Aggiornamenti dopo le rivolte del CPR di Gradisca d’Isonzo

Fonte: No Frontiere FVG

Aggiornamenti dopo le rivolte del CPR di Gradisca d’Isonzo

A dieci giorni della rivolte del CPR, la situazione a Gradisca d’Isonzo sembra ritornata alla calma: sappiamo che si tratta di una tregua apparente, la storia del CPR è da sempre scandita dalle rivolte, le proteste, le evasioni.

Dopo le giornate di battaglia, sono state deportate diverse persone, soprattutto in direzione della Tunisia; altre sono state trasferite in altri CPR, come quello di Trapani-Milo e del Corelli a Milano; altre ancora sono state arrestate e portate nelle carceri.

L’area rossa è stata temporaneamente chiusa per diversi giorni, resa inagibile (“gravemente compromessa” nel linguaggio questurino) dalla forza delle rivolte. Molti sono stati spostati nelle altre due area ancora aperte, in particolare quella blu, che risultava particolarmente sovraffollata. Qualche giorno dopo, a seguito di alcune riparazioni, è stata in parte riaperta anche l’area rossa.

I nuovi ingressi sono continuati, segno anche che la macchina delle deportazioni funziona imperterrita. Resta la potenza di quelle giornate, i pezzi di CPR divelti, posti e capienza ridotti e sottratti alla detenzione amministrativa, ai dispositivi materiali del razzismo di stato.

Pubblichiamo un video che racconta quelle giornate, che mostrano il coraggio e la determinazione dei prigionieri in rivolta. Rilanciamo anche l’appuntamento di sabato 8 febbraio alle ore 15, sotto le mura del CPR di Gradisca, per portare una volta di piu’ solidarietà e complicità con i reclusi!

 

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Torino – Presenza rumorosa e solidale contro il razzismo di Stato

Le code di ore, la notte in fila, il freddo, la pioggia e l’estenuante attesa dinanzi all’Ufficio Immigrazione di Corso Verona a Torino non sono un’emergenza improvvisa, non sono solo causate da mancanza di spazi per gli uffici o di personale. Sono – piuttosto – uno dei tanti strumenti che lo Stato si dà per logorare corpi e menti delle persone immigrate, costrette a sottrarre interminabili ore e giornate alle proprie vite per stare in coda ad uno sportello. Tutto per ottenere e mantenere quel pezzo di carta che determina il loro diritto a vivere in questo paese.

Rendere umiliante e sofferente un momento burocratico (reso) necessario a non cadere nel baratro dell’irregolarità è una ben chiara scelta istituzionale, che rende le persone immigrate più ricattabili e sfruttabili.
In risposta alla recente visibilizzazione della situazione, i due gazebo della Protezione Civile e il presidio inutile della Croce Rossa non solo non risolvono niente, ma sono un’insulto inaccettabile. Le persone immigrate in questo paese vivono sotto costante scacco: dei padroni che sfruttano, delle leggi migratorie che si inaspriscono di anno in anno; delle istituzioni che ne controllano le vite e la libertà, e di tutto il  mondo del terzo settore che lucra sulla loro fragilità.

In questa città da un lato c’è l’ufficio immigrazione che lascia la gente fuori al freddo notte e giorno in attesa di un appuntamento. Dall’altro c’è un lager per persone senza documenti – il CPR di Corso Brunelleschi – che sta per riaprire. Nelle strade dei quartieri, militari polizia e zone rosse per controllare e disciplinare ogni dissenso.

Eppure l’indifferenza rispetto alla terribile realtà di segregazione razziale che viviamo è spaventosa. A due passi dall’Ufficio Immigrazione di Corso Verona – all’interno di Borgo Rossini -si consuma la spensierata movida notturna. Pochi isolati separano chi passa la notte al freddo in coda da chi beve un aperitivo in un quartiere sempre più caro e gentrificato.

