Durante e dopo il lockdown in Grecia la lotta delle persone recluse nel centro di detenzione per persone straniere di Petrou Ralli ad Atene non si è mai fermata.
Il 9 giugno, 16 delle 26 donne recluse hanno iniziato uno sciopero della fame. Lunedì 15 giugno 40 immigrati detenuti hanno a loro volta dato vita a un nuovo sciopero della fame, rifiutando il pranzo e reclamando il loro rilascio e l’accelerazione delle decisioni per le loro richieste d’asilo. In serata lo sciopero della fame è stato attuato da 120 persone recluse e continua anche nella giornata di martedì. Le autorità hanno affermato che lo sciopero non è accettabile e deve cessare. I detenuti invece continuano la protesta e chiedono di essere liberati o trasferiti altrove. Martedì 16 giugno l’assemblea popolare di Exarchia ha organizzato un presidio davanti al Ministero per la migrazione e l’asilo per protestare contro le condizioni di Petrou Ralli e per la chiusura del lager.
Sempre nella giornata di lunedì 15 ad alcune persone che avevano ottenuto lo status di rifugiato è stato permesso di trasferirsi ad Atene dal campo di Moria sull’isola di Lesbo, come tentativo delle autorità di decongestionare il lager, dove sopravvivono in terribili condizioni ancora altre 16.000 e più persone. Il governo greco non ha provveduto a fornire nessuna risposta abitativa, e le persone sono state costrette ad accamparsi in piazza Vittoria, prive di tutto. Rifugiatx e solidali hanno chiesto un incontro con il Sindaco di Atene Bakoyannis per pretendere soluzioni sul piano abitativo, ma la risposta è stata l’arrivo di agenti e bus della polizia per sgomberare la piazza. Solo grazie alla presenza di un buon numero di solidali e alla determinazione dei/delle rifugiatx è stato possibile evitare che lo sgombero della piazza avvenisse in giornata. Alle 4 di stamattina mercoledì 17 giugno, con un blitz a sorpresa varie forze di polizia in assetto antisommossa hanno sgomberato piazza Vittoria. Quando i solidali sono accorsi la polizia aveva già costretto, pena l’arresto immediato, circa 80 persone a salire negli autobus per portarle nel campo di Eleonas, nella zona industriale di Atene. Circa 12 solidali sono stat* fermat* e portate nella stazione di polizia. In risposta è stata convocata una manifestazione alle 16 alla metro di Eleonas.
Dal 1° giugno il governo greco ha cominciato ad attuare lo sgombero progressivo delle 11.237 persone rifugiate che finora usufruivano di un alloggio nelle strutture di accoglienza. Ad oggi il governo si vanta di aver già gettato in strada circa 2.000 persone. Sono molte le iniziative organizzate da immigratx e solidali per resistere agli sgomberi avvenute nelle ultime due settimane. Anche oggi a Larissa e Serres si tengono manifestazioni di protesta delle persone che abitano nei due centri sotto sgombero.
Di seguito traduciamo un resoconto dell’assemblea dell’Iniziativa “La casa delle donne” su quanto avvenuto recentemente nella sezione femminile del lager di Petrou Ralli.
Traduzione da: Athens Indymedia
9 giugno 2020:
16 delle 26 donne detenute a Petrou Ralli si sono rifiutate di mangiare. Hanno deciso, ancora una volta, di fare lo sciopero della fame perché non potevano più sostenersi mangiando il cibo orribile che le autorità insistono nel dare loro – cibo che si traduce in malattia, problemi digestivi, vomito e perdita di peso. La misera qualità del cibo è persistita nei quattro anni in cui abbiamo visitato Petrou Ralli, e probabilmente anche prima. Allo stesso modo, il 17 marzo, 9 donne detenute avevano iniziato uno sciopero della fame durato 3 giorni. Ci avevano inviato il seguente messaggio il 3° giorno: “9 donne abbiamo iniziato uno sciopero della fame grave (cioè della fame e della sete). La situazione è terribile e sta peggiorando. Due di noi sono svenute e non hanno ancora ripreso conoscenza. Continueremo lo sciopero della fame fino a quando non saremo libere da questa prigionia. O ci libereranno o moriremo”, seguiti dall’elenco dei loro nomi. In questa occasione, le autorità hanno utilizzato il metodo standard per terrorizzare i detenuti, impiegato in tutte le carceri del mondo totalitario del patriarcato. Le donne sono state chiamate una ad una e un ufficiale di polizia o comandante le ha interrogate e minacciate che se non avessero fermato lo sciopero della fame, sarebbe stato a spese della loro situazione: sarebbe stato troppo tardi per essere liberate o sarebbero state trasferite nella prigione di Korydallos. Il loro sciopero è terminato dopo il terzo giorno. Molte delle nove donne sono ancora dentro. Sfortunatamente Irma, dal 10 giugno, è in quarantena per 15 giorni in Georgia, dopo essere stata espulsa. Il lockdown potrebbe essere finito all’esterno, ma nel centro di detenzione di Petrou Ralli la routine continua indisturbata. Altri due tentativi di suicidio hanno seguito i tre all’inizio di quest’anno.
