Fonte: Comitato lavoratori delle campagne
Oggi, 7 gennaio 2020, sono dieci anni dalla rivolta di Rosarno. Da quel giorno non solo l’Italia intera venne a conoscenza delle condizioni di vita e di lavoro delle persone immigrate presenti nei ghetti e nelle case abbandonate delle campagne calabresi (e non solo). Ma soprattutto, a partire da quel momento, si è andato articolando un forte e radicato percorso di autorganizzazione e di lotta delle donne e degli uomini immigrati presenti in quei territori, che nel tempo ha avuto il merito di raggiungere importanti risultati e di tenere alta l’attenzione su questioni cruciali come la gestione dei flussi migratori e l’organizzazione del lavoro, cercando sempre di coinvolgere anche la componente autoctona. Come ben sappiamo sono stati anche dieci anni di violenze inaudite, morti, omicidi, sgomberi e aggressioni, accompagnati da un feroce sfruttamento che riguarda ogni aspetto della loro resistenza – dal lavoro, all’accesso ai servizi e alla casa. In particolare ricordiamo le violenze e gli abusi da parte della polizia, che sono stati sempre più frequenti, come da anni raccontano e denunciano le persone che vivono nella Piana di Gioia Tauro che sono costrette ad affrontare questa guerra quotidiana. Infatti, come si può facilmente immaginare, se sei nero e magari vivi anche in una tenda, alle forze dell’ordine basta un semplice controllo di documenti per sentirsi legittimate a procedere con perquisizioni corporali, pestaggi, umiliazioni e insulti razzisti, perché “questa è l’Italia”. E per chi è costretto a vivere nelle case abbandonate dentro la città, sovraffollate, senza luce né acqua, le irruzioni e i blitz da parte della polizia sono la normalità. A questo si aggiungono il razzismo e le violenze da parte di cittadini italiani che appena vedono un immigrato sparano, come successo a Idrissa qualche settimana fa, o investono con la macchina, come accaduto la settimana scorsa ad un abitante della tendopoli di San Ferdinando. Nella registrazione qui sotto, una persona che è stata recentemente aggredita, perquisita e spinta giù dalle scale dalla polizia a Rosarno racconta la brutale ordinarietà di tutto questo e testimonia come il suo sia solo l’ultimo di una lunga serie di episodi analoghi. A 10 anni esatti dalla rivolta dei braccianti immigrati che nel gennaio del 2010 presero per la prima volta le strade di Rosarno in protesta, la situazione non è cambiata se non in peggio e i riflettori sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati si accendono solo quando bisogna restituirne un ritratto sensazionalistico, ma ancora non si parla della rabbia di chi con coraggio trova anche i mezzi per resistere, difendersi e rivendicare una vita migliore. E di chi poi, proprio perché lotta, viene minacciato e colpito dalla repressione, come accaduto a 12 lavoratori che a settembre del 2018 hanno resistito allo sgombero del capannone abbandonato in cui vivevano, sono stati denunciati e sono ora tutti sotto processo per invasione di edifici.
La repressione, così come le intimidazioni, gli abusi e le minacce non sono eccezioni e casi isolati, ma sono strutturali al razzismo di Stato di questo paese, alle sue leggi e ai suoi confini che rendono le persone sfruttabili e ricattabili. Davanti alla cieca violenza di chi vorrebbe che tutto questo passasse sotto silenzio, continueremo a non avere paura e intrecciare relazioni di lotta, complicità e solidarietà. Oggi quindi non vogliamo solo ricordare l’importante rivolta che ha attraversato Rosarno e coinvolto tutto il paese. Ma vogliamo anche ricordare dieci di resistenze e di lotte che continueremo a portare avanti. Comitato Lavoratori e Lavoratrici delle Campagne – Rete Campagne in Lotta