Della rivolta nella ex caserma Serena a Treviso e della sua repressione: non lasciamo solo chi lotta per la libertà
Il 19 agosto Mohammed, Amadou, Abdourahmane e Chaka vengono arrestati per devastazione, saccheggio e sequestro di persona e portati nel carcere di Treviso. Il 7 novembre Chaka, 23 anni, viene trovato morto nel carcere di Verona.
Secondo le accuse, sono colpevoli di aver “capeggiato” le proteste che tra giugno e luglio hanno travolto il Cas ex caserma Serena di Treviso.
In un periodo in cui per molti il lockdown sembrava finito, le persone costrette a vivere dentro i luoghi di reclusione continuavano a restare ammassate, senza che venisse presa nessuna misura di tutela della loro salute.
Questo è il caso dell’ex caserma Serena di Treviso, adibita a Cas e gestita dalla cooperativa Nova Facility, dove ancora a giugno, più di 300 persone continuavano a vivere in spazi sovraffollati, senza che venisse loro fornita alcuna informazione sui contagi né alcuna protezione come mascherina e disinfettante. Molti di loro lavorano sfruttati in diversi settori della zona, dalla logistica all’agricoltura. Già da ben prima dell’emergenza Covid chi era costretto a vivere in quel luogo aveva denunciato le terribili condizioni di vita all’interno della struttura: le condizioni igieniche degradanti, le cure mediche assenti, le camere-dormitorio, la rigidissima disciplina con cui sono applicate le regole dell’accoglienza, la collaborazione tra operatori e polizia, il lavoro volontario all’interno del centro. Un luogo perfetto per la diffusione del Covid.
L’ex caserma Serena, infatti, nel giro di 2 mesi diventa un focolaio,e i contagiati passano da 1 a 244. E’ proprio per questo che prima a giugno, poi a fine luglio e infine ad agosto si susseguono proteste da parte degli ospiti della struttura. Le ragioni sono molto chiare, nonostante le notizie sui giornali e le inchieste giudiziarie vogliano storpiarle in tutti i modi possibili: si protesta perché non viene fornita nessuna informazione sugli aspetti sanitari, né alcuna misura di tutela della salute, perché da un giorno all’altro viene comunicato a tutti l’isolamento, ma senza che venga data alcuna spiegazione. Solo dopo due giorni di vero e proprio sequestro degli ospiti si scopre che la ragione è il contagio di un operatore. Si protesta perché molti perdono il lavoro senza poter nemmeno comunicare coi propri padroni; perché vengono fatti a tutti i tamponi, ma poi positivi e negativi vengono rinchiusi insieme e quindi l’isolamento si rinnova continuamente. Si protesta perché chi lavora lì continua ad entrare e uscire, mentre i contagiati all’interno aumentano di giorno in giorno, ad alcuni vengono fatti anche 4 o 5 tamponi ma nessuno, tra operatori, personale sanitario e polizia, si interessa di fornire informazioni a chi dentro la caserma ci vive e di virus si sta ammalando. Ad alcuni è anche impedito di vedere l’esito del proprio tampone. Si protesta anche perché gli ospiti chiedono di parlare coi giornalisti per raccontare le loro condizioni, e polizia e operatori glielo impediscono.
Nel frattempo, già dopo le prime manifestazioni di giugno, la prefettura preannuncia 3 espulsioni e almeno una ventina di denunce pronte per quando finirà l’isolamento. L’annunciata repressione si avvera il 19 agosto, quando quattro persone che vivono dentro l’ex caserma vengono arrestate. Altre 8 risultano indagate. Le accuse sono pesanti, ed è molto chiaro che l’intento è punire Abdourahmane, Mohammed, Amadou e Chaka in modo esemplare, per dare un segnale a tutti gli altri. Per trovare dei colpevoli, dei capi, degli untori, per spostare la responsabilità dal Ministero dell’Interno, dalla Prefettura, dalla cooperativa e dal comune agli immigrati. Tutti e 4 vengono portati nel carcere di Treviso. Mohammed viene ricoverato in urgenza allo stomaco proprio per l’assenza di cure, Amadou si ammala di Covid in carcere.
