Patrick George, l’ennesima persona fermata all’aeroporto del Cairo poi sottoposta a sparizione forzata per 24 ore dalle forze di sicurezza egiziane. Questo implica sempre momenti infiniti di buio in cui le persone vengono bendate, legate, minacciate, fino a subire le più brutali torture come le scariche elettriche e spesso se ne perdono del tutto le tracce.
Patrick è stato accusato di terrorismo, di diffondere false notizie tramite social network, di voler rovesciare il regime e di essere un pericolo per la sicurezza del paese, di conseguenza rimarrà in carcere in attesa di processo per 15 giorni.
Sono le stesse accuse per cui migliaia di compagne e compagni sono dentro. Sono le stesse modalità che servono a tenerlx dietro le sbarre per mesi e anni, senza alcuna prospettiva davanti a loro che non sia l’arbitrarietà della decisione di un giudice.
Dal 2013 dopo la legge anti-protesta tutte le persone arrestate o prelevate da posti di lavoro, studio o di notte dalle proprie case hanno subito e continuano a subire lo stesso trattamento.
È una chiara vendetta nei confronti di tutte le compagne e i compagni che nel 2011, ma anche prima, si sono date anima e corpo alla rivoluzione del 2011.
Patrick è stato fermato all’aeroporto la notte tra giovedì e venerdì, rientrava al Cairo dalla città di Bologna, dove sta conseguendo un master. Voleva andare a trovare la famiglia ma ad aspettarlo c’erano le guardie con un mandato di cattura risalente al 2019.
L’allarme tempestivo da parte delle compagne e dei compagni della sua sparizione forzata sui social network è stato fondamentale. Un gesto importante che in quel regime spietato mette a rischio anche chi lo fa.
La sorveglianza è incessante, chi in Egitto smerda e denuncia il regime potrebbe in qualsiasi momento trovarsi dietro le sbarre, come effettivamente è successo con persone che solidarizzavano con Esraa. La compagna è stata prelevata dopo un pedinamento dalla sua macchina, trasferita in carcere e torturata per 24 ore perché si rifiutava di dare le password del suo telefono. I suoi amici più stretti che scrivevano quotidianamente del suo sciopero della fame e delle pessime condizioni di internamento in cui si trovava sono state prelevate dai servizi di sicurezza e ora sono in carcere preventivo come lei. Esraa quando ha visto Solafa, una sua compagna e giornalista nel carcere femminile di al-Qanater durante l’ora d’aria è svenuta.
Sono tutte forme di tortura che il regime attua nei confronti di chi dà voce a chi è privato della propria libertà o a chi si ribella o si è ribellato in passato.
Sono moltissime le persone che si trovano in carcere preventivo in attesa di processo.
Questo tipo di detenzione può arrivare fino a due anni.
Non bisogna smettere di tenere alta l’attenzione su chi si trova nelle carceri del regime.
Libertà per Mahienour al-Masry che ha finito i rinnovi di 15 gg in 15 gg e che inizierà i rinnovi ogni 45 giorni, come per Alaa Abdel Fattah che si trova nel carcere di massima sicurezza di Torah al Cairo in cui tuttora è privato dell’ora d’aria, della posta, della possibilità di ricevere libri e giornali, dell’acqua calda per farsi la doccia o semplicemente bere qualcosa di caldo, di vestiti adatti al freddo gelido di una cella. Come lui anche Baker, un legale che seguiva il suo processo ed è stato arrestato durante un interrogatorio nella procura dei servizi.
Sono più di 60 mila le persone dentro per motivi politici. Da quando il dittatore ha preso il potere del paese con la complicità di Italia, Europa e comunità internazionale ha fatto costruire 18 nuove carceri.
Libertà per tutte e tutti i compagni.
Libertà per qualunque persona sia privata di ciò che più caro abbiamo, la libertà.