato a livello legale e si è normalizzato nel senso comune.
Tenendo a mente che di fatto lo sfruttamento delle categorie marginalizzate e subalterne è radicato nella storia dell’umanità (basti pensare al lavoro domestico non retribuito) e fondamento del capitalismo.
I tre ambiti che abbiamo scelto, in quanto secondo noi trasversali e normati in tempi recenti, sono lo sfruttamento della popolazione immigrata, di quella carceraria ed il lavoro obbligatorio nelle scuole, consapevoli che le persone che lavorano volontariamente senza percepire guadagno sono presenti in tantissimi settori e appartengono alle categorie più disparate.
Il motivo di questa scelta è che ci appare interessante notare come gli individui inseriti in queste tre “categorie” abbiano in comune il fatto di dover dimostrare alla società tutta la loro abnegazione ed il loro inserimento o reinserimento nelle norme.
Abbiamo inserito queste riflessioni all’interno di un contesto più ampio di critica al lavoro <anche retribuito> inteso come il meccanismo di sfruttamento ed incasellamento delle persone, dove il lavoro è la ragione sociale e l’unico punto di incontro con il mondo, rigidamente standardizzato e normato. Un meccanismo funzionale al modello della produzione e consumo, entrambi alienati e inconsapevoli.
Ne parliamo con compagnx e studenti che seguono le lotte in carcere e nelle scuole
giovedì 20 Giugno
h 18 a Bam (Via dei Castani, 42 – Centocelle)