Giorni di continue proteste nel CPR di Gradisca d’Isonzo

Giorni di continue proteste nel CPR di Gradisca d’Isonzo. L’ultima ieri sera, martedi, con incendi, danneggiamenti del lager e decine di persone sui tetti. La repressione è stata durissima, con l’ingresso della celere nelle celle, manganellate e uso di lacrimogeni e spray urticanti. Secondo i media la struttura “è seriamente compromessa”.

Fonte: articolo

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Aggiornamenti dalla protesta del CAS di Bussoleno

Fonte: No CPR Torino

A poco più di una settimana dalla protesta che gli abitanti del CAS di Bussoleno hanno organizzato per rivendicare condizioni di vita degne all’interno della struttura gestita da Croce Rossa Italiana (CRI), visibilizzando per la prima volta agli occhi della popolazione locale i problemi strutturali del sistema accoglienza italiano e il suo razzismo intrinseco, l’agitazione continua. E la risposta repressiva di chi gestisce il centro in collaborazione diretta con la Prefettura non ha tardato a manifestarsi.

A metà della scorsa settimana, il responsabile della struttura Michele Belmondo si è visto recapitare una convocazione da parte dei residenti per discutere dei fatti e per rispondere alle richieste emerse. Invito che ha deciso di rifiutare perchè non accompagnato da una lista di nomi e cognomi di chi lo sottoscriveva.

Ben consapevoli delle possibili ritorsioni, qualora i nomi di singole persone venissero esposti alla controparte, e trattandosi di rivendicazioni collettive, condivise cioè da chi si trova a vivere una quotidianità fatta di ricatti, gli abitanti del centro hanno rifiutato di presentare una lista di firmatari ma hanno scritto e consegnato invece una lettera firmata “Immigrati residenti nel Polo Logistico” contenente i loro reclami.

Nel frattempo, CRI ha pubblicato su un giornale locale un comunicato in cui si ripulisce la faccia, tentando di smentire punto per punto le problematicità sollevate, dipingendo il centro come un luogo accogliente, con alloggi dignitosi, nonchè servizi di assistenza medica, legale e sociale e progetti volti all’inclusione delle persone.

Il tutto condito da una retorica di facciata con cui CRI tesse le lodi dell’umanitarismo e vorrebbe al tempo stesso celare una realtà fatta di gestione autoritaria, razzismo sistemico e mancanza di autonomia che chi vive all’interno del centro racconta in maniera lampante.

Tra i problemi materiali più evidenti fatti emergere dalla protesta c’è il sovraffollamento. Stando ai dati citati da CRI, i container abitativi ospitano da un minimo di 2 persone ad un massimo di 8 persone. Informazione già smentita dagli abitanti del centro, che in alcuni casi condividono spazi abitativi con fino a 12 posti letto in pochissimi metri quadrati.

CRI dichiara nell’articolo che sta già arginando al problema: visti i lavori di ristrutturazione finanziati dal PNRR che impegnano parte della struttura rendendola inagibile, dal primo gennaio 2025, è prevista una riduzione del numero degli ospiti (da 102 a 80, stando ai numeri ufficiali dichiarati).

Contingenza fortunata per il responsabile del centro, che ha colto la palla al balzo per notificare con un messaggio whatsapp i primi trasferimenti verso altri centri dispersi tra le valli piemontesi proprio alle persone che hanno animato la protesta del 6 di Gennaio. I prime due a ricevere tale notizia sono stati non a caso coloro ai quali la Prefettura aveva già emesso un provvedimento disciplinale nei mesi scorsi motivato dal mancato rispetto del regolamento interno. Verrebbe da chiedersi chi saranno i prossimi a ricevere una comunicazione simile…

