Un racconto dai margini: di fascismo e antifascismo in Bulgaria.

I fatti di Budapest dell’anno scorso e la conseguente pesante repressione che ha colpito le e gli antifascisti in Ungheria e fuori, hanno aperto una finestra sull’antifascismo un po’ più a est dei nostri abituali orizzonti. Vogliamo quindi provare a condividere quello che succede a Sofia e in Bulgaria; dove la situazione è per molti versi simile a quella ungherese, e al contempo strettamente legata a dinamiche europee.

Il cane da guardia della frontiera orientale

Anche in Bulgaria l’estrema destra è più in forze che mai. Per partire da un episodio recente, nel marzo di quest’anno, il politico Angel Dzhambaski (del partito europeo dei conservatori e riformisti, di cui fa parte anche Fratelli d’Italia), ha inaugurato la campagna per le elezioni europee facendo circolare il video di una rissa tra ragazzini presentata come “immigrati clandestini che picchiano giovani bulgari” (1). Altri video fuori contesto e notizie manipolate (senza nessuna conferma del fatto che si trattasse di tensioni razziali) hanno fatto partire una feroce propaganda anti-immigrazione che è riuscita a dominare il discorso politico per mesi. Diverse manifestazioni razziste sono state organizzate nel centro di Sofia e in un quartiere periferico dove si trova un centro d’accoglienza. I cortei erano a nome di organizzazioni giovanili, ma abbiamo visto sfilare i neonazi e gli ultrà delle curve in testa, mentre gli interventi al microfono erano di politici locali e figure note. In un caso, l’organizzatore era l’ex candidato sindaco del maggior partito politico bulgaro.  Contemporaneamente abbiamo dovuto far fronte ad un’ondata di aggressioni razziste quotidiane, spesso per mano di giovanissimi, contro chiunque fosse più scuro della media e parlasse altre lingue. Il controllo dell’immigrazione è stato l’argomento condiviso da ogni partito e intorno al quale si sono svolte sia le elezioni europee, sia quelle per il parlamento bulgaro, svoltesi a luglio e che si ripeteranno il 27 e 28 ottobre (le settime in soli 3 anni).

Tutto ciò avviene nonostante il paese accolga un numero bassissimo di immigrati, che perlopiù si ritrovano sulla rotta balcanica per entrare nell'”Europa quella vera”, o che vengono deportati in Bulgaria da altri paesi europei per gli accordi di Dublino. In tante e tanti restano intrappolati qui con scarsissime possibilità di regolarizzazione e finiscono per lavorare ipersfruttati e segregati.
La maggior parte però viene fermata al confine stesso, visto che la Bulgaria ha fedelmente adottato il ruolo del cane da guardia della frontiera orientale conferitole dall’EU. La brutalità poliziesca, ereditata dalla tradizione comunista, gode di totale impunità quando si esercita sulla pelle dello “straniero”. Le istituzioni locali ed europee (impersonate da polizia di frontiera e Frontex) sono responsabili dei respingimenti di massa alle frontiere, delle persone lasciate morire nelle foreste ai confini con la Serbia e la Turchia, delle torture nei centri di accoglienza e in quelli di detenzione. Delle deportazioni costanti e spesso illegittime, soprattutto di rifugiati politici curdi ricercati dalla polizia di Erdogan. Basta guardare ai termini imposti dall’EU per il recentissimo ingresso nell’area Schengen: ora i turisti hanno un ingresso facilitato negli aeroporti, mentre le frontiere terrestri non solo rimangono, ma sono state ulteriormente rinforzate con un aumento delle unità di Frontex.

Stiamo assistendo al copia-incolla in stile balcanico di uno schema già rodato in occidente: la creazione dell’immagine dell’immigrato come nemico e come minaccia (per la sicurezza, ma anche per l’identità stessa dell’europeo bianco), prima ancora che l’immigrazione diventi un fattore sociale. Da un lato, la gestione dell’immigrazione è il pretesto costante per togliere fondi al welfare e destinarli alla militarizzazione delle frontiere. Dall’altro, ogni tentativo di costruire solidarietà e lotte comuni viene ostacolata sul nascere per non doverlo combattere in seguito.