Dopo un mese circa – per ordine del Ministero dell’Interno- vengono trasferiti in 4 carceri diverse e messi in regime di 14bis (sorveglianza particolare). Il 7 novembre il più giovane di loro, Chaka, viene trovato morto nel carcere di Verona. Su di lui viene spesa qualche parola in qualche articolo di giornale, si parla di suicidio e poi, come per tantissime altre morti, cala il silenzio.
Le ragioni di questa protesta, la repressione che ne è seguita e la morte di Chaka sono un’espressione molto chiara di quanto è accaduto nell’ultimo anno e dell’ordine assassino a cui vogliono sottoporci. Se abbiamo conoscenza di questa storia è soltanto grazie al fatto che delle persone continuano a lottare. E per questo ora stanno pagando, rischiando di rimanere isolate e sole.
Dall’inizio della pandemia nei centri di accoglienza di tutta Italia si sono susseguite proteste scatenate da ragioni del tutto simili a quelle di Treviso: la mancanza di informazioni chiare, l’ammassare positivi e negativi insieme in una tendopoli, in un centro o su una nave, le quarantene continuamente rinnovate, la mancata tutela della salute. Le proteste, le fughe, gli scioperi della fame non si sono mai interrotti, contro uno Stato che nei mesi ha noleggiato 5 navi-prigione, ha inviato militari a presidiare i centri di accoglienza, ha stretto accordi di rimpatrio con la Tunisia, ha denunciato ed espulso centinaia di persone, avallato da fascisti e rappresentanti locali che gridavano all’untore, all’espulsione, agli sgomberi.
A marzo, in seguito alle lotte per i documenti che le persone immigrate soprattutto nelle campagne portano avanti con coraggio, lo stesso governo ha varato una sanatoria che ha coinvolto solo poche persone, lasciandone tantissime altre in condizione di irregolarità o semi-irregolarità. Eppure di questa sanatoria le istituzioni si sono fatte vanto, così come della modifica dei decreti sicurezza di Salvini (in realtà questi prevedono ancora misure per favorire la repressione dei reati commessi dentro i cpr, mentre è stata lasciata completamente intatta tutta la parte relativa alla criminalizzazione delle lotte in generale).
Così nelle carceri, dove dopo le rivolte di marzo e le morti, si è cercato di imporre in tutti i modi un muro di silenzio. Mentre le prigioni continuano ad essere focolai, i contagiati raddoppiano (come ad esempio il carcere di Vicenza dove tuttora è rinchiuso Amadou), e aumentano i morti di Covid tra i detenuti, sulle rivolte di marzo e sui 14 detenuti morti nelle galere di Modena, Bologna e Rieti si cerca in tutti i modi di far calare il silenzio; levando di torno le persone e mettendo a tacere in qualsiasi modo la voce dei detenuti e dei testimoni delle violenze e torture che si sono consumate in questi mesi nelle galere. Non a caso proprio le persone straniere che hanno partecipato alle rivolte di Modena sono state espulse.
Ma per quanto si voglia liquidare tutte queste morti, da quella di Salvatore Piscitelli a quella di Chaka Outtara, come dovute a overdose o suicidi, sono proprio le denunce, i racconti e le lotte di questi mesi ad aver permesso di non farne dei casi singoli. Per quanto si voglia dividere e isolare chi ha lottato nei campi, nei centri di accoglienza, nei cpr, sulle navi, nelle carceri con enorme coraggio in tutti questi mesi, i legami di solidarietà e di lotta non smettono di intrecciarsi.
La morte di Chaka, come quella di tanti altri, non deve essere dimenticata, perché quello di Chaka è un omicidio e gli assassini sono l’accoglienza, le leggi razziste che governano la vita delle persone immigrate, lo sfruttamento, il carcere.
Attualmente Mohammed e Amadou sono nelle carceri di Treviso e Vicenza, mentre Abdourahmane è agli arresti domiciliari. Invitiamo a scrivere loro e a far sentire la nostra vicinanza in tutti i modi possibili, perché continuare a lottare significa anche non lasciare solo nessun davanti alla repressione, e non lasciare che la morte di Chaka si aggiunga solo ad una lista ormai troppo lunga.
Per Chaka
Mohammed, Amadou e Abdou liberi! Tutti e tutte libere!
Sanatoria per tutti, repressione per nessuno!
Per scrivere loro:
Mohammed Traore
Via S. Bona Nuova 5/b
31100 Treviso (TV)
Amadou Toure
Via B. Dalla Scola 150
36100 Vicenza (VI)