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L’ultimo giorno dell’anno, un’ennesima delegazione è entrata nelle gabbie del CIE di Ponte Galeria. La registrazione audio di Radio Radicale, che ha accompagnato la visita, inizia con l’intervista ad Enzo Lattuca, attuale direttore dell’associazione culturale Acuarinto che gestisce il CIE insieme alla francese Gepsa (gli stessi che gestiscono anche il CIE di Corso Brunelleschi a Torino).
Ovviamente, non essendoci prigionieri all’interno della sezione maschile, è toccato a lui raccontare perché la sezione è rimasta vuota e i motivi della rivolta dell’11 dicembre.
Le dichiarazioni dell’intervistato hanno un contenuto pressoché vuoto fino ad arrivare all’assurdo. Con il tentativo di coprire la brutalità della detenzione nel CIE e le violenze delle forze dell’ordine, Enzo Lattuca attribuisce le cause della rivolta ad una «regia esterna».
Inoltre «Un fulmine a ciel sereno… l’atmosfera assolutamente serena» sarebbe il contesto in cui si è prodotta la rivolta per Enzo Lattuca.
A quanto ci risulta dai racconti delle persone recluse, le continue espulsioni, le violenze e le minacce, il cibo scadente, la mancanza di acqua calda e riscaldamenti, sono il clima di tranquilla e quotidiana oppressione che si nasconde dietro le mura del CIE di Ponte Galeria.
Come dice il direttore del CIE, la rivolta è partita da un «atteggiamento, diciamo poco carino…», come se fosse pacifico ricevere un’aggressione verbale e subirla in silenzio.
Le testimonianze dei reclusi ci raccontano in ogni caso di un’aggressione, fisica e verbale, che ha immediatamente suscitato la rabbia di tutte le persone recluse, che hanno scelto di non restare indifferenti davanti l’ennesimo sopruso rivolto ad un compagno di prigionia.
Forse il direttore è confuso o forse non può ammettere che è l’internamento stesso a provocare continue proteste e resistenze alle deportazioni. Dal canto nostro, negli ultimi anni, abbiamo visto la chiusura temporanea di molti Centri di Identificazione ed Espulsione grazie alla rabbia delle persone imprigionate, e non sempre accompagnate da un contesto di solidarietà diffusa all’esterno.
Ai migranti nei CIE come nei centri di accoglienza, in Italia come nel resto d’Europa, non si riconosce nemmeno la capacità di organizzarsi autonomamente per lottare contro il sistema gestionale europeo e la volontà di non accettare le condizioni di vita imposte e cercarsi un futuro migliore, a partire dai propri paesi così come in quelli d’arrivo. Per chi gestisce accoglienza e/o reclusione le persone migranti rimangono sempre e solo soggetti passivi e vittime da “aiutare” caritatevolmente o da controllare “per il loro bene” o per la “sicurezza e l’ordine pubblico”.
La chiusura della sezione maschile del CIE di Ponte Galeria ci dimostra ancora una volta invece che i Lager li chiudono le rivolte delle persone recluse e non le delegazioni di politicanti e associazioni che continuano a vittimizzare e infantilizzare le persone recluse.