Nazionalismo  post-comunista

Pur predicando “l’ospitalità come valore tradizionale”, la società bulgara odierna è in realtà fortemente xenofoba e razzista. La formazione dello Stato nazionale e l’ideologia nazionalista dell’inizio del XX secolo hanno trovato la loro continuazione nel nazionalismo di tipo sovietico, promosso alla fine degli anni ’70 e negli anni ’80, per arrivare al discorso ultranazionalista esploso dopo il 1989, quando il nazismo è stato riabilitato nei paesi post-comunisti. Dato che la Bulgaria è stata globalizzata solo a livello finanziario, mentre socialmente è piuttosto omogenea, monolingue e monoculturale (grazie all’assimilazione forzata della minoranza turca e alla segregazione di quella rom), la minaccia dello “straniero” è solo virtuale, eppure necessaria per adattarsi alle linee guida europee e creare la sensazione di emergenza utile a mantenere il controllo. Uno degli esempi più brutalmente folkloristici sono i “cacciatori di immigrati” (2), un gruppo autorganizzato e armato attivo dal 2016, il cui capo è diventato una celebrità pattugliando per anni il confine con la Turchia in coordinamento con la polizia di frontiera (anche se non ufficialmente) e postando le foto delle sue prede sui social. Eppure il popolo bulgaro sa cosa significa emigrare: sono più di due milioni le e i Bulgari che vivono all’estero, emigrati soprattutto dagli anni ’90 in poi, a fronte di una popolazione di poco più di sei milioni di persone. Quasi tutte le famiglie contano membri lontani e difficili storie di diaspora, che non impediscono comunque alla propaganda anti-immigrati di negare ogni possibile immedesimazione differenziando nettamente i nostri dai loro. Niente di nuovo.

L’antifascismo e la politica

Anche i movimenti antifascisti hanno avuto una storia diversa da quella dell’altra parte della cortina di ferro. Dopo il fervore dei primi due decenni del ventesimo secolo, quando i circoli anarchici e comunisti prendevano attivamente parte alla vita politica, arrivò un’ondata di repressione fascista che si concluse con l’adesione del paese all’Asse. Nel 1944 l’Armata Rossa invase la Bulgaria, liberandola dal governo fascista e imponendo un regime di stampo bolscevico che si impadronì del termine antifascismo, mandando nelle galere e nei lager chiunque non seguisse la linea del partito. Ogni tipo di mobilitazione cittadina e di resistenza, alternativa a quella imposta dal regime, venne criminalizzata e la tradizione è stata parzialmente risuscitata solo dopo il 1990. Per il resto, la politicizzazione forzata, imposta dall’alto e subordinata totalmente alla propaganda sovietica,  ha creato in gran parte della popolazione quella sensazione di ripudio della politica percepibile fino ad oggi.

In questo contesto, l’antifascismo non solo non è una posizione condivisa, ma viene spesso paragonato al fascismo (nell’ottica dei due estremi che si equiparano). L’esperienza dei sindacati fuori dalle strutture statali è piuttosto limitata e le ONG e le associazioni della cosiddetta società civile liberale non vengono dal basso. Nella maggior parte dei casi dipendono da finanziamenti pubblici (perlopiù europei) ed alcune sono delle vere e proprie lobby come “America for Bulgaria”.   A livello di partiti, i confini tra destra e sinistra si stanno sciogliendo ancor di più che nella politica europea. Il partito socialista rappresenta oggi la sinistra dei valori tradizionali (patriarcali, etnonazionalisti e religiosi), mentre il cosiddetto centrodestra vi oppone un finto progressismo liberale ed europeista. Nell’ultima composizione del parlamento erano presenti anche due partiti di estrema destra, entrambi filorussi e nazionalisti allo stesso tempo (3). Uno gioca la carta della nostalgia del regime “comunista” e del legame storico tra la Bulgaria e la Russia (la figura della Russia come il grande fratello che libera il paese dai suoi oppressori, esistente dall’epoca della liberazione dall’Impero Ottomano). L’altro cerca una legittimazione attraverso l’eroicizzazione del popolo bulgaro, usando l’immaginario medievale mentre funziona come una classica struttura mafiosa immischiata nel traffico di armi.

