Nel CPR di Pian del Lago è passata una settimana dalla morte del trentatreenne Aymen Mekni, il 12 gennaio scorso. Dopo la rivolta e l’incendio con i quali gli altri reclusi sfogarono la rabbia per la mancanza di cure che ha portato a questa morte, una cappa di silenzio è nuovamente calata sul lager. Non si conoscono i risultati dell’autopsia, che si dice saranno disponibili solo tra un mese, e la salma di Aymen pare sia stata già restituita alla famiglia.
Come da prassi consolidata, le autorità cercano di accelerare le deportazioni, in modo da allontanare dei possibili scomodi testimoni. Già il giorno successivo una o due persone erano state portate via.
Ieri lunedì 20 gennaio è arrivato al CPR un funzionario dell’ambasciata del Gambia, per la procedura di riconoscimento di 5 connazionali reclusi nel lager, propedeutica alla deportazione. I 5 però hanno cercato di resistere, lanciando oggetti e suppellettili, come riporta un giornale locale. A questo punto contro i 5 si sono scagliati ben 20 agenti in tenuta antisommossa, costringendoli a sottoporsi all’audizione.
Il venerdì precedente un parlamentare di LeU aveva visitato il centro di detenzione, rilasciando una dichiarazione in cui si chiedeva la chiusura del CPR “almeno fino a quando non saranno eseguite tutte le opere necessarie per rendere idonea la struttura”. La solita sinistra di governo favorevole ai lager, solo un po’ più idonei… Sabato scorso si era poi tenuto un presidio davanti al CPR organizzato dalla Rete antirazzista catanese.
Il campo di concentramento è ancora pesantemente danneggiato dopo la rivolta di gennaio e quelle del settembre e ottobre 2019 . La maggior parte degli infissi delle finestre, muri di separazione, arredi e bagni sono andati distrutti, ed è in corso un bando per la progettazione dei lavori di ristrutturazione e ampliamento, dell’importo di 852.000 euro, che scade il 30 gennaio 2020.
L’intenzione è di portare la capienza dagli attuali 96 posti ufficiali a 144. A causa degli incendi attualmente delle parti sono inagibili, i posti sono ridotti a 72 e al momento sono recluse circa una settantina di persone, alcune costrette a dormire nei locali della mensa.