Pubblichiamo la traduzione integrale di un articolo riguardo il business della detenzione dei/delle migranti in Uk ed Australia perchè in grado di descrivere la situazione nei centri gestiti da multinazionali del controllo.
Consigliamo la lettura per immaginare una delle prospettive possibili che il governo italiano potrà intraprendere per la gestione privata dei centri di detenzione per richiedenti asilo e migranti senza documenti in regola.
Non è una novità che la multinazionale francese Gepsa, già impegnata nella gestione delle carceri nel proprio stato, si sia candidata per un’eventuale gestione del Cie di via Corelli a Milano (per ora chiuso temporaneamente per restauro), così come in passato ha già avuto tra le mani il bottino rappresentato dal Cara di Castelnuovo di Porto, vicino Roma.
Pensiamo che la privatizzazione dei centri di detenzione rappresenti un’ulteriore cappa, capace di rendere totalmente invisibile l’oppressione quotidiana, così come avviene tramite l’operato dell’agezia Frontex, riguardo il controllo e la militarizzazione delle frontiere esterne a tutta la Fortezza Europa.
Altro aspetto importante è sicuramente l’esternalizzazione, oltre i confini degli stati interessati, della costruzione di lager per migranti. In questo senso Israele e l’Europa stanno battendo una strada illuminata dal modello australiano.
A gestione pubblica o privata, vicino o lontano da casa nostra, i campi d’internamento per migranti restano la punta dell’iceberg di un sistema di ricatto e sfruttamento che vogliamo abbattere.
Solidali con i/le detenuti/e, complici dei/delle ribelli, vi auguriamo una buona lettura.
La rivolta nel centro di detenzione per richiedenti asilo a largo dell’Australia, nell’isola di Manus in Papa Nuova Guinea, lo scorso mese, finito con un morto e più di 70 feriti, ha evidenziato numerosi aspetti del controllo della migrazione da parte delle compagnie di sicurezza private.
Con l’introduzione di più stretti controlli al confine da parte degli Stati mondiali e l’allargamento dell’utilizzo della detenzione di immigrati gli Stati sempre di più hanno affidato a compagnie multinazionali la gestione di una serie di funzioni che prima erano considerate di responsabilità di governi. Le critiche riguardo l’uso di queste compagnie per dirigere i centri di detenzione, le guardie di frontiera e l’accompagnamento durante le deportazioni forzate argomentano che è diventato estremamente difficile tirare le somme quando le cose peggiorano com’è successo la notte del 17 febbraio al centro di Manus Island.
Ci sono versioni contrastanti riguardo quanto accaduto quella notte. Mentre alcune indagini sono ancora in corso, i detenuti hanno dichiarato che durante la sommossa, gli addetti della G4S, compagnia che gestisce la struttura, li hanno picchiati ripetutamente con armi improvvisate come sassi e sbarre di ferro.
Altre fonti si sono lamentate della polizia locale e di alcuni soggetti estrerni per le ferite alla testa che hanno ucciso il ventitreenne iraniano richiedente asilo Reza Berati.
Thomas Gammeltoft-Hansen, ricercatore al Danish Istitute for Human Rights, che ha scritto a lungo riguardo quella che lui chiama “l’industria della migrazione” sottolinea che se le violazioni a Manus Island sono avvenute sotto lo sguardo dei lavoratori dell’immigrazione australiani “ci potrebbe facilmente essere una responsabilità legale”.
“Il fatto che la struttura di Manus Island è situata fuori confine ed ha un poco trasparente accordo con il governo della Papa Nuova Guinea significa che la valutazione legale è molto più complicata”.
L’incremento della privatizzazione
Mentre alcuni paesi ora usano le compagnie private per gestire i loro centri di detenzione degli immigrati, l’Australia ha fatto un significativo passo in avanti nel 2012 esternalizzando la detenzione dei richiedenti asilo a due altri paesi. Oltre alla struttura di Manus Island in PNG, che può contenere fino a 1100 richiedenti asilo, ce n’è un’altra nella piccola isola nazione di Nauru che può contenerne 1200.
Gli accordi dell’Australia con la Papa Nuova Guinea e Nauru sono basati su patti che sono vaghi su punti come il welfare detentivo e il monitoraggio, non dicono altro che “gli enti gestori tratteranno le persone in attesa di deportazione con dignità, rispetto ed in accordo con elevati standard dei diritti umani”.