Sebbene molti dei centri di accoglienza presenti sul territorio piemontese presentino condizioni migliori di quello di Bussoleno come ad esempio un numero decisamente minore di ospiti, dunque qualche chance in più nell’inserimento lavorativo e magari la possibilità di ricevere un supporto nella preparazione dell’appuntamento presso la Commissione Territoriale – e non si tratta di briciole per chi vive all’interno del sistema accoglienza – questa decisione calata dall’alto lascia ben poca scelta alle persone. Per chi dovesse rifiutare il trasferimento e lasciare la struttura, magari perchè la nuova collocazione sarebbe troppo distante da dove sta costruendo un progetto di vita, o troppo lontana dalla città, in cui le possibilità di sopravvivenza sono maggiori – è sempre forte il ricatto: le persone sono infatti messe di fronte al rischio di ritiro automatico della propria richiesta di asilo in caso di allontanamento non motivato dal sistema accoglienza.

Ma soprattutto, è evidente come queste operazioni mascherino in realtà precise volontà repressive. Allontanando per primi i soggetti più insubordinati, Prefettura e Croce Rossa Italiana puntano a silenziare la protesta, ad attaccare e dividere chi lotta e si organizza minando la possibilità di costruire quei legami di complicità che mettono a repentaglio la stabilità di un sistema razzista di sfruttamento.
Solidarietà con chi lotta, contro tutti i volti della repressione

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Di respingimenti in Bulgaria

Fonte: No CPR Torino

Ai microfoni di Harraga, in onda su Radio Blackout, con una compagna del collettivo Rotte Balcaniche abbiamo approfondito gli ultimi, tragici eventi accaduti al confine bulgaro-turco, di cui ha parlato anche la stampa nostrana.

Negli ultimi giorni di dicembre, nel cuore della riserva naturale sfregiata dalla frontiera sudorientale della Bulgaria e dell’UE, la politica mortifera europea ha portato alla morte di tre giovanissimi egiziani, mentre tentavano di attraversarne i fitti boschi. Tre morti volute dalle guardie di frontiera, che nonostante le numerose segnalazioni, hanno ostacolato in ogni modo i tentativi di soccorso dei solidali presenti sul posto. Come su ogni frontiera militarizzata dell’UE, le morti non sono incidentali, anzi: i respingimenti, il rifiuto di rispondere a segnalazioni e di chiamare l’ambulanza, l’occultamento dei cadaveri e le violenze sono parte integrante del sistema di controllo dell’immigrazione illegale attuato dalla polizia di frontiera bulgara, supportata da Frontex, e voluto dall’UE come moneta di scambio del recente ingresso del paese nello spazio Schengen. A questo drammatico quadro fanno da contorno una politica migratoria che rende l’accesso ad uno status legale sempre più difficile, condizioni disumane nei campi destinati ai richiedenti asilo, e l’uso sistematico della detenzione amministrativa per processare le domande di asilo, espellere e deportare il maggior numero di persone il più velocemente possibile.

Chi tenta di ostacolare la macchina delle espulsioni viene represso duramente, ed è ciò che è accaduto ai/alle tre compagne arrestate la notte del 24 dicembre, per aver tratto in salvo tre persone disperse nei boschi. Chi prova a documentare l’operato delle guardie di frontiera, denunciare i respingimenti e supportare le persone in movimento viene accusato di traffico di esseri umani e di ostacolare le forze dell’ordine, e gli viene materialmente impedito con ogni mezzo di restare sul territorio.

Se i media mainstream bulgari poco fanno per visibilizzare il fenomeno e contribuiscono invece alla criminalizzazione delle persone immigrate e delle solidali, non possiamo non notare come i giornali italiani abbiamo riportato la notizia spettacolarizzando il ruolo dei solidali italiani ingiustamente arrestati in Bulgaria per aver salvato vite umane, senza minimamente mettere in discussione le politiche europee all’origine di tanta orientale barbarità.