Per quanto riguarda i neonazi veri e propri – con alcune particolarità dovute alla posizione geopolitica e la storia recente – in generale i neonazisti bulgari hanno adottato il nuovo volto dell’estremismo di destra di tutto il mondo: quello dei movimenti identitari, della supremazia bianca, dell’etno-nazionalismo. Anche qui il fascismo di strada risponde a quello istituzionale che lo ispira e lo avalla, indipendentemente dal governo al potere.

Il gender distruggerà la Bulgaria

I neonazi si dedicano attivamente anche alla propaganda e alle azioni omofobe e transfobiche. Le aggressioni alle persone queer sono frequenti, gli spazi sicuri sono pochi e alle volte devono essere fisicamente difesi. Gli attacchi agli eventi e agli spazi lgbtq+ sono promossi da personalità note (4), mentre il Sofia Pride viene attaccato da contro-manifestazioni dei difensori della famiglia tradizionale accompagnati dai preti. Si organizzano imboscate a piccoli gruppi di persone spesso giovanissime e provocazioni aperte a eventi e cortei femministi. E come accade sull’immigrazione, la linea dell’omo-transfobia è dettata dai governi di ogni colore. L’ultimo governo durato appena qualche mese è riuscito ad approvare, ad agosto, la cosiddetta legge anti-lgbt (5). Un decreto che vieta qualsiasi “propaganda gender” nelle scuole, così come l’accesso alle procedure e alle cure mediche relative alla riassegnazione del genere. Proposto dall’estrema destra ma approvato con una larga maggioranza, con plauso dei partiti europeisti e nonostante le grandi proteste di piazza, che perlomeno sono sintomo di un movimento queer vivo e in crescita.

I neonazi tra le palestre e le scuole

Ricapitolando: in nome dell’anticomunismo, del patriottismo e della conservazione dei valori patriarcali tradizionali, le organizzazioni neonaziste e neofasciste a lungo tollerate dallo stato ora fioriscono. Ci sono quelle attive dagli anni ’90, i cui capi sono noti per la gestione delle folle negli stadi, per lo spaccio di droga e per fare il “lavoro sporco” per chiunque sia al potere (ad esempio, quando c’è un’ondata di proteste e malcontento e la gente si raduna nelle strade, loro sono i “provocatori” che scatenano la violenza). E ci sono le nuove organizzazioni giovanili, in cui sia i partiti come VMRO (di cui fa parte il sopracitato Dzhambaski) che le organizzazioni extra-istituzionali come la BNS-Unione Nazionale Bulgara- investono molto. Questi cercano al contempo un cambio generazionale e nuovi modi di coprire i loro traffici mafiosi: aprono palestre per sport da combattimento e arti marziali, registrano ONG, spendono in comunicazione (adesivi e poster ovunque, video, social media, conferenze nelle scuole).

Così facendo raccolgono con successo la rabbia dei giovanissimi, offrendo un’identità e un senso di appartenenza con l’appeal dell’estetica squadrista. Del resto, non c’è da stupirsi: dopo il lockdown del periodo covid, la guerra in Ucraina e l’inflazione brutale, la vita quotidiana è diventata sempre più costosa e il paese sempre più deserto. Chi rimane si concentra nelle poche grandi città, il livello dei servizi per l’istruzione e del sistema sanitario si abbassa e la fiducia, non solo nelle istituzioni ma anche negli altri e nella comunità, è al minimo. Da qui all’Europa si guarda come una promessa fallita, che ha portato il paese a diventare bacino di manodopera a basso costo, discarica di rifiuti occidentali e muro di cinta anti-immigrati. Da un lato, questo vissuto dona alla società una dose di cinismo e di realismo che toglie di mezzo una buona parte di fastidiosi sinceri democratici. Dall’altro però, l’amarezza e la mancanza di speranze ci toglie anche tante compagn, e nutre invece le schiere dei neonazisti.

E noi?