Non restiamo in silenzio, rompiamo questa dinamica fondata sulle linee di oppressione di razza e accesso alla cittadinanza.
Attraversiamo il quartiere in modo rumoroso, contro i mille volti del razzismo!

Non lasciamo nessunx indietro!

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Sulla lotta di inizio anno nel CPR di Gradisca d’Isonzo

Fonte: No CPR Torino

Nel Gennaio 2025 le rivolte e proteste, quasi quotidiane, portate avanti dai prigionieri del lager di Gradisca d’Isonzo han bucato il velo di silenzio che imperversa sulla potenza di lotta dei ribelli. 

Con emozione prendiamo atto della chiusura dell’aerea rossa del campo, distrutta dai detenuti. Ribadiamo non solo la necessità di portare una solidarietà attiva a chi, ogni giorno, resiste alla detenzione amministrativa ma anche di assumersi la responsabilità politica di sostenere i rivoltosi: visibilizzare la loro lotta e restituire la verità in merito all’importanza e alla potenza della ribellione in questo mondo soggiogato alle logiche mortifere del capitalismo.
Cogliamo l’occasione per ribadire anche come le dinamiche predatrici di una certa sinistra moderata o di una scandalizzata – e scandalizzabile – società civile altro non sono che inaccettabili posture produttrici di un discorso pacificatorio, disciplinante e illusivo.

Non per un vano ribellismo ma per amor di verità: i CPR si chiudono da dentro e con il fuoco. Sta a noi sostenere i ribelli.

Harraga – trasmissione in onda su RadioBlackout, ogni venerdì dalle 15 alle 16 – tenta di opporsi alla silenziazione a cui i rivoltosi sono sottoposti, restituendo la complessità storico-politico-geografica di ogni momento di lotta.
Ai microfoni alcunx compagnx di quella zona d’Italia, ci raccontano la storia del lager, le ultime vicende e l’affilarsi della lama repressiva.

Ascolta qui il podcast:

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Solidarietà ai rivoltosi di Gradisca. Presidio sabato 8 febbraio al CPR di Gradisca d’Isonzo

Fonte: NO Frontiere FVG

Solidarietà ai rivoltosi di Gradisca: presidio pubblico, 8 febbraio 2025

Il 21 gennaio, nel CPR di Gradisca d’Isonzo, la paura e l’isolamento hanno cambiato campo. Dopo due giorni di scontri, diversi fuochi sono stati accesi nella notte. Com’era già successo durante la notte di capodanno, alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Sono così iniziati degli scontri all’interno del Cpr quasi ininterrotti.

La risposta della polizia è stata manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua contro chi si è ribellato alle torture e violenze. Le rivolte hanno portato alla chiusura dell’area rossa e 35 detenuti sono stati deportati in Tunisia e Marocco o trasferiti in carcere.

Torniamo ancora una volta sotto a quel muro che nasconde un lager etnico legalizzato, torniamo per portare solidarietà e rompere silenzio e isolamento verso chi continua a lottare per la libertà e non piega la testa verso uno Stato razzista che vuole l’omogeneità e la pacificazione sociale.

Perché i CPR si chiudono con il fuoco non sia solo uno slogan.
SABATO 8 FEBBRAIO ORE 15:30 DAVANTI AL CARA

FREDOOM-HURRIYA-LIBERTÀ
Assemblea no cpr

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Roma – Sul presidio al CPR di Ponte Galeria del 2 febbraio

Domenica 2 febbraio un presidio solidale di un centinaio di persone ha interrotto la normalità e il silenzio che tengono in piedi il campo di deportazione a Ponte Galeria.

Durante il presidio alcuni reclusi hanno preso i tetti – unico modo per vedere e farsi vedere da un lager infossato in una palude e circondato da mura di 8 metri – e sono stati bloccati dalle guardie; poco dopo, una colonna di fumo nero è apparsa più volte nella sezione maschile.