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Per la libertà

Fonte: NO CPR Torino

In un mondo in cui – nel silenzio generale – i cadaveri si accatastano nel fondo del Mar Mediterraneo o tra gli alberi delle montagne, in cui i CPR sono strumenti di tortura sistematica e razionale, in cui le forze dell’ordine uccidono, in strada, nelle galere, lungo le linea di frontiere; non esiste una verità da cercare o una giustizia da chiedere indietro ai tribunali.

In un mondo del genere – quello del capitalismo – cerchiamo di tenerci vicini nello slancio comune di sovvertire l’esistente.

Questa estate lungo tutta l’Italia proteste, rivolte, ribellioni e tentate evasioni hanno sovvertito il normale scorrere della quotidianità detentiva riportando al centro dell’attenzione l’urgenza di abbattere quelle mura, distruggere il carcere e la società che ne ha bisogno.
Due anni fa il CPR di Corso Brunelleschi bruciava. Quelle fiamme hanno inciso nei cuori e nelle strade di Torino una certezza: un briciolo di libertà in più, guadagnata con la lotta e al di là degli schemi del potere; due anni senza detenzione amministrativa in città.
Per fortuna il fuoco, la rabbia e la determinazione possono tenere vicini e stretti tra di loro chi si rivolta dentro i centri detentivi con chi si muove fuori in solidarietà, chi si ribella alla violenza razzista degli sbirri con chi ogni giorno resiste alla tortura detentiva.
Le strade e i quartieri continuano a mostrarcelo.

Non esiste una verità da ricostruire ma solo linee di complicità da tracciare.

A Febbraio 2023 eravamo sotto il CPR a sostenere attivamente chi, con coraggio mostrava la potenza del fuoco regalando a tantx un po’ di libertà.

Il 4 Marzo 2023 eravamo in strada a Torino al fianco di Alfredo in sciopero della fame da molti mesi. Come noi tantx altrx, e tuttx insieme contro la tortura del 41bis e dell’ergastolo ostativo. Nessun processo cancellerà il ricordo nitido di quei mesi: l’amore e la rabbia che ci ha tenuto in strada.

E in strada continueremo a stare per Ramy, Djoulde, Issa, Ousmane e con tutte quelle persone che quotidianamente si confrontano e scontrano con la violenza razzista di questo Paese e del suo braccio armato.

Perché la lotta contro questo presente mortifero è urgente. La polizia e lo Stato uccidono dentro le prigioni, nelle strade e riaffilano le loro lame nelle aule dei tribunali e nei voli di deportazione. Non lasciamo nessunx indietro: teniamoci stretti a lottare contro tutto questo.

Per un mondo senza galere, senza razzismo, senza capitalismo, senza frontiere e deportazioni.
Continuiamo a crescere in strada senza lasciare nessunx solx: la solidarietà è un tassello della nostra lotta.

Ramy vive.

Palestina Libera.

Fuoco ai CPR.

Fuoco alle galere.

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Trieste – Contro il razzismo di stato: uno sguardo sulla detenzione amministrativa

Fonte: No Frontiere FVG

Contro il razzismo di stato: uno sguardo sulla detenzione amministrativa

Incontro e benefit per le persone recluse nel CPR di Gradisca

17 gennaio 2024 – ore 18

Via Tarabocchia 3, Trieste

La macchina del razzismo istituzionale, in Italia come in Europa, ha potenziato una strumento particolare, quello della detenzione amministrativa. Si tratta di una forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione, già ampiamente utilizzato storicamente durante il colonialismo europeo in Africa, in Palestina fin dai tempi del mandato britannico e dal 1948 dall’entità coloniale sionista, per la repressione dei dissidenti e della resistenza, ma anche nel resto del territorio europeo, americano o australiano. Uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e in più generale nel controllo della popolazione straniera.