Al corteo antirazzista (6) organizzato ad aprile in risposta alla propaganda anti-immigrazione, nonostante l’invito aperto e la sensazione condivisa di urgenza, la società civile si è tenuta alla larga, per non rischiare di essere associata agli e alle antifasciste e temendo provocazioni dei neonazi. Così come tutti i cortei pro-Palestina sono stati fortemente ostacolati o limitati, nel tentativo di silenziare la comunità palestinese e impedire la formazione di legami con altre lotte.

Da 13 anni ogni febbraio scendiamo comunque in strada con un corteo antifascista (7), in risposta alla marcia neonazista organizzata nello stesso periodo. Come a Budapest, anche a Sofia i neonazisti e i neofascisti di tutta Europa si riuniscono per un appuntamento annuale, in commemorazione della morte del generale fascista ed ex-ministro della guerra Hristo Lukov (8). Dopo anni di proteste e di azioni dirette, la “Lukovmarsh” ora è formalmente vietata dal comune di Sofia. Di conseguenza i gruppi di neonazisti internazionali sono meno interessati a venire, ma ciò non impedisce ai neonazi bulgari di riunirsi e marciare comunque scortati dalla polizia, con cui si confondono.

In un paese piccolo a volte le dinamiche di repressione e le gerarchie di potere sono più facili da individuare. A noi è sempre più chiaro che i neonazi che dominano i nostri quartieri non sono più pericolosi dei politici liberali che si alternano a fagocitare fondi europei per incentivare mega progetti di devastazione dell’ambiente e alimentare l’industria delle armi, al servizio tanto dell’UE e della NATO quanto di Putin ed Erdogan (come dimostra ad esempio la costruzione del gasdotto TurkStream) (9). Perciò lottare contro ogni forma di fascismo, qui come ovunque, non significa soltanto contrastare la glorificazione neonazista nel giorno della loro nostalgica fiaccolata. Significa anche sostenere quotidianamente chi lotta alle frontiere e nelle prigioni, per la libertà di movimento e contro le deportazioni. Per questo dall’inizio dell’estate abbiamo partecipato a vari presidi in solidarietà ad Abdulrahman Al-Khalidi, prigioniero politico in sciopero della fame, detenuto nel CPR di Sofia e minacciato di estradizione in Arabia Saudita (10), e in solidarietà alle e ai detenuti immigrati in lotta nei centri di deportazione.

Vogliamo praticare un antifascismo antirazzista e antisessista quotidiano, fatto di mutuo supporto e di relazioni. Costruire, sviluppare e difendere i nostri spazi liberi e indipendenti. Stare al fianco della comunità palestinese e di quella curda in resistenza. Provare ad ampliare sempre di più le nostre reti, nei Balcani e altrove.

Buttare uno sguardo più a est può servire a constatare gli effetti delle brutali politiche di repressione e controllo del movimento delle persone, di devastazione dell’ambiente e di miseria sociale in gran parte dettate dall’UE e da secoli di colonialismo economico, lontano dagli occhi e dal cuore dell’occidente.

Fuori i nazisti dalle nostre strade!

 

1-Antifa Bulgaria: “Мигрантска криза” или евроизбори? “Мигрантска криза” или ротация?

2- Vigilante Keeps Hunting Migrants In Bulgaria And The Authorities Seem To Be Turning A Blind Eye

3-I partiti di estrema destra in parlamento sono “Vyzrazhdane”= rinascita e “Velichie”= grandezza

4- Bulgarian Presidential Candidate Accused of Attack on LGBT CentreBulgarian Presidential Candidate Accused of Attack on LGBT Centre

5- Bulgaria: approvata la legge anti-LGBT/ “Vietata la propaganda sull’identità gender nelle scuole

6- Migrant Solidarity Bulgaria

7-Antifa Bulgaria: No Nazis on our streets 2024

8- Il generale Hristo Lukov fu tra i personaggi più vicini alla Germania nazista e tra i più ferventi promotori dell’antisemitismo e delle deportazioni nei campi di sterminio. Venne ucciso nel ’43 dalla militante comunista ed ebrea Violeta Yakova.