Il presidio è stato un momento di denuncia grazie al coraggio dei e delle parenti di Moussa Balde e di Ousmane Sylla – uccisi dalla violenza dei CPR a Torino e Roma.
La loro presenza, i loro interventi, le proteste dei reclusi nel CPR sono motivi in più per fare la nostra parte di lotta qui fuori.

Domenica 2 febbraio, quelle mura – sorvegliate, militarizzate, pensate per far scomparire – sono state abbattute dalla solidarietà e il coraggio delle persone reclusx. Con il cuore e lo sguardo rivolti a chi è rinchiusx a Ponte Galeria, a chi paga il prezzo della ribellione sulla propria pelle, a tutte le persone recluse in ogni prigione del mondo, il presidio si è sciolto al grido di FREEDOM – HURRIYA – LIBERTÀ.

Dei CPR solo macerie

Assemblea di solidarietà e lotta

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Torino – Qui lo Stato tortura. Sulla contestazione alla rete per il superamento dei CPR

QUI, LO STATO TORTURA!
Corso Brunelleschi, Torino.

Sulla contestazione alla rete per il superamento dei CPR

A quasi due anni dalla chiusura del centro di detenzione amministrativa per effetto delle rivolte delle persone recluse, il sipario e la formale indignazione di sindacati, terzo settore e associazionismo non possono che essere considerati inaccettabili.
La complicità con il razzismo di Stato e le sue violenze degli enti e delle realtà che oggi hanno preso parola con la RETE PER IL SUPERAMENTO DEI CPR è tanto evidente quanto nauseante. Mentre dalle campagne del saluzzese a quelle del sud Italia CGIL, CISL e UIL stringono le stesse mani che sfruttano i e le braccianti allo sfinimento; nelle città il terzo settore specula sulla sofferenza e le esigenze di chi decide di migrare: casa, istruzione, assistenza legale. I partiti e i loro rappresentanti ad ogni livello, che siano di circoscrizione o parlamentari, sono gli stessi che negli anni hanno approvato, legittimato e applicato leggi e accordi che hanno reso il mediterraneo e le frontiere dei veri e propri cimiteri a cielo aperto.

I CPR si chiudono col fuoco non è uno slogan, ma un dato di fatto dimostrato tanto a Torino nel Marzo 2023, quanto nelle settimane passate a Gradisca d’Isonzo e in tanti altri centri.

Siamo solidali e complici con chi lotta per la libertà, con chi con gli strumenti a propria disposizione prova a restituire anche solo un briciolo della violenza che quotidianamente viene imposta dalle istituzioni e le sue autorità.

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Croce Rossa neutralmente complice

Fonte: No CPR Torino

“Tutte le sue missioni la croce rossa la effettua mettendo in avanti il suo principio di neutralità. Ma la neutralità sceglie sempre il suo campo, quello del potere. Serve da garanzia agli stati per dare un apparenza umana alle guerre, alla gestione delle catastrofi, alle politiche repressivi. Gli Stati infatti hanno bisogno di ausiliari civili che li aiutano a controllare, organizzare e gestire la miseria. Le associazioni umanitarie traggono profitto da tutto ciò, con la loro carità che è soprattutto destinata a impedire l’autorganizzazione e le lotte. E la croce rossa non ama che questa sua collaborazione venga fatta uscire allo scoperto, una ragione in più per far conoscere le sue pratiche il più largamente possibile.”

Tratto da: La croce rossa collabora alle espulsioni – 2012

Ai microfoni di Harraga, in onda su Radio Blackout, abbiamo approfondito il ruolo di Croce Rossa Italiana, un attore di primissimo piano all’interno della macchina del razzismo di Stato in tutte le diverse sue manifestazioni: dall’inclusione delle persone senza il giusto documento all’interno del sistema economico capitalista, quindi la loro messa a valore, all’esclusione delle stesse quando diventano “eccedenza”.

Analizzando la realtà dei centri di accoglienza straordinaria gestiti da questo ente, abbiamo provato ad scandagliare alcune delle dinamiche repressive e detentive che organizzano le vite al loro interno.