In Italia trova espressione oggi nei CPR – prima CPT e CIE – cioè nei centri di tortura e deportazione per le persone senza documenti. Ma negli ultimi anni, dalle misure sull’immigrazione (come il “decreto Cutro” o i vari “pacchetti sicurezza”) al nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania, questo strumento ha trovato nuovi spazi e tempi: è il caso degli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti; dei nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri; ma anche dei cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Non si tratta di misure isolate, ma di un complesso di dispositivi di segregazione e controllo che, in un contesto di razzismo sistemico, mirano a ricattare e terrorizzare chi non ha i documenti giusti, e così rafforzare, tra gli altri, i meccanismi di selezione e sfruttamento della forza lavoro immigrata. Vorremmo provare ad approfondire questi temi in una serata di confronto e informazione, in una prospettiva di solidarietà e complicità con le persone che si trovano incagliate in queste strutture (raramente sottomesse, come dimostrano le ribellioni nei CPR e le lotte dei braccianti).

La serata sarà anche un benefit per il sostegno alle lotte e alla solidarietà con quanti si trovano reclusi nelle galere etniche, tra cui il CPR di Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da Trieste.

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Tentativo d’evasione nel CPR di Gradisca d’Isonzo

Un tentativo di evasione è avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 gennaio nel CPR di Gradisca d’Isonzo. Un ragazzo di 19 anni è purtroppo caduto dal tetto e ha riportato gravi ferite. È ora ricoverato nell’ospedale di Udine con fratture multiple. Un altro tentativo collettivo di fuga ha avuto luogo la notte di Capodanno ma 10 persone sono state bloccate. Si hanno notizie di ulteriori proteste nei giorni scorsi, represse violentemente dalla polizia.
Un sindacato delle guardie ha chiesto la chiusura temporanea del lager in vista di una ristrutturazione, resasi necessaria considerando i notevoli danneggiamenti alla struttura causati dalle frequenti rivolte.
Fonte: Articolo

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Che la paura cambi di campo

Fonte: FOA Boccaccio

Che la paura cambi di campo

Abbiamo letto con attenzione le dichiarazioni degli ultimi giorni di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia e Lega, sostenuti dai soliti servi di Libero, preoccupati per la presentazione del libro “Maranza di tutto il mondo, unitevi” della militante antirazzista Houria Bouteldja (che evidentemente nessuno di loro ha letto!).

Comprendiamo la paura di queste persone bianche e ricche che si sentono minacciate da una possibile unione tra soggetti oppressi e sfruttati e altri “indesiderabili”. Fa paura pensare che il proprio dominio potrebbe finire per mano di chi, secondo loro, dovrebbe rimanere sempre ai margini. Terribile l’idea di sovvertire l’ordine della storia.

Venerdì 17 parleremo proprio di questo, proveremo a raccontare la storia che affiora dai margini delle città che abitiamo. Una storia di esclusione e razzismo che vogliamo rovesciare. La nostra storia. Ed è per questo che prendiamo parola a pochi giorni dall’uscita di nuove prove sull’omicidio di Ramy, per riportare al centro le voci e le verità di periferia.

La scelta di presentare questo libro non è casuale: viviamo infatti in città che non danno spazio alle migliaia di giovani costrette a vivere in periferie abbandonate e segnate dal degrado. Degrado economico, sociale, ambientale, creato strategicamente da una politica dell’abbandono, che è sistematica e voluta dalle istituzioni, di destra e di sinistra.

Questo è quello che vogliamo sottolineare ed è questo che spaventa chi ci governa: che si scoperchi il vaso di Pandora e si scopra che il pericolo è un’invenzione del potere stesso. Anche a Monza i politici continuano a parlare del cosiddetto “allarme baby-gang” e dei “maranza”, ma nessuno parla dello stato in cui si trovano i quartieri periferici: abbandonati e poveri di servizi essenziali, dall’autobus al medico di base. Come al solito, il potere prova a creare nemici e paure nuove per nascondere le proprie responsabilità. Da sempre la propaganda è una grande arma di guerra.