9- Leaked documents reveal Kremlin control over Turkish Stream pipeline construction through Bulgaria

10- Migrant Solidarity Bulgaria / Bulgaria, violazioni dei diritti umani sui rifugiati

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Francia – Una persona di 27 anni è morta ieri notte nel CRA 3 di Mesnil-Amelot

Traduzione da: A bas les Cra

Un detenuto di 27 anni è morto ieri notte nel CRA 3 di Mesnil-Amelot.

La persona aveva problemi di salute e ha dovuto essere ricoverata in ospedale per una settimana. Si è svegliata ieri notte perché si sentiva male. Sputava sangue.

Ha avvertito il suo compagno di cella che non era più in grado di respirare. I detenuti hanno allora chiamato le guardie per chiedere aiuto: hanno premuto il pulsante di emergenza, hanno battuto sui cancelli e hanno urlato.

Nonostante ciò, gli agenti hanno impiegato almeno 30 minuti per reagire. I detenuti allora hanno iniziato a fare un massaggio cardiaco alternandosi, dal momento che le guardie non hanno voluto farlo.

Quando sono arrivati ​​i pompieri era troppo tardi, la persona era già morta.

Negli ultimi giorni a Mesnil si sono verificati due tentativi di suicidio. I detenuti non hanno ancora notizie di uno di loro.

In reazione a questi eventi è in corso uno sciopero della fame nei due CRA di Mesnil-Amelot.

I CRA uccidono.

Solidarietà ai detenuti oggi in lotta e in sciopero della fame.

Forza a tutti quelli rinchiusi.

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Belgio – Tentata espulsione di un giovane palestinese

Traduzione da: Getting the voice out

Domenica 13 ottobre 2024, un giovane di nazionalità palestinese ha subito un tentativo di deportazione all’aeroporto di Zaventem. Si tratta del secondo tentativo di espulsione in Albania. Al primo tentativo, l’Albania ha rifiutato la deportazione ed è stato riportato in Belgio.

Il giovane è arrivato in Belgio dopo un lungo viaggio, durante il quale ha attraversato molti Paesi (da Gaza, passando per Egitto, Turchia, Grecia e Albania). È stato bloccato all’aeroporto nell’aprile 2024 in arrivo con un volo dall’Albania. L’Ufficio Immigrazione (Office des étrageres) vuole rimandarlo in Albania, applicando la Convenzione di Chicago del 1944, che permette di espellere le persone che giungono sul territorio nazionale ma la cui domanda è stata respinta. In questo modo si permette di perpetrare violenze ed espulsioni forzate, nonché di rinchiudere le persone in un centro di detenzione per il solo fatto di essere entrate “illegalmente” nel Paese.

Il fatto che quest’uomo provenga da Gaza simboleggia ancora di più l’ipocrisia e il coinvolgimento del Belgio (e più in generale delle politiche migratorie europee) nel genocidio in atto a Gaza. In Belgio, come altrove, le persone che fuggono dalla violenza e dal genocidio non sono riconosciute come degne di protezione internazionale e di adeguata accoglienza.

Il giorno prima di essere espulso, il giovane si è ferito alla testa e ha dovuto essere visitato in ospedale. Tuttavia, non appena è tornato al centro, la sicurezza è venuta a prelevarlo dalla cella alle 4 del mattino per accompagnarlo all’aereo. Una volta in aeroporto, ha opposto resistenza all’espulsione ed è stato riportato nel centro chiuso 127bis. Il giovane è ancora minacciato di deportazione e di trattamenti discriminatori e umilianti da parte dell’Ufficio immigrazione, nonostante la sua situazione dovrebbe essere regolarizzata – come avviene per tutti i detenuti dei centri chiusi, indipendentemente dalla loro origine o dalla loro situazione personale e familiare. È in corso una nuova richiesta di protezione internazionale.

Una quindicina di persone provenienti da tutto il Belgio si sono recate domenica all’aeroporto per spiegare ai passeggeri del volo la situazione di questo giovane e il loro diritto di opporsi a questa espulsione forzata. Grazie a loro di essersi mobilitati.

Il nostro pensiero va al giovane palestinese detenuto nel centro e a tutti i suoi compagni di detenzione.