Nella prima parte della puntata abbiamo scelto di partire da una prospettiva territoriale con un focus sulla Val di Susa, dove Croce Rossa Italiana è presente sia al confine con la Francia, nel ruolo di ausiliario civile della polizia di frontiera, che a Bussoleno dove gestisce un centro di accoglienza straordinaria, nato nel 2022, e recentemente animato da una protesta organizzata dai suoi abitanti.

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Lasciamo anche la lettura in onda del comunicato scritto dagli abitanti del CAS di Bussoleno successivamente alla protesta del 6 Gennaio.

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Qui invece entriamo invece nel merito di che cosa sono i CAS e come la Croce Rossa, negli anni, si è resa complice, nel tempo, delle dinamiche detentive ed espulsive dello Stato italiano, nonché del business che le caratterizza.

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In chiusura torniamo a Bussoleno e ci focalizziamo sui progetti di volontariato – o per meglio dire di lavoro gratuito – che CRI mette in campo nel territorio valsusino, nello specifico MIGRALP. Ma soprattutto abbiamo provato a ragionare su come tali progetti sia degli strumenti di disciplinamento delle persone che sono immagliate nell’accoglienza. Ad ultimo, un racconto di cosa è accaduto successivamente alla protesta del 6 Gennaio: fra ripercussioni e trasferimenti.

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Roma – 2 febbraio presidio al CPR di Ponte Galeria

DOMENICA 2 FEBBRAIO ORE 15:30 PRESIDIO DAVANTI ALLE MURA DEL CPR DI PONTE GALERIA

Torniamo lì, dove il ferro e il cemento segnano l’invisibilità di chi è reclusx per il solo fatto di esistere, per non essere natx nel luogo giusto. Torniamo davanti alle mura del CPR di Ponte Galeria per essere fianco a fianco di chi, dentro e fuori quelle mura, combatte ogni giorno contro l’annientamento che lo Stato infligge con il razzismo e l’esclusione.

Lo Stato sta affinando la sua guerra e lavora con nuovi strumenti per segregare, selezionare, controllare ed espellere. Il decreto Cutro trasforma ogni angolo della città in un potenziale campo di concentramento. Ogni stanzino di un edificio pubblico può diventare un temporaneo luogo di prigionia e tortura. Deve vincere l’isolamento per evitare che le persone si organizzino insieme, nelle rivolte e nelle evasioni. Ecco che il CPR di Gradisca d’Isonzo, come sta avvenendo nelle ultime settimane, ci parla di dignità, di una parte di popolazione che resiste e un’altra che opprime.

Il razzismo sistemico si riproduce ogni giorno. Ogni volo di linea è un luogo in cui può avvenire un’espulsione e ogni espulsione è questa società che si riproduce nel nome della sicurezza come strumento di propaganda.

Ogni operazione di polizia, ogni retata in quartiere o nelle campagne, è la propaganda del razzismo che si alimenta sulla vita delle persone: è la politica di questo governo, è la natura della sua democrazia.

Ogni zona rossa vuole essere una prigione sotto il cielo. Uno strumento pensato per legittimare sempre più l’uso della polizia e della sua violenza. Lo abbiamo visto a Corvetto, dove il quartiere è diventato una cassa di risonanza per giustificare gli abusi della polizia, ma nello stesso tempo grido di riscatto e coraggio. Dove ogni corpo, ogni volto, viene sottoposto alla violenza del razzismo e della conseguente criminalizzazione. Tutto per difendere la sicurezza dei ricchi di continuare a sfruttare, tutto per alimentare la guerra contro chi non ha diritto di esistere dove ha scelto di stare.

A Quarticciolo la guerra assume l’altra faccia della stessa medaglia. La polizia, le retate, i modelli Caivano, le deportazioni: una guerra che fa leva sull’umiliazione, sulla separazione, sull’esclusione. È la guerra dei governi, la guerra sulla pelle di chi non può essere altro che una merce da spostare, da annientare, da sottomettere.