26 maggio:
Dopo una lunga e particolarmente dolorosa detenzione, una donna non si è sentita più in grado di resistere, assumendo una grande quantità di farmaci psicoattivi. In risposta, è stata applicata la tecnica di repressione più violenta: una tattica legalmente prescritta dalle autorità, ha spiegato il capo dei servizi in risposta alle nostre domande. Una famosa ufficiale che le detenute chiamano “Big Mama” ha ammanettato dietro la schiena la ragazza quasi incosciente per trasferirla in ospedale, sicura che non sarebbe stata in grado di scappare. https://athens.indymedia.org/post/1604878/
9 giugno, martedì:
C’è un altro tentativo di auto-immolazione. Fortunatamente, la donna fallisce nel suo intento quando le sue compagna detenute la intercettano nell’atto. La donna non vede il suo bambino dall’8 marzo, la sera in cui è andata alla stazione di polizia in cerca di aiuto dopo essere stata molestata, per poi finire a Petrou Ralli a causa della mancanza di documenti.
10 giugno, mercoledì:
- Ci sono state 3 deportazioni in Norvegia, Albania e Georgia. Le prime due detenute avevano chiesto di essere espulse mentre nel terzo caso si trattava di una serie di manipolazioni ed errori legali che hanno portato alla detenzione della donna per otto mesi.
- Dalla mattina, gli agenti hanno iniziato a portare chi faceva lo sciopero della fame una alla volta nell’ufficio degli assistenti sociali di Petrou Ralli per convincerle a interrompere la loro azione per motivi di salute.
- Quando il pranzo viene servito al 3 ° piano, lo psicologo sale per parlare con tutte le scioperanti con un meccanismo di repressione più “nobile”. Anche le urla dei pestaggi selvaggi dei prigionieri di sesso maschile al 2 ° piano, secondo la donna, si erano notevolmente ridotte.
11 giugno, giovedì:
La mattina vengono offerti per la colazione: panino, succo di frutta e caffè. Grande lusso per Petrou Ralli e sfida per le giovani ragazze, che non sanno che questo verrà ripetuto allo stesso modo per due o tre giorni, fino a quando ogni forma di resistenza verrà spezzata e si continuerà a nutrire le detenute con gli stessi e invariati ceci crudi per cena, nessuna insalata, tranne un pomodoro avariato che non sempre arriva, e nessuna frutta tranne l’arancia, ecc. Dalle 16 che hanno iniziato lo sciopero si passa a 11. Richiedono che la qualità e il contenuto dei pasti vengano cambiati per fermarsi.
Come Iniziativa “la Casa delle donne” abbiamo contatti costanti con le donne prigioniere ed ex prigioniere a Petrou Ralli e organizziamo incontri con loro quando vengono rilasciate. Raccogliamo beni essenziali da individui e collettivi nel movimento di solidarietà anti-gerarchico e auto-organizzato, un movimento che ha guadagnato slancio durante la pandemia, con un’abbondanza di donazioni per le donne detenute e anche per gli uomini. Ma il nostro obiettivo rimane: chiudere i centri di detenzione e i campi di sterminio per rifugiati e aprire le frontiere!
Nessuno, a prescindere dal genere, merita la privazione della libertà, la violazione dei diritti fondamentali, la tortura di vedere minacciata la propria vita o di essere degradato e maltrattato: tutto ciò sulla base del fatto che è “illegale” a causa della mancanza di documenti.
Sappiamo come vengono gestiti questi buchi infernali, con compiti delegati alle ONG che continuano a trarre profitto dalla crisi dei rifugiati e agli individui con contratti diretti, ad esempio la recente disinfezione degli sporchi centri di detenzione e campi durante la pandemia, o i compagni di affari e parenti dei potenti che approfittano vendendo cibo avariato e cancerogeno ai detenuti, trattati come “spazzatura”.
Estratti da lettere di ex e attuali donne immigrate detenute:
“(…) Immagina che ogni giorno il suono di pianti, lacrime, lamenti e urla di ragazze riempia l’universo, ma alla polizia non importa. Ogni giorno, ogni giorno, ogni giorno, le ragazze urlavano a Petrou Ralli. C’erano madri che erano state lontane dai loro figli per mesi: una quando sentì la voce di suo figlio piangere al telefono, andò ad impiccarsi, ma le altre ragazze lo capirono e le impedirono di farlo.
Ogni giorno una ragazza turca sveniva, mattina e sera.
Un’altra ragazza irachena con diabete doveva assumere insulina in momenti precisi, ma la polizia non ha prestato attenzione. Un giorno chiese a “Big Mama” le sue medicine, ma lei si rifiutò di darle la pillola di insulina e la ragazza perse conoscenza. Dopo due ore, la portarono all’ospedale in manette.