#Libertà di movimento e di insediamento per tutti.e

#Fuoco alle frontiere e al loro mondo

#Fuoco ai centri di detenzione e alle prigioni

#Palestina Libera

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Nuovi lager in Albania, vecchi lager in Italia

Da lunedì le prime 16 persone sono in viaggio, a bordo del pattugliatore Libra, deportate verso i centri in Albania. La notizia ha destato molte critiche, spesso ipocrite perché il governo italiano non ha fatto altro che riprodurre in Albania l’intero sistema integrato di selezione, gestione e detenzione delle persone immigrate, attivo da anni in Italia nell’accettazione generale: un centro di prima accoglienza/hotspot, dove identificare e selezionare, un centro dove attendere l’esito delle domande d’asilo, un CPR dove recludere chi riceve un diniego e infine un carcere per chi protesta.

Negli stessi giorni sono sbarcate in Italia più di 1.000 persone che si trovano ad affrontare lo stesso iter di controllo e repressione: segregazione negli hotspot di Lampedusa e Porto Empedocle, CPR come quello di Trapani, dove sono state direttamente recluse 22 persone sbarcate a Marsala, e infine le carceri per chi viene accusato di essere uno scafista e per le persone ritornate in Italia dopo un decreto di espulsione.
Fonte.

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Milano 17 ottobre – Presidio in solidarietà con Seif Bensouibat

Milano 17 ottobre – Tribunale civile di Milano

Nella Palestina occupata è in corso un genocidio

Sosteniamo Seif Bensouibat

 

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Legami tra sfruttamento e detenzione amministrativa: dalle lotte dei braccianti alle lotte nei CPR

fonte: Harraga

A due mesi dalla morte di Stato di Oussama Darkaoui nel CPR di Palazzo San Gervasio (Potenza) e mentre le promesse di nuove aperture (Marche e Trento) e di imminenti inaugurazioni (Albania e Torino) prendono spazio nell’informazione mainstream, la cassa di solidarietà la Lima ha chiamato un presidio per domenica 6 Ottobre 2024 sotto il lager della Basilicata. Il Cpr di Palazzo San Gervasio, tra i più tristemente famosi d’Italia e capofila negli spalti delle torture e violenze.

L’8 Ottobre si è tenuta, invece, una delle tante udienze di un processo che vede compagnx solidalx con le lotte dei reclusi come imputatx, nell’evidente futile tentativo di depotenziare non solo le lotte ma, sopratutto, la solidarietà.
Una diretta con una compagna ci riporta indietro alla memoria delle lotte che han portato alcunx compagnx – oggi imputatx – sotto quel CPR. Lotte che partono da altre lotte, e che – a loro volta – ne introducono altre, sottolineando la potenza di incontrarsi e riconoscersi, darsi tempo e occasioni per abitare spazi di analisi e costruzione di percorsi.
Ma la memoria del passato non si ferma al tempo che fu e ripercorrerla aiuta a muoversi nell’oggi. A un mese e mezzo dalla prevista riapertura del CPR di Torino – non per un “vano” ribellismo né per una retorica chiusa in sé stessa – cogliamo l’occasione di questa chiacchierata per ricordarci le connessioni tra le lotte contro il razzismo sistemico, la potenza dei reclusi in rivolta e l’ineluttabile necessità dei percorsi di solidarietà.

Che sia possibile ancora ribadire che i detenuti non sono vittime da salvare ma piuttosto complici da incontrare.

L’ultimo ventennio di lotte nel centri di detenzione amministrativa ci ha confermato che quei lager si chiudono da dentro e con le rivolte e non grazie a una supposta società civile di salvatori fuori: il CPR di via Corelli a Milano – forse unico caso di tentata chiusura da fuori – né è il migliore degli esempi.

Con un compagno della rete Campagne in Lotta abbiamo parlato della condizione di sfruttamento dei braccianti agricoli nelle campagne italiane, del costante ricatto del permesso di soggiorno e del ruolo della detenzione amministrativa come monito a chi decide di lottare e organizzarsi per condizioni di vita migliori.