A chi si ribella, a chi prova ad alzare la testa, lo Stato risponde con la sua violenza. La risposta è un corpo strappato via dalla vita, deportato in un lager legalizzato, pestato e torturato affinché non si ribelli, affinché non sia di esempio.

Vogliamo tornare là, davanti alle mura di Ponte Galeria, dove l’unica sezione femminile del Paese è chiusa in un angolo dimenticato posto ai confini della città.

Per sostenere le resistenze quotidiane di chi è reclusx, chi lotta ogni giorno per la propria libertà, per la propria dignità. Vogliamo tornare là per dire, ancora una volta, che non avranno il silenzio di cui necessitano le torture.

Hanno un solo nome: infami.

Vogliamo tornare davanti alle mura di Ponte Galeria, dove ogni giorno si riscrive la storia di chi rifiuta la prigione: nelle sezioni che prendono fuoco, nelle evasioni, nella dignità della vita in un sistema di morte.

FREEDOM HURRIYA LIBERTÀ

Assemblea di solidarietà e lotta

 

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Per rinfrescarci la memoria: un bilancio di 15 anni di lotte nelle campagne

Fonte: Campagne in lotta

Per rinfrescarci la memoria: un bilancio di 15 anni di lotte nelle campagne.

Il 10 gennaio scorso marcava il quindicesimo anniversario di un momento di lotta autorganizzata di sicura importanza storica, anche se spesso sminuita, noto al grande pubblico come la rivolta di Rosarno. Approfittiamo della ricorrenza, evocata da più parti, per proporre anche noi qualche riflessione, guardando alla storia recente dell’agribusiness Made in Italy dal punto di vista di lavoratori e lavoratrici. Da diverse parti quell’anniversario è stato usato come pretesto per sottolineare come “nulla è cambiato” – “disagio abitativo”, sfruttamento, pessime condizioni igienico-sanitarie e aggressioni razziste continuano a caratterizzare la vita dei lavoratori delle campagne nella Piana di Gioia Tauro (e ovviamente non solo li). A partire dal 2010, anno della rivolta, un susseguirsi di campi di lavoro, installati e poi (una volta trasformatisi in ghetti autogestiti) smantellati, ha punteggiato le stagioni di raccolta degli agrumi. Ultimi esempi in ordine di tempo l’apertura, nel marzo 2024, del fantomatico “Villaggio della Solidarietà” a Rosarno, con relativa chiusura dell’ormai storico campo container di Contrada Testa dell’Acqua, e l’inaugurazione di un nuovo campo container in Contrada Russo, comune di Taurianova, a maggio scorso. Nel primo caso si tratta di una serie di prefabbricati, la cui costruzione è iniziata nel 2012, con cantiere più volte sequestrato, saccheggiato e occupato da persone del posto e infine consegnato ad un ente gestore noto per la sua corruzione, che attualmente riscuote un pagamento dai lavoratori africani a fronte di servizi estremamente carenti. Mentre il secondo, ipocritamente chiamato “Borgo Sociale” e gestito dal Comune di Taurianova, dovrebbe favorire lo sgombero dell’attiguo casolare fatiscente, senza però che si faccia mai menzione del destino che dovrebbe toccare a quegli abitanti (anche loro di origine africana) sprovvisti di documenti, cioè dei requisiti per l’accesso al ghetto di stato.