Per chi ancora non ci conosce, ricordiamo che i tentativi di affiancarci al PD o alla Cgil sono a dir poco imbarazzanti, contando che sotto l’attuale giunta PD il Boccaccio ha subito la cifra record di 5 sgomberi in due anni.

Per tutte le persone che invece ci supportano da anni o che vogliono iniziare a farlo, ci vediamo il 17 per un dibattito sempre più necessario a costruire un efficace agire politico decoloniale nei quartieri dove abitiamo.

Con Ramy nel cuore

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Protesta dei richiedenti asilo del centro di accoglienza di Bussoleno

Fonte: No CPR Torino

Dalla progressiva chiusura di Schengen, iniziata dalla francia nel 2015, la declinazione valsusina del razzismo di Stato ha preso forme varie che continuano a evolvere nel tempo.
La dinamica frontaliera del Monginevro e la polizia di frontiera han continuato a uccidere e respingere con costanza, affinando controlli e strumenti tecnologici nonchè sviluppando nuove collaborazioni, mentre l’invisibilizzazione delle persone in transito è stata gestita in maniera sempre piu’ sinergica tra prefettura, associazioni cattoliche e Croce Rossa Italiana (CRI).

Anche il business dell’accoglienza si è sviluppato in maniera piuttosto rapida, portando alla nascita di un effettivo centro di accoglienza per richiedenti asilo a Bussoleno (TO) nella bassa valle di Susa, gestito da Croce Rossa Italiana, in seguito ai vari esperimenti falliti di accoglienza diffusa precedenti.
Nella mattinata di oggi, il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bussoleno di via Cascina del Gallo è stato teatro di una protesta nata spontaneamente tra i suoi abitanti per denunciare le condizioni di vita indegne.

Da due settimane l’acqua calda scarseggia, i servizi igienici e le docce non sono sufficienti per gli oltre 150 residenti, alloggiati nel cortile del Polo Logistico in container adibiti a camerate in cui in pochi metri quadrati sono stipati fino a 12 letti. La sede del Polo logistico della Protezione civile è l’ex Istituto Scolastico “Plana-Ferrari” abbandonato da anni, ceduto dal Comune di Bussoleno alla Croce Rossa Italiana in comodato d’uso trentennale gratuito nell‘autunno 2016. L’edificio è ora soggetto a lavori di ristrutturazione che rendono parte della struttura e dei suoi servizi inagibili. Stamattina alle 8, orario di apertura dei cancelli verso l’esterno, la protesta è partita con la denuncia e la richiesta, mossa dai residenti al direttore della struttura Michele Belmondo, di trovare una soluzione ai problemi più evidenti.

Rompendo l’invisibilizzazione che caratterizza la vita all’interno questi luoghi, gli ospiti del centro si sono successivamente mossi in corteo, insieme ad un gruppo di solidali, attraverso le vie del paese verso la piazza del mercato per far sentire la propria voce alla popolazione valligiana.

Gli abitanti del centro, in molti casi presenti sul territorio da quasi due anni in attesa che la propria richiesta di permesso di soggiorno venga valutata dalla Commissione Territoriale – domanda che in molti casi viene respinta – hanno denunciato il sovraffollamento all’interno della struttura, la scarsa qualità del cibo, l’inadeguatezza dei servizi igienici nonchè la difficoltà di accesso ai servizi sanitari e legali di base. Hanno posto l’accento sul ricatto perpetuato da CRI che li impiega gratuitamente in progetti di “volontariato”.

