L’hotspot e Taranto: la frontiera è ovunque

HST1Mentre in Grecia tutte le migliaia di persone arrivate nelle isole vengono imprigionate, direttamente dai luoghi di sbarco, negli hotspot, che svelano così completamente la loro (prevista e prevedibile) funzione di campi di selezione e concentramento, in Italia ancora si fa poca attenzione a quello che avviene in questi luoghi di reclusione.

Negli hotspot di Lesbo, Samos e Chios ci sono state nei giorni scorsi ripetute rivolte e fughe di massa dai centri (pur considerando che le isole stesse, per loro natura, sono di fatto una prigione a cielo aperto); le ONG hanno denunciato la situazione e dichiarato la loro (apparentemente) rinuncia a collaborare, mentre  in Italia avanzano solo qualche critica. 

Eppure anche qui, da Lampedusa a Taranto, continua la lotta dei/delle migranti contro la detenzione e le identificazioni, attraverso proteste, cortei, tentativi di fuga, resistenza alla presa delle impronte, scioperi della fame. Mancando purtroppo il più delle volte un supporto solidale all’esterno, di queste proteste si san ben poco, e solo le più eclatanti sono riportate, talvolta, dai media.

L’hotspot di Taranto ha una capienza prevista di 300 posti, ma a ogni sbarco qui vengono ammassate molte più persone. È recintato, controllato da telecamere e presidiato da esercito, polizia, carabinieri, polizia municipale, protezione civile e croce rossa. Le persone sono ammassate in tensostrutture, ed esposte ai fumi della vicina ILVA.

Il foglio di via consegnato ai migranti

Il foglio di via consegnato ai migranti

Oggi 13 aprile, come riportano alcune testate locali, una trentina dei 324 migranti arrivati la notte scorsa all’hotspot di Taranto, su autobus provenienti da Reggio Calabria, sono fuggiti dal centro per evitare l’identificazione. Dopo la caccia all’uomo e l’inseguimento, sono stati poi individuati da polizia e carabinieri e ricondotti forzatamente nell’hotspot.

Nei giorni scorsi, e come in precedenza, circa 200 migranti avevano ricevuto un decreto di espulsione ed erano stati rilasciati con un  foglio di via che impone loro  di lasciare l’Italia entro 7 giorni. Nel frattempo, rimasti senza soldi e senza un tetto, sono “liberi di circolare”, e chi può prova a continuare il viaggio attraverso le frontiere blindate. Per loro fortuna la macchina delle espulsioni, in Italia, è stata inceppata dalle rivolte dei migranti nei centri di detenzione a Torino, Roma, Bari, Crotone e Caltanisetta, le strutture e i posti disponibili sono pochi e di conseguenza sembrano diminuire, per il momento, anche le espulsioni.

A quanto si è appreso, sempre nei giorni scorsi, alcuni migranti si sono cosparsi i polpastrelli di colla per ostacolare l’identificazione. «Ma la Polizia si è attrezzata con dei solventi – aggiunge il dirigente della poliza locale nell’hotspot di Taranto – per superare anche questo problema».

Di seguito diffondiamo da informa-azione

Non c’è modo di capire cosa sia l’hotspot di Taranto senza guardare le strade pattugliate, la stazione presidiata da telecamere delle tv locali e nazionali e i buoni samaritani con le pettorine delle associazioni, le guardie sui treni, gli autobus urbani tramutati in nastri trasportatori di merce umana. Il nervosismo della sbirraglia che chiede i documenti a chi osa guardare oltre i doppi cancelli per cercare gli occhi di chi è recluso.

Si rischia di soggiacere altrimenti alla narrazione dominante dell’Europa che non rinuncia alle sue istanze di civiltà e umanitarismo nonostante la minaccia del terrorismo, agitata sempre con un tempismo magico.
I Grandi burattinai ripetono che lasciare morire di bombe (eccellenza dell’esportazione Made in Italy) uomini donne e bambini non sta bene. Per quanto riguarda la miseria, la fame, le galere o la voglia di sfuggire ad un destino scritto e andare via non è affare nostro. Dunque all’estrema periferia sud dell’Europa le porte si fanno strettissime e si smistano esseri umani. Nessuno esce senza aver lasciato le proprie impronte e senza aver dichiarato la propria provenienza. Da quel punto in poi i destini si dividono. Chi risponde ai parametri per richiedere l’asilo, politico o umanitario, entra nella filiera della seconda accoglienza. Un affare miliardario per associazioni, cooperative sociali, charitas, mercanti del tempio che mai furono scacciati. Poi comincia il limbo dell’attesa dei documenti. Giorni che diventano mesi. E poi anni ad ingannare il tempo spossessati della propria autonomia, della vita stessa. Infantilizzati, gli spostamenti solo nei percorsi obbligati, un tempo di redenzione passato a dimostrare senza ombra di dubbio la propria disponibilità ad essere sfruttati dentro i sistemi economici della patria dei diritti umani mangiando pasta scondita. Qui al sud Italia spesso finendo nelle mani dei caporali delle agromafie e di sciacalli vari coperti dalla questura. Per gli altri, i cosiddetti migranti economici la sentenza è riassunta dall’ipocrisia del “respingimento differito”.

Appena fuori dall’hotspot vengono caricati sugli autobus dell’Amat (trasporto urbano che senza troppi scrupoli s’è messo a prendere ordini direttamente dal prefetto) e portati in questura nel quartiere periferico della Salinella a firmare un foglio che ne sancisce la clandestinizzazione.
Entro sette giorni saranno obbligati a raggiungere con i propri mezzi la frontiera e lasciare l’Italia.
Entro sette giorni il loro destino sarà a discrezione dello sbirro che li ferma, degli