Come al solito, la questione dell’irregolarità – e più in generale della precarietà – giuridica per chi vive e lavora in campagna viene perlopiù taciuta, o comunque menzionata come una sorta di calamità, destino ineluttabile, forza maggiore a cui solo un improbabile intervento dall’alto potrebbe mettere fine. Mentre le lotte portate avanti in questi anni – e i loro risultati – vengono completamente censurati. A partire da quella culminata nella giornata del 6 dicembre 2019, quando un blocco congiunto del Porto di Gioia Tauro e della Zona Industriale di Foggia da parte di centinaia di lavoratori, lavoratrici e solidali spinse la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a dichiarare in Parlamento, pochi giorni dopo, l’intenzione del governo di promuovere una sanatoria proprio per i lavoratori delle campagne. La ghiotta occasione della pandemia permise poi di far passare quella sanatoria come una necessità legata alla contingenza, per permettere ad un settore essenziale come quello agricolo di continuare la produzione nonostante la chiusura delle frontiere. Come è ovvio, una sanatoria non risolve certo il problema dello sfruttamento, soprattutto se, come è stato, costruita per rendere la vita impossibile a chi cerca di regolarizzarsi. E però, stando agli ultimi dati disponibili, attraverso quella sanatoria – strappata con anni di lotta ignorata dai più e ostacolata in vari modi da chi sulle spalle di chi lavora in campagna ha costruito carriere – circa 130mila persone hanno ottenuto un documento. Non è il mondo senza frontiere che sogniamo e per cui lottiamo, ma sicuramente rappresenta un miglioramento significativo nelle condizioni di vita di molte persone.

D’altro canto, la giornata di lotta del 6 dicembre ha portato con sé anche una scia di repressione: una denuncia per associazione a delinquere nei confronti di 6 persone, poi decaduta; 10 procedimenti penali per un totale di 20 imputat* tra lavoratori e solidali, con capi di imputazione che vanno dall’interruzione di pubblico servizio, alla manifestazione non autorizzata, passando in due casi per il rifiuto di fornire le generalità, e in uno per lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale (allo stato attuale 3 risolti con il proscioglimento, uno con una condanna a 8 mesi nei confronti di un lavoratore, e gli altri ancora in corso); 19 fogli di via e 13 multe da 1000 euro per blocco stradale. Pur non amando la ragioneria delle beghe giuridiche né il piagnisteo o l’eroismo militante, crediamo sia bene mettere in fila i fatti, perché di questa lotta e delle sue conseguenze non solo non hanno parlato i media, com’è ovvio, ma nemmeno ci è mai riuscito di fare un reale bilancio tra compagn*.

Dopo quella giornata abbiamo continuato a batterci, cercando nuovamente di costruire un fronte ampio di lotta contro le politiche migratorie italiane ed europee e continuando a sostenere le battaglie di chi vive nei ghetti – più o meno ufficiali – per migliori condizioni di vita e di lavoro, contro gli abusi delle questure e la violenza delle istituzioni in generale. È un dato di fatto che costruire questo fronte sia un’impresa ardua e che le ultime strette legislative su immigrazione e “sicurezza”, insieme alle strumentalizzazioni, abbiano spesso causato timori ed arretramenti, raggiungendo in qualche caso il loro obiettivo. Ma è impossibile spiegare queste strette repressive, specialmente contro chi è sprovvisto dei documenti UE, senza guardare ai decenni di lotte che le hanno precedute. Se oggi, per fare un esempio a noi vicino, la questura di Foggia deporta come mai ha fatto in precedenza, e con un accanimento maggiore rispetto ad altre, chi non ha il permesso di soggiorno (40 rimpatri coatti eseguiti nel 2024, e una pioggia di altre misure, anche detentive), a nostro modo di vedere si tratta anche di una reazione alla crescente consapevolezza che ha portato i lavoratori e le lavoratrici ad organizzarsi. Questo vale non solo per la battaglia contro il razzismo di stato, fatto dei mille ricatti legati al permesso di soggiorno, ma anche e soprattutto rispetto alle condizioni di lavoro, che a quei ricatti sono legate. È noto che grazie alle lotte le paghe dei braccianti, nel foggiano, sono più alte della media, e questo forse non va giù a chi comanda nel settore agricolo e ai loro rappresentanti istituzionali. Si tratta di una dinamica collaudata, una storia antica.