Una ragazza africana che era nel centro di detenzione da tre mesi soffriva di problemi di stomaco, vomitava ogni giorno e non riusciva più a mangiare. Ha chiesto alla polizia più volte di portarla da un medico, ma non è mai successo; divenne così stanca che cercò di suicidarsi bevendo candeggina. Dopo un’ora, l’hanno portata in ospedale ammanettata.
Ci hanno minacciato dicendo che chiunque avesse tentato il suicidio sarebbe stata portata in isolamento, invece di aiutarci e indagare sui motivi del disagio.
Vengono somministrati sonniferi e altri farmaci che non conosciamo per controllare tutte le ragazze in modo che non protestino. Queste pillole sono così forti che se ne prendi una dormi per due giorni e quando finalmente ti svegli sei stordita ed esausta. Sei come uno zombi e non puoi concentrarti su niente. Ti siedi in un angolo con uno sguardo assente.
È stato così difficile sopportare di vivere lì. I prigionieri maschi del 2 ° piano, sotto di noi, hanno gridato tutta la notte per essere portati in bagno e alla polizia non importava affatto. Questa è la verità assoluta. Sono chiusi nelle loro celle giorno e notte. Ogni giorno alcuni uomini cercavano di suicidarsi, ma la polizia continuava a picchiarli.
Spero che questo centro per stranieri venga distrutto. Questa prigione è il nostro incubo. La libertà è l’unica speranza per tutte le ragazze . Possano le grida delle povere ragazze nel centro di detenzione essere ascoltate da tutte le persone in tutto il mondo”
“(…) Sono qui solo perché non avevo documenti. Dove sono quelli che chiamate diritti umani? Con quali ordini? Per quale crimine? Non ho ucciso, non ho rubato nulla. Perché e con quale accusa mi tengono qui, non solo io, ma tutti i/le prigionierx, solo perché non abbiamo documenti? ”
“(…) Mio marito mi molestava e abusava con due suoi amici. Ho rotto con lui e me ne sono andata via con i miei figli. Tuttavia, non potevo scrollarmi di dosso le sue minacce, perciò sono fuggita dal mio paese per proteggermi, e ora sono nel centro di detenzione da quattro mesi ormai, come se non avessi il diritto di vivere una vita normale. Sono molto infelice qui e il cibo è pessimo. Tu che sei una donna dovresti capire il mio dolore. E poiché sono una madre, lotterò per sempre per la mia libertà”.
“(…) Ero in Turchia, dove sono stata violentata perché non avevo soldi. Un uomo mi ha costretto a fare cose che non avrei mai voluto fare e mi ha portato a Smirne, dove ho visto il mare, e l’ho attraversato per la Grecia, in un accampamento su un’isola. Quest’uomo non mi ha lasciato spazio per parlare e mi ha fatto portare alcune cose per i suoi amici. Ad un certo punto, ho colto l’occasione per fuggire ad Atene per proteggermi da quest’uomo, e l’ho denunciato alla ONG «Medici del mondo». Lì mi hanno dato un documento che dimostrava che ero stata violentata. Dopo di che, alcuni mesi dopo, mi ritrovo nella prigione di Petrou Ralli, da dove nessuno sa quando potremmo andarcene, il cibo è pessimo e i bagni sono disgustosi. Ci ignorano quando ci ammaliamo e, a causa loro, molte di noi hanno problemi psicologici. Piango e chiedo aiuto. Sono passati tre mesi e sei giorni da quando sono in prigione. ”
Le mani che producono violenza e repressione sono sempre le stesse. Indossano uniformi, portano armi, sono arroganti, abusano della loro posizione, fanno uno spettacolo del loro potere, vengono autorizzati.
La tortura e il maltrattamento dei detenuti costituiscono reati e dovrebbero essere trattati come tali. E non essere coperti e giustificati con vaghe scuse e razionalizzazioni sulle “pratiche necessarie”.
NO all’abietta brutalità del potere.
NO alla sua legittimazione e impunità.
Alziamo la voce prima di diventare desensibilizzate rispetto all’orrore e alla miseria, messe a tacere dalla paura che cerca di reprimerci.
Siamo contro ogni pandemia fascista e patriarcale!
Sosteniamo le nostre sorelle ribelli che sono in sciopero della fame!
Svuotare tutti i centri di detenzione e i campi profughi, ADESSO!
Consegnare a tuttx i/le richiedenti asilo i documenti e trasferirlx in alloggi che soddisfino i requisiti della quarantena, con le corrette informazioni,
assistenza medica, educazione e dignità.
Nessuna persona illegale, nessuna persona invisibile.
La passione per la libertà è più forte di tutte le prigioni
Solidarietà e auto-organizzazione sono le nostre armi
Assemblea dell’iniziativa: La casa delle donne, per l’empowerment e l’emancipazione