A differenza delle strutture detentive sul territorio australiano, che regolarmente ricevono delegazioni di Ong e di osservatori, le strutture di Manus Island e Nauru hanno ricevuto solamente 3 o 4 visite dell’UNHCR e di Amnesty International da quando hanno aperto nel tardo 2012. In seguito alle visite a Manus Island, sia l’UNHCR che Amnesty International sono state molto critiche riguardo le condizioni dei migranti, descritte come dure ed inumane.
Questioni di conteggi
“Neanche i minimi meccanismi di conta degli internati promessi quando le strutture oltre confine sono state messe in funzione, sono stati rispettati”, dice Paul Power, CEO del consiglio dei rifugiati in Australia. “Non esiste realmente un sistema di monitoraggio”.
Gammeltoft-Hansen spiega che la privatizzazione del controllo della migrazione ha reso più difficile investigare e perseguire i casi di abuso, anche quando accadono di fronte a testimoni. Questo è stato il caso di Jimmy Mubenga, un richiedente asilo dell’Angola brutalizzato dalla sicurezza privata che lo scortava durante la deportazione dall’aeroporto di Heatrow nell’ottobre del 2010, durante la quale ha perso i sensi ed è morto.
Nonostante il risultato di un’inchiesta nel luglio 2013 abbia accertato che Mubenga è stato ucciso illegalmente, la procura generale della corona inglese deve ancora formulare l’accusa contro le guardie che lavoravano per la G4S, la stessa compagnia che gestisce Manus Island, e la più grande compagnia di sicurezza privata di tutto il mondo.
L’Home Office non ha riscontrato alcuna responsabilità penale ed ha semplicemente cambiato i gestori, affidanto un nuovo contratto per le deportazioni alla compagnia Reliance (ora chiamata Tascor), già legata a numerosi casi di abuso.
Subito dopo la rivolta a Manus Island, l’Australia ha rimpiazzato la G4S con Transfield Services, che guadagnerà 1.1 miliardi di dollari americani per 20 mesi di gestione dei centri, sia di Manus Island che di Nauru.
“La logica della privatizzazione suggerisce che gli stati possono prendere le distanze dalle loro responsabilità semplicemente licenziando la compagnia in questione”, dice Gammeltoft-Hansen. “Ma in realtà ci sono solo tre o quattro competitori in questo giro d’affari mondiale”.
Phil Miller, ricercatore per Corporate Watch, che ha investigato i maggiori contractors utilizzati dalle autorità britanniche per l’immigrazione, concorda che “una volta che il governo ha deciso di gestire questi affari privatamente, esistono solo uma manciata di compagnie tra cui scegliere”, nessuna di queste priva di abusi registrati o garanzie di sicurezza.
G4S continua a gestire due centri di deportazione in UK. Garantisce inoltre il monitoraggio elettronico e divide un contratto con altre due compagnie per gestire l’accoglienza dei richiedenti asilo. Uno dei suoi maggiori concorrenti, Serco, è stato coinvolto in accuse di abusi sessuali che riguardano le guardie in servizio nel centro di deportazione in Bedfordshire, Yarl’s Wood.
Un’altra compagnia, Mitie, ha appena vinto un contratto per due centri di detenzione a Londra, nonostante non abbia seguito le raccomandazioni dell’Oxfordshire Fire and Rescue Service di istallare un sistema anti-incendio al centro Campsfield House, che avrebbe prevenuto l’incendio divampato nell’ottobre del 2013.
La decisione di esternalizzare a compagnie private è spesso giustificata con il risparmio dei costi, ma secondo quanto dice Miller “non ci sono prove che la privatizzazione è più efficiente dal punto di vista dei costi tranne riguardo i servizi gestiti dalle compagnie stesse”.
Il welfare dei detenuti
Don Flynn, direttore della rete per i diritti dei migranti, un’Ong inglese, spiega che il modello bassi costi/alta capacità che ora caratterizza i servizi di detenzione è inappropriato quando si tratta d’immigrati detenuti, tra cui molti richiedenti asilo con una storia di traumi. “Si tratta di persone seriamente depresse che hanno svariati bisogni”.
Gammeltoft-Hansen ha detto che ci sono prove che suggeriscono che i contractors privati sono meno portati ad investire nei servizi per i detenuti, e addirittura nei servizi essenziali che avrebbero potuto prevenire le rivolte a Manus Island. “Semplicemnte noi non sappiamo quale sia in pratica quale sia la portata dei profitti a causa della mancanza di trasparenza”, ha aggiunto.