Qui per ascoltare.

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Lamezia Terme – Protesta di chi è costretto nei centri di accoglienza dal razzismo di stato

Ieri, lunedì 7 ottobre, 60 richiedenti asilo di un centro di accoglienza a Lamezia Terme hanno protestato bloccando per 3 ore e mezza l’arteria principale della città. Esponendo vari cartelli hanno descritto la loro condizione, comune a quella di altri centri: attese infinite per essere chiamati dalle commissioni d’asilo, nessun documento, cibo pessimo, nessuna assistenza sanitaria, stanze sovraffollate dove vivono in 10, mancanza di acqua calda, 2 docce per 234 persone, nessuna possibilità di frequentare scuole o corsi di formazione. Su un altro cartello era scritto “Fermiamo i crimini”, perché criminali sono queste istituzioni razziste.

Da anni le proteste nei centri di accoglienza si susseguono numerosissime, e nel nuovo decreto sicurezza è previsto un aumento delle pene per chi alza la testa anche solo con la resistenza passiva, nelle varie strutture di accoglianza, così come nelle carceri e CPR.

[fonte]

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Egitto – Brevi aggiornamenti su Alaa AbdelFattah e sulla costante repressione nei confronti di chi lotta

Il 29 settembre Alaa AbdelFattah (un compagno egiziano incarcerato continuamente dal regime a partire dal 2013 perché considerato simbolo della rivoluzione del 2011) ha finito di scontare una pena di 5 anni di carcere. Alle procedure per chiedere la sua scarcerazione, il tribunale ha dato come data ultima di rilascio gennaio 2027, non prendendo così in considerazione i due anni di carcere preventivo che Alaa ha scontato in attesa della sentenza.
Dal 30 settembre Laila Soueif, docente universitaria a il Cairo e madre di Alaa, è entrata in sciopero della fame ad oltranza fino alla liberazione del figlio. Laila accusa le autorità egiziane di detenerlo illegalmente e quelle inglesi (Alaa ha doppia cittadinanza) di complicità con il regime perché non muove passi per la sua liberazione.

Il 7 ottobre 2024 a il Cairo 6 attiviste/i hanno fatto un presidio su uno dei ponti della città, in solidarietà alla resistenza palestinese e libanese dopo un anno di genocidio e bombardamenti.
Nonostante il clima di repressione e terrore che si vive da anni per le strade del paese, hanno comunque deciso con coraggio e determinazione di alzare le proprie voci, in mezzo a un silenzio agghiacciante. Le 6 persone sono state arrestate e sottoposte a sparizione forzata. Dal 2013 in Egitto è in vigore la legge antiprotesta che vieta qualsiasi tipo di assembramento o mobilitazione per le strade o altrove.

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Proteste ed evasioni dal CPR di Gradisca

Nel CPR di Gradisca d’Isonzo un fine settimana di lotta delle persone recluse: sabato, proteste con i reclusi saliti sui tetti, tentate evasioni e tre persone che sono riuscite a superare le mura e a riconquistare la libertà, nella notte tra sabato e domenica altre proteste e tentativi di fuga.

Intanto la sistemazione di 10 nuove camerate indica l’intenzione di aumentare la capienza del lager di altri 40 posti, 129 in totale.

[fonte]

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“Il problema è la polizia stessa”. Una dichiarazione della Bronx Anti-War Coalition

fonte: ilrovescio.info

Evasione tariffaria o scusa fatale? Dichiarazione sulla sparatoria di massa della polizia di New York nella metropolitana per 2,90 dollari

Ieri la polizia di New York ha sparato a Derell Mickles, un nero di Brooklyn, per il presunto “crimine” di aver saltato un tornello. Si tratta della seconda sparatoria della polizia di New York in sole 48 ore. In un panorama in cui le figure politiche democratiche hanno prontamente condannato i recenti tentativi di assassinio di Donald Trump, proclamando che “la violenza non ha posto in America”, ci chiediamo: dov’è questo sentimento quando si tratta della polizia di New York che spara a uomini neri?