Per contrastare questa crescente brutalità, crediamo sia necessario ripartire dalla consapevolezza di quel che è stato, dei piccoli e grandi avanzamenti che si è stat* in grado di ottenere attraverso lotte basate sulla solidarietà e le relazioni quotidiane, in cui tattiche e strategie si costruiscono insieme, passo dopo passo, senza ricette preconfezionate, condividendo conoscenze. Mai come oggi la lotta contro il razzismo e lo sfruttamento parla a tutt* noi: strategie repressive e securitarie sperimentate in primis su migranti, pover*, soggetti discriminati si allargano a chiunque provi a reagire contro un sistema opprimente. In queste lotte continuiamo a credere e a riconoscerci.

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Di rivolte, scioperi della fame, tentativi di evasione e fughe. La normalità del campo di Gradisca

Fonte: No Frontiere FVG

La lotta dei prigionieri nel campo per senza-documenti di Gradisca continua senza soste. Nelle ultime settimane gli episodi di rivolte, ribellioni e proteste sono stati diversi. Dopo la caduta da un tetto di un giovane prigioniero tunisino nella notte del 10 gennaio (con gravi lesioni alle gambe) e un nuovo incidente cinque giorni dopo, giovedì 16 gennaio si e’ scatenata una protesta incendiaria nella zona rossa. Il 21 gennaio, dopo due giorni di scontri, diversi fuochi sono stati accesi nella notte: la polizia è entrata nelle celle, caricando i detenuti e sequestrandogli i telefoni, che sono stati riconsegnati solo più tardi. Com’era già successo durante la notte di capodanno, alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Sono così iniziati degli scontri all’interno del Cpr quasi ininterrotti. Martedì l’agitazione è cresciuta ancora: uno sciopero della fame collettivo è sfociato in una nuova rivolta con fuoco nell’area rossa. La polizia è intervenuta con lanci di lacrimogeni e getti d’acqua, com’è successo di nuovo durante la notte, quando alcuni detenuti avrebbero tentato la fuga, tra le nubi di fumo del campo.

Le motivazioni delle rivolte sono strutturali, sia per le condizioni di detenzione nel centro come per la sua stessa natura, di lager di tortura. Si susseguono scioperi della fame per la pessima qualità del cibo e la somministrazione di psicofarmaci assieme ad esso. Cio’ avviene con la complicità e necessaria collaborazione della cooperativa Ekene, che continua a gestire il centro in proroga, in attesa della nuova assegnazione in seguito alla gara d’appalto per la sua gestione indetta nel giugno del 2024 e chiusasi a settembre, nel corso della quale sono state presentate quattro offerte.

Spesso le guardie in antisommossa entrano nelle gabbie esterne alle camerate manganellando chiunque si trovi a tiro, ma questo non impedisce ai prigionieri di reagire, continuando a minare e sabotare pezzo per pezzo la tenuta del campo, che sembra al momento contenere molti meno prigionieri di quelli riportati dalla stampa locale e nei comunicati delle stesse guardie.

Se non possiamo che essere contenti che i cosiddetti costi “materiali e sociali” di cui si lamentano politicanti locali e guardie non facciano che aumentare rivolta dopo rivolta — attualmente l’operatività della struttura sarebbe già “seriamente compromessa” —, ribadiamo che gli unici “costi umani” sono quelli dei prigionieri rinchiusi in questi luoghi di tortura, umiliazione e morte, non certo quelli degli assassini con o senza divisa che ne permettono l’esistenza e il funzionamento.

Aggiornamento: dopo due giorni di rivolte, la cosiddetta area rossa del campo – collocata nel mezzo dell’ex-caserma, tra le aree verde e blu – è stata completamente devastata e nessuno si trova più al suo interno. Otto prigionieri sono stati trasferiti nell’area blu, mentre 35 di loro sono stati deportati in Tunisia e Marocco o trasferiti in carcere.
Sono poi avvenute perquisizioni con l’impiego di squadre antisommossa nelle camerate.

FUOCO AI CPR E A TUTTE LE GALERE
TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE

Video: lacrimogeni nella notteirruzione nelle camerateviolenze poliziesche

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