Circa la metà degli 11 centri di detenzione per immigrati in UK sono gestiti privatamente e le condizioni in questi centri non sono necessariamente peggiori di quelli gestiti dallo stato, dice Eiri Ohtani del detention forum, un network di circa 30 Ong che lavora su questioni legate alla detenzione dei migranti.
I centri sono generalmente ben regolati e monitorati, dice lei. Ma citando il caso di Jimmy Mubenga e degli abusi sessuali a Yarl’s Wood, ha aggiunto, “ciò che abbiamo trovato è che c’è un fallimento del governo nel trovare le responsabilità quando qualcosa va male con le compagnie private di sicurezza”.
Paul Power, del Refugee Council australiano, dove tutte le strutture di detenzione per immigrati sono state nelle mani di aziende private per più di un decennio, dice che le agenzie governative e le compagnie di sicurezza private hanno una modalità simile nel trattamento dei rigistri dei detenuti immigrati. “Il sistema di conteggio che viene utilizzato è l’aspetto più importante, ed in Australia è inaccettabile”.
Il potere delle lobby
Per alcuni attivisti dei diritti dei migranti, l’aspetto più preoccupante della privatizzazione del controllo della migrazione è come abbia guidato la tendenza globale alla criminalizzazione degli immigrati. In Uk ci sono circa 4000 posti designati per la detenzione dei migranti, a differenza dei 200/300 posti letto di 15 anni fa, e imprigiona quasi 30,000 richiedenti asilo e senza documenti all’anno.
Negli ultimi 20 anni, anche negli Stati Uniti si riscontra un’espansione di massa della detenzione dei migranti ed ai giorni d’oggi la capacità è di 34,000 posti per un costo di circa 2 miliardi di dollari l’anno. La GEO Group e la Corrections Corporation of America (CCA) gestiscono circa la metà di questi posti letto e spendono grandi somme per mantenere l’appoggio delle lobby.
Mentre varie associazioni per i diritti e media indipendenti hanno dichiarato che il loro obiettivo è influenzare le politiche sulla migrazione, un portavoce della CCA, Steve Owen, afferma che “riguardo politiche a lungo termine la CCA non fa pressioni, o in alcun modo promuove politiche che determinino le basi o la durata per incarcerazione di individui”.
D’altronde Owen ha spiegato: “l’obiettivo primario delle nostre pressioni è l’educazione riguardo i meriti ed i benefici di una partnership tra privato e pubblico rispetto le correzioni e la detenzione in generale, e i servizi che la CCA offre”.
“Queste compagnie hanno un grande potere di pressione”, dichiara Michelle Brané, direttrice del programma di detenzione ed asilo per la Women’s Refugee Commission di New York. “Sappiamo che loro fanno regolarmente visita negli uffici del congresso per incentivare l’acquisizione degli appalti per la detenzione degli immigrati”.
Miller di Corporate Watch dichiara che riguardo il personale “esiste una porta girevole tra i settori della sicurezza pubblica e privata” in UK, una situazione che ha dato al senior management delle maggiori compagnie della sicurezza la possibilità di fare pressioni alle loro controparti nel governo per aumentare ancora l’utilizzo dei loro servizi per monitorare, imprigionare e deportare immigrati, inclusi i richiedenti asilo che ricevono un diniego.
“Se guardiamo a chi sostiene queste compagnie private, troviamo coinvolti molti ex ministri”, dichiara Ohtani del Detention Forum, la quale si batte per un dibattito pubblico riguardo la crescente detenzione degli immigranti in UK.
Gammeltoft-Hansen sottolinea che una volta che i governi hanno intrapreso la strada della privatizzazione del controllo sulla migrazione è molto difficile cambiare rotta a causa della perdita d’esperienza e professionalità del pubblico settore. Sia in UK che in Australia, i nuovi governi hanno promesso di abbandonare la privatizzazione dei centri di detenzione, per poi comunque affidare più contratti alle compagnie di sicurezza privata una volta insediati al potere. “E’ quello che chiamiamo l’effetto lock-in”, dichiara Gammeltoft-Hansen.
“Nel tempo, queste compagnie private avranno più conoscenze in queste mansioni e sempre di più saranno in grado di stabilire parametri e direzioni politiche”, ha avvisato.
Ringraziamo Detta_Lalla per l’aiuto nella traduzione.