fonte: Macerie
Senza espiazione
Nel Cpr torinese c’è rabbia, un sentimento condiviso e profondo che ha trovato sfogo nella rivolta degli ultimi giorni, soprattutto quando fuori dalle mura gruppi di solidali hanno fatto sentire ai reclusi di non essere soli. Ma la tensione continua a essere più che strisciante ed è aizzata dagli effetti della repressione della polizia entrata per sedare gli animi: un ragazzo ha il braccio rotto, un altro la costola, uno è stato arrestato perché considerato tra i più riottosi.
Dopo la confusione e le manganellate si iniziano a rimettere insieme i pezzi di racconto delle ultime 72 ore, qualcuno dice essere possibile che il ragazzo morto non sia lo stesso di quello che ha subìto abusi, una “verità” che gira già da un po’ tramite svariati canali d’informazione. Ma quale verità? I reclusi hanno messo insieme pezzi di ciò che hanno potuto vedere dalle loro gabbie e questo vale molto più di ogni fatto certificato, è il frutto della loro posizione, di ciò che sanno che può avvenire. La scintilla era grossa in quello che pensavano fosse successo, il fatto che le scintille siano più di una non deve trarre in inganno, la differenza è sostanziale solo nelle cronache locali, nelle carte giudiziarie, o nello sguardo di chi vede quel luogo dall’alto come fosse una planimetria; nei compartimenti stagni dove sono chiusi i detenuti invece la verità prende corpo e diventa vita, non è solo l’occhio a essere diverso ma è la realtà del vissuto a irrompere, senza verificare che sia sovrapponibile con ciò che viene sentenziato fuori. A esplodere puntualmente in una prigione come il Cpr sono tensioni profonde, non nessi causali.
La visione sezionata della verità accertata è non solo meno turbolenta del magma del vissuto che messo insieme accende una rivolta, ma mostra la prospettiva pacificatrice delle procedure di giustizia: dividere i casi, cercare le responsabilità, proporre rimedi possibili nella detenzione amministrativa, oscurare il punto considerato osceno nella faccenda, ovvero la lotta per la libertà dentro alle prigioni per senza-documenti. E così nei racconti dei giornali e nella loro bulimia screanzata gli ultimi giorni al Cpr sono prima una tragedia esasperata, poi un problema di verità da ricostruire con l’happy ending di istituzioni solerti che stabiliranno cos’è accaduto. La rivolta che segue casi di gravità innegabile come uno stupro e una morte non viene criminalizzata direttamente come sempre avviene per mano dei pennivendoli, ma presa come effetto prevedibile di un grosso malfunzionamento, da lasciare in secondo piano alle risoluzioni opportune della polizia.
Il fare predatorio dei giornalisti di qualunque risma è ben chiaro anche ai reclusi che vi hanno avuto a che fare, i quali raccontano di come le loro conversazioni siano state registrate e utilizzate senza permesso proprio dalla testata che negli ultimi giorni si mostrava più benevola. In pratica dentro al Cpr hanno imparato una grande lezione di deontologia giornalistica e c’è chi dice che con “quelli” non parlerà più.
Se hanno annusato il vero odore della carta stampata, non da meno gli è sfuggito quello intenso della delegazione di politici che quest’oggi è entrata in c.so Brunelleschi. Di buon mattino e col vestito meno buono, che sennò pare brutto entrare in una struttura come quella in haute couture, due parlamentari del Partito Democratico, Gribaudo e Rizzo Nervo, e un consigliere regionale di Liberi e Uguali, Grimaldi, hanno fatto un sopralluogo al Cpr, o per meglio dire – come sostengono i reclusi – hanno fatto visita alla direttrice per parlare di fondi e finanziamenti. Del resto di che altro potrebbero parlare i figli del partito che i lager per immigrati li ha istituiti?
Rimasta al varco invece, senza pass d’ingresso, la delegazione di LasciateCIEntrare, campagna istituzionale di testimonianza di ciò che accade nei Cpr, che lamenta di come i parlamentari non abbiano svolto bene i compiti e che non abbiano visitato tutto il centro. Verrebbe da proporre loro la candidatura in parlamento come soluzione a cotanta delusione, ma è noto che è un’aspirazione mancata di molti membri. LasciateCIEntrare non è un gruppo sconosciuto ai nemici di espulsioni e frontiere, né loro, né le loro proposte. Campagna fondata nel 2011 con lo scopo di testimoniare ciò che accadeva negli allora Cie, i suoi membri danno il meglio in un documento politico dell’ottobre 2013 e pubblicato nell’opuscolo “Mai più CIE” in cui la classica critica democratica alla detenzione amministrativa perché non abbastanza umana viene accompagnata da un intero capitolo di proposte, intitolato “Per una diversa disciplina delle espulsioni”, in cui si dice che “non è sufficiente smantellare il sistema degli attuali CIE né la questione si può ridurre ad un loro miglioramento“. Proprio per questo la Campagna propone tra le altre cose di “razionalizzare le tipologie espulsive“, “incentivare forme di rimpatrio/rientro volontario“, prevedere “identificazione e allontanamento delle persone pericolose” studiando “modalità di identificazione e predisposizione dei documenti necessari all’accompagnamento durante l’esecuzione della pena (in carcere o nelle differenti forme di espiazione)“.
Non male come programmino, eh? Una Campagna che punta sulla sensibilità che può scaturire dal motto “chiudere i centri”, per poi provvedere a strutturare un sistema più fluido di espulsioni e differenziazione tra i reclusi. Tuttavia non sono solo ideatori di sofisticate politiche repressive, ma negli anni si sono dati anche alla fantascienza sostenendo che molti centri erano stati chiusi intorno al 2013 grazie al loro lavoro di testimonianza e a un miglior piano dei rimpatri nel periodo in cui gli amici loro erano al governo. Peccato che fossero stati i reclusi con le loro rivolte a rendere inagibili la maggior parte dei centri italiani (Crotone, Milano, Bologna, Modena, Brindisi, Lamezia Terme, Trapani, quelli chiusi del tutto per anni). Questi teorici dei rimpatri si arrogano anche grossi meriti rapinandoli alla memoria della sovversione, da conato di vomito.
A Torino raramente si è sentito parlare di loro, sono usciti alla ribalta solo ora che le cronache hanno dato visibilità al Cpr, ma come si diceva non sono noti solo per i loro programmi sulle espulsioni, ma perché hanno un metodo piuttosto conosciuto a tanti compagni e compagne che negli anni hanno lottato contro i centri: prendono dei contatti all’interno, si interessano dei casi più disperati e vi costruiscono una narrazione rispetto ai diritti umani mancati, creando separazione tra chi spera di uscire perché portatore di una storia più convincente e chi è un semplice recluso. Non ci si stupisca, è la retorica dei diritti umani, che è atta a stimolare il pietismo per le situazioni al limite, che come altra faccia della medaglia istiga l’avversione verso chi non ha sofferenze extra-ordinarie e gli leva da sotto ai piedi la legittimità della rivolta.
La rivolta e l’anelito di libertà non hanno bisogno del loro permesso o di canali di espiazione, irrompono.
Questo è il percorso che negli anni è stato seguito da reclusi, complici e solidali, questo il percorso che continueremo a seguire nonostante il becerume dei politicanti e le retoriche della pietà.
Sabato 13 luglio, ore 19:30, sotto alle mura per sostenere ciò che conta.