Atene – Le donne nel lager di Petrou Ralli continuano da 9 giorni lo sciopero della fame. Domenica 10 novembre presidio solidale

Traduzioni da: Indymedia Athens

5 novembre

Disegno mandato da una scioperante a Petrou Ralli

Nel centro di detenzione per stranieri di Petrou Ralli, lo sciopero della fame cominciato il 2 novembre da 16 donne, 14 della Siria e 2 della Palestina, continua. La loro richiesta è il trasferimento immediato nelle isole dove hanno iniziato le procedure di asilo, per completarle.  La loro decisione di non fermarsi fino a quando non verranno accolte le loro rivendicazioni, si rafforza. I messaggi che ci inviano costantemente lo confermano. Hanno bisogno del sostegno e della solidarietà pratica di tuttx. È quello che sperano. Vivendo in questa gabbia, a tempo indeterminato, senza sapere perché e fino a quando, senza essere state informate da nessuno, senza aver commesso alcun crimine, non gli è rimasta nessun’altra speranza. Il crimine è la loro detenzione e lo sciopero della fame è il mezzo scelto per resistere al tormento della loro paranoica reclusione, che le cancella come esseri umani. Non si sono lasciate convincere dalle bugie che vengono raccontate dalla polizia, come ad esempio: “Termina lo sciopero, inizia a mangiare e ti aiuteremo a uscire di qui” o viceversa: “Ferma lo sciopero della fame, perché non otterrai niente. Altre hanno fatto lo stesso, in passato, e in una settimana sono state trasferite, malate, con le ambulanze negli ospedali e in seguito sono state riportate qui” etc. etc., per spezzare il morale. Né hanno accettato la cioccolata con la quale hanno cercato di attirarle e spezzarle… Queste donne ci insegnano cosa significa dignità! Vogliono che il loro grido sia ascoltato in tutto il mondo e non venga dimenticato. Vogliono toccarci, svegliarci e scuoterci. Chiedono di poter di nuovo esistere come persone!

7 novembre

Martedì pomeriggio, al 4° giorno di sciopero, il quartier generale della polizia per l’immigrazione ha risposto alla richiesta di 7 scioperanti, trasportandole in barca verso le isole dove dovrebbero completare le loro procedure di asilo: 5 a Kos e 2 a Chios. Le minacce, gli schifosi attacchi verbali sessisti da parte della polizia contro le donne che hanno rifiutato di mangiare, sono finiti. Gli ordini sono cambiati. Ora potevano andarsene e respirare liberamente. Le 9 donne rimaste nel lager hanno continuato lo sciopero della fame. Abbiamo ricevuto una denuncia dal coniuge di un scioperante palestinese, secondo cui la ragazza ci sta chiedendo di raccontare la sua storia, per far sapere a tutto il mondo che se non la lasciano andare direttamente nell’isola di Leros per completare la sua richiesta di asilo, in modo da poter raggiungere e vivere con suo marito rifugiato in Belgio, si suiciderà. Non abbiamo diffuso immediatamente la notizia, perché pensavamo si trattasse di una dichiarazione che avesse fatto in un momento di disperazione, il che non è raro in questo sporco luogo di confinamento e costanti torture. Ma in seguito alle informazioni che abbiamo ricevuto ieri dal centri di detenzione, riteniamo nostro dovere diffondere la sua richiesta, con il suo nome e con l’accordo delle altre, poiché ieri le scioperanti hanno deciso di dare una svolta pericolosa alla loro lotta e hanno iniziato anche uno sciopero della sete. Alle 19.30 Fatima è svenuta. Una reclusa ha chiamato la guardia di turno chiedendo di portare la ragazza in ospedale per darle l’aiuto di cui aveva bisogno. Il brutale poliziotto, in un modo razzista omicida e misogino ha risposto: “Non vado da nessuna parte. È una sua responsabilità se è svenuta. Se rifiuti di mangiare è naturale svenire. Se vuole morire, deve morire.” Dopo di che se ne andò. La ragazza fu scossa dalla rivolta causata dall’indifferenza omicida della polizia. “A loro non importa se viviamo o moriamo”. Certo, la guardia ha fatto tutto il possibile per farlo accadere e speriamo che durante la notte non sia successo niente di peggio. Chi dà diritti alla polizia di esporre le persone vulnerabili a tutte le loro tendenze razziste e fasciste? Ciò è previsto tra i loro doveri? Se Fatima o qualsiasi persona in sciopero della fame per rivendicare i propri diritti sono trattate così, è un miracolo che non piangiamo delle vittime. E prendiamoci un momento per ascoltare la storia di Fatima, che spera di sensibilizzare gli avvocati, gli psicologi e il movimento militante di solidarietà dal basso. Ha 25 anni ed è in prigione da un mese e mezzo. Ha sofferto troppo a Gaza dove non c’è speranza di vita. È venuta in Grecia via Symi, dove è stata imprigionata per 11 giorni e poi inviata a Leros, dove le sono state prese le impronte digitali e ha presentato la sua domanda di asilo. Ha seri problemi di salute e documenti che lo dimostrano, ma da quando si trova a Petrou Ralli nessun medico l’ha visitata e non è stata curata. La prigionia nei centri di detenzione ha peggiorato la sua salute psicologica e fisica. Vuole uscire di prigione e guadagnarsi la vita, assetata di libertà. Ha deciso di vivere libera o di continuare lo sciopero della fame e della sete fino alla morte. Vuole essere trattata come un essere umano. Il suo permesso temporaneo di asilo è scaduto, ha fatto due interviste con la commissione e vuole tornare a Leros per completare le procedure legali che le permetteranno di ricongiungersi con suo marito. Fatima ha affermato questo e lo ha fatto, iniziando con le sue compagne lo sciopero della sete. Non hanno altro che la speranza per la loro libertà. Donne eroiche, che sono state cresciute fin da piccole tra la brutalità della guerra e dell’oppressione dell’egemonia patriarcale. Donne che hanno perso casa, lavoro, persone care e che ora gridano basta! O ci portano lontane da questi letti pieni di cimici e scarafaggi, da celle dove fa freddo perché ci sono finestre senza vetri e fa freddo, da bagni con una doccia e due cessi per 45 persone, da cibo che nessuna persona mangerebbe, o moriremo. Donne che non sopportano altre torture. Non permettiamo che venga loro fatto ancora del male! Lo sciopero della sete che hanno deciso richiede particolare attenzione e comporta gravi rischi, e le detenute hanno una grande responsabilità. Facciamo in modo che la loro lotta sia un canto di liberazione che ci faccia ballare nelle strade per essere ascoltate ovunque. Perché sono le nostre sorelle e le nostre compagne. Per battere il fascismo, il razzismo e la misoginia, militarmente, dal basso. Per chiudere tutti i centri di detenzione per migranti e rifugiati. Perché la passione per la libertà è più forte di qualsiasi cella.