Ancora una volta, lo Stato ha usato la vuota scusa dell’“evasione tariffaria” per giustificare un tentativo di assassinio di un uomo di Brooklyn. Non si tratta di un incidente isolato, ma di un modello di violenza statale che prende di mira la classe operaia in generale e i neri in particolare. Il sindaco Eric Adams ha scritto su Twitter, piuttosto ironicamente, definendo questa sparatoria un atto di “coraggio”. Solo nella nostra città orwelliana di crescente fascismo la vittima viene dipinta come il cattivo e l’aggressore come un “eroe”.

La libertà di movimento, come il trasporto pubblico, è un diritto, non un privilegio. L’MTA dovrebbe essere GRATUITA per tutti i newyorkesi. L’aumento della presenza della polizia nella nostra metropolitana non ci ha reso più sicuri. Al contrario, ha portato a una terribile sparatoria di massa in cui un agente di polizia ha sparato a quattro persone, tra cui l’uomo accusato di evasione tariffaria, due passanti innocenti e un altro agente. Tutto questo per una tariffa di 2,90 dollari, una tariffa che non dovrebbe esistere nella città più ricca degli Stati Uniti.

La normalizzazione della violenza di Stato, sia a Gaza che nelle strade di New York, ci ha desensibilizzato alla guerra in corso contro le comunità nere e colonizzate. Questo incidente è avvenuto a East New York, Brooklyn, dove la maggior parte delle persone su quel treno erano neri e marroni, considerati dall’establishment come usa e getta. È proprio questo contesto che permette alla polizia di New York, addestrata da Israele, e al sindaco Adams di cercare di mettere da parte questo incidente come un altro evento “normale”. Se questa sparatoria fosse avvenuta al di fuori del quartiere, non sarebbe stata liquidata così facilmente. Il clamore e la mobilitazione che un tempo seguivano tali atti di violenza sono svaniti. Dove sono le voci delle celebrità e degli influencer che un tempo proclamavano Black Lives Matter? Il silenzio è assordante. Eppure, in tutta la città, noi lavoratori del Bronx stiamo ascoltando e siamo pronti ad agire.

Invitiamo tutte le persone di coscienza a resistere a questa violenza autorizzata dallo Stato. La nostra resistenza non è un atto di aggressione, ma una risposta necessaria alla violenza imposta dallo Stato. Mentre i media probabilmente dipingeranno la nostra ribellione come violenta, le nostre azioni sono una difesa giustificata contro la brutalità della polizia che affrontiamo quotidianamente. Sappiamo che la polizia è il vero istigatore della violenza e il popolo deve porre fine a questa brutale occupazione.

Oltre a chiedere la gratuità dei trasporti pubblici per tutti, chiediamo l’immediato allontanamento di tutti gli agenti della Polizia di New York dalle nostre metropolitane, la proibizione delle armi per la Polizia di New York e il rilascio immediato e trasparente dei filmati delle telecamere. Mentre la Polizia di New York crea propaganda contro i manifestanti palestinesi con urgenza, non mostrerà mai la stessa urgenza di assumersi la responsabilità per le sue sparatorie di massa.

Le azioni della polizia di New York riflettono una guerra più ampia contro i neri, i poveri e coloro che si oppongono coraggiosamente alla violenza dello Stato fascista. Questa sparatoria nella metropolitana è un test di resistenza per la tolleranza dell’opinione pubblica nei confronti di una violenza poliziesca senza limiti. Se non resistiamo, se non ci ribelliamo, questa violenza non farà che aumentare, parallelamente all’escalation del genocidio contro il popolo palestinese a Gaza.

Questo incidente non è un’anomalia. È un evento frequente nelle comunità colonizzate, dal South Bronx a East New York, che sottolinea la corruzione radicata nella polizia. I vertici della polizia sono sotto inchiesta, ma il problema si è aggravato. Il problema è la polizia stessa.

A coloro che non sostengono l’MTA libera, diciamo questo: siete solo a favore del profitto e contro l’umanità. Uniamoci nella resistenza, chiediamo giustizia e lottiamo per un futuro in cui le risorse pubbliche siano al servizio del bene pubblico.

In solidarietà,

The Bronx Anti-War Coalition

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