Tra le forme di messa a valore denunciate oggi dai richiedenti asilo, il progetto “Inclusione e Collaborazione” del Comune di Bussoleno (per la pulizia degli argini delle strade e il taglio dell’erba) e il progetto MigrAlp di CRI. L’organizzazione umanitaria spinge infatti i richiedenti asilo a entrare a far parte del proprio team indossando la divisa rossa e a collaborare alle sue attività. Il programma MigrAlp – presente nei comuni di frontiera dell’Alta Valle (Bardonecchia, Oulx e Claviere) sotto forma di “attività mobile” o “info point”- è indirizzato alle persone in transito senza il giusto documento e svolge di fatto assistenza materiale alla polizia nei respingimenti in frontiera. Il furgone di CRI riporta le persone espulse dal territorio francese verso il Rifugio Massi di Oulx o, in mancanza di posti, verso la sede del Polo Logistico di Bussoleno. Croce Rossa coopta così mediatori culturali, essi stessi sotto ricatto.

La giornata di oggi ha avuto la forza di rompere il silenzio che circonda questo centro più volte definito da coloro che ci abitano come assimilabile ad una stuttura detentiva. Si è chiuso così solo il primo capitolo di protesta che ha visto gli abitanti del centro prendere parola sulle condizioni di vita vissute in prima persona all’interno del sistema di accoglienza italiano al motto di “Toccano uno, toccano tutti”.

Contro i mille volti del razzismo di stato

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Bulgaria – Solidarietà alle proteste in corso nei lager per persone in transito

fonte: Migrant Solidarity Bulgaria

Domenica scorsa, per la prima volta dopo anni, un nutrito presidio davanti al centro di detenzione di Sofia-Busmantsi ha rotto per un pomeriggio l’isolamento dei e delle detenute immigrate che lì sono recluse. Nonostante i tentativi delle guardie di tenere lontane le persone dalle finestre e i trasferimenti di prima mattina per svuotare le stanze da cui si sarebbe più facilmente potuto comunicare con l’esterno, da dentro hanno potuto sentirci, seguirci e contattarci. E’ stata una boccata d’aria fresca nel soffocante silenzio che circonda i lager bulgari per persone immigrate, di cui solo ora si inizia a parlare, grazie alle lotte da dentro e alla solidarietà da fuori.

Il presidio è stato organizzato in solidarietà alle numerose proteste nei centri di detenzione e di accoglienza bulgari dell’ultimo mese. A Busmantsi (il centro di detenzione nella periferia della capitale), le persone hanno protestato contro nuove arbitrarie restrizioni sulle visite e sui pacchi e si sono rifiutate per qualche ora di entrare nelle loro stanze in segno di protesta. Nei giorni successivi, a molte persone sono stati sequestrati i telefoni cellulari (che possono regolarmente avere, a patto che siano senza fotocamera).
Nel centro di accoglienza di Harmanli, che si trova nel sud del paese e vicino al confine con la Turchia, i rifugiati siriani stanno protestando da settimane contro i respingimenti di massa delle loro richiesta di asilo. Nel centro ci sono attualmente circa 900-1000 persone che, dopo aver fatto richiesta di asilo, sono in attesa dei colloqui e di ricevere una decisione sulla loro domanda. Tra settembre e ottobre però sono state respinte la maggior parte delle richieste asilo degli uomini soli. Solo le famiglie continuano (a stento) a ricevere la protezione internazionale. Il 18 ottobre hanno iniziato una protesta e dichiarato uno sciopero della fame.
La risposta dell’amministrazione è stata che ora la Siria è un Paese sicuro, con riferimento al fatto che chi fugge dai bombardamenti israeliani nel sud del Libano si rifugia in Siria. Questa logica perversa e nuova preoccupante tendenza non è ovviamente solo una sadica invenzione dell’Agenzia di Stato bulgara per i rifugiati: negli ultimi anni anche altri Paesi europei stanno iniziando a respingere chi proviene dalla Siria come già fanno sistematicamente con le persone provenienti da altre aree devastate dalla guerra.