9 novembre 

Ieri a mezzogiorno Fatima e Yasmin sono state portate d’urgenza alla clinica Asclepio Voula. Delle 16 donne che avevano iniziato lo sciopero della fame, 10 sono state “rilasciate” e portate ammanettate in nave nei campi sulle isole, dove gli sarà permesso di completare le lunghe procedure di asilo o in caso contrario saranno rispedite nel lager di Amygdaleza per deportarle nel loro paese d’origine. Le condizioni disumane, xenofobe e fasciste di incarcerazione portano a una terribile disperazione e una grave depressione. Altre due donne si sono aggiunte al massiccio sciopero della fame, due nuove recluse originarie della Siria, una giovane di 15 anni e un’adulta. Il numero di scioperanti oggi è di 8. Fatima e Yasmin sono state trasferiti dall’ospedale Asclepio di Voula di nuovo nell’inferno di Petrou Ralli. Ieri siamo state informate che avevano interrotto il loro sciopero della sete, perché alcune avevano già avuto problemi di salute e perché avevano deciso che questo doveva essere l’ultimo mezzo di lotta, se necessario. Lo sciopero della fame continua con determinazione. Le donne recluse gridano, per farsi sentire in tutti i modi possibili, che preferiscono morire, senza danneggiare nessuno, piuttosto che essere imprigionate in questo lager xenofobo e sessista pieno di scarafaggi e cimici. Ammiriamo queste donne per il loro coraggio.

La deliberata indifferenza omicida delle guardie e la assoluta svalutazione delle vite delle donne migranti in lotta si riflettono nel caso di Fatima che, il primo giorno di uno sciopero della sete, è svenuta e le sue condizioni sono state ignorate, nonostante i suoi noti problemi di salute. L’incarcerazione, le continue violenze, e la svalutazione subite dalle scioperanti in questo momento, non sono altro che una pratica cronica condotta contro immigrate/detenute a Petrou Ralli e in tutti i centri di detenzione. Pestaggi, torture, molestie sessuali, stupri, miserabili infrastrutture, mancanza di informazioni sul tempo di detenzione e sul futuro delle recluse sono un esempio della repressione che stanno vivendo. In un contesto generale nella società di deliberata svalutazione delle persone immigrate, non è errato includere anche le condizioni che vivono in detenzione e le lotte al loro interno. Nello stesso tempo, lo sforzo dello stato e delle sue istituzioni è quello di creare una sfera chiusa controllata per rendere impossibile alle prigioniere comunicare sia con le solidali sia con i loro avvocati. Tutto quanto sopra non è una caso ma una scelta politica dello stato. Da parte nostra, siamo contrarie a qualsiasi pratica di incarcerazione, emarginazione e controllo, e continueremo a sostenere la lotta delle persone immigrate.

Vi invitiamo, domenica 10 novembre alle 15:00, a un presidio di solidarietà con le nove scioperanti davanti al centro di detenzione di Petrou Ralli.

Per la loro liberazione immediata! Per battere il fascismo, il razzismo e la misoginia a Petrou Ralli e ovunque! Per chiudere i centri di detenzione per migranti e rifugiati. Per fermare le guerre. Per aprire i confini!

Per stare accanto alle nostre sorelle in difficoltà e gridare:

La passione per la libertà è più forte di qualsiasi cella!

Nelle strade, nelle piazze e nelle celle di prigione, le donne migranti non sono sole!

Fuoco ai centri di detenzione!

Documenti per tuttx!

The House of Women for the Empowerment & Emancipation

Casa delle donne per l’autoaffermazione e l’emancipazione.

 

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