Fonte: Macerie
È andata come era prevedibile – e come infatti prevedevamo – l’udienza che, ieri mattina, ha segnato la fine del primo grado del processo contro la vecchia “Assemblea antirazzista”. È difficile di questi tempi, infatti, trovare a Torino giudici che abbian voglia di smentire le tesi dei Pubblici ministeri, e questi giudici non eran tra quelli in aula ieri. Sfrondata già al tempo da reati associativi, la costruzione dell’accusa è stata accolta senza batter ciglio dalla Corte, che si è limitata a limare le richieste esosissime di Padalino e compagnia.
Le richieste da cinque anni son diventate condanne da tre anni e mezzo, le richieste da tre anni, invece, un anno e nove – e così via a far proporzioni. Condanne inferiori alle richieste, ma comunque molto pesanti visto il tenore tutto sommato blandissimo degli episodi contestati. La tesi complessiva dell’accusa, fatta propria dalla Corte, è quella che ha tanto ben sintetizzato l’anonimo titolista di “Repubblica Torino” questa mattina: parlando del processo e dei fatti dai quali prende le mosse, riesce a parlare di «stagione violenta degli anarchici». Il che significa: un morto di indifferenza nel Cie; un altro ammazzato dal padrone che non lo voleva pagare; lacrimogeni sparati contro gente già tenuta in gabbia in condizioni disumane – tutte queste cose non sono violenze, son fenomeni o episodi dei quali si può al limite parlar male (giacché anche su Repubblica, negli anni successivi, si è parlato male dei Cie). È violenza invece ciò che vi si oppone fattivamente, ciò che queste violenze (che non sono altro, poi, che il manifestarsi puntuale di una violenza strutturale più vasta e profonda) cerca di impedirle: da qui gli anni di galera. Chissà che razza di titoli verrebbero fuori ai coraggiosi impiegati di “Repubblica” se dovessero parlare non degli anarchici torinesi – che alla fine han fatto ben poco e con scarsi risultati – ma, mettiamo il caso, di John Brown! Titoli sicuramente in linea con le condanne alla forca di allora. Ma lasciamo stare la razza vigliacca dei giornalisti: per il resto, l’aula era piena di pubblico, arrivato un po’ per dare un segnale d’attenzione rispetto al processo, un po’ per salutare Paolo. E Paolo era in splendida forma. E quelle lotte di allora, soprattutto, sono ancora vive.
Ascolta l’intervista realizzata da Radio Onda Rossa ad un imputato.