Da Busmantsi ci è invece arrivata una lettera aperta che recita: “76 siriani, tra cui 8 bambini, stanno soffrendo condizioni dure durante la loro detenzione a Sofia. Sono state date loro due opzioni: Un anno e mezzo di prigione per aver minacciato la sicurezza nazionale della Bulgaria, oppure firmare un ordine di deportazione in Siria. Un rappresentante dell’ambasciata siriana li ha già visitati minacciando di deportarli entro 21 giorni una volta che il numero di persone che accettano di essere deportate sarà pieno *(probabilmente, quando ci saranno abbastanza persone per organizzare una deportazione di massa)*.
I rifugiati vivono in condizioni di vita difficili, non hanno accesso alle cure mediche e si vedono negare le più elementari necessità della vita quotidiana. Sono sfruttati dalle guardie del campo, perché sono costretti a pagare grandi somme di denaro per piccole quantità di cibo; pagano fino a 100 euro per una piccola quantità di verdure”. Notizie simili ci arrivano dall’altro centro di detenzione bulgaro, a Lyubimets. Continua a leggere

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Macomer – Bello come un CPR che brucia

Fonte: Il Rovescio

Riceviamo e diffondiamo questo resoconto di un saluto al CPR di Macomer pesantemente ostacolato dalle guardie, con allegato un volantino che – tra le altre cose – ben documenta le condizioni di sopravvivenza all’interno del Centro:

Domenica 17 novembre ci siamo recati ancora una volta al CPR di Macomer per portare solidarietà ai prigionieri e per tentare di comunicare con loro. Il sentiero carrabile che si affaccia sulla struttura e che normalmente utilizziamo per fare i saluti, contrariamente ad altre volte era presidiato da una jeep dei carabinieri. Tuttavia, senza fatica siamo riusciti ad eludere la sorveglianza sino a giungere nel punto stabilito dove abbiamo montato casse e microfono mettendo musica, facendo interventi e urlando cori. Per la prima volta dopo due anni di visite costanti, non c’è stata nessuna risposta, né un urlo, né un fischio, niente di niente. Un silenzio tombale che stride moltissimo con le rumorosissime e talora “focose” risposte che abbiamo avuto altre volte. Come consuetudine passati una ventina di minuti arrivano quattro pattuglie di sbirri (polizia e carabinieri) che ci intimano di andarcene. Dopo i controlli di rito e dei momenti di tensione, per gli atteggiamenti provocatori degli sbirri, prima di lasciarci andare ci hanno notificato altri fogli di via da Macomer e denunce per un’altra iniziativa, effettuata il 2 giugno, fuori dal carcere di Badu ‘e Carros. Ci siamo allontanati rimandando ai prigionieri tutta la nostra solidarietà e vicinanza, ricordando agli sbirri che non ci fermeranno quattro notifiche, denunce e fogli di via e che torneremo molto presto e in molti di più fuori da quel lager di merda. A tal proposito, la sera dello stesso giorno siamo stati a Nuoro, dove c’è la questura che ha emesso i fogli di via e gli avvisi orali. Nuoro è una piccola città fortemente militarizzata e repressa, solitamente la sera si contano piu pattuglie che persone per strada. Però quel giorno la città era animata in occasione della manifestazione “Autunno in Barbagia”. Ne abbiamo approfittato facendo un volantinaggio, per ribadire che nonostante le minacce del questore Polverino non lasceremo nel silenzio la rivolta dentro il CPR (lasciamo il volantino a fine testo).

Siamo rammaricati per non avere ricevuto risposta da dentro e non capire il perché questo sia accaduto. Ci chiediamo se si sia innalzato il livello di repressione all’interno della struttura con il cambio di gestione e/o come conseguenza delle ultime proteste o se si sia verificato qualcos’altro che non riusciamo ancora a spiegarci. Intanto tentiamo di muoverci nelle strade e nei centri della Sardegna per cercare di evitare che altri migranti, sfruttati nelle campagne e nell’industria turistica, ma privi di documenti, vengano prelevati da qualche pattuglia per essere ingoiati nel nulla del lager di Macomer.

Cerchiamo di mettere un po’ di sabbia nella macchina razzista e coloniale dello Stato, a fuoco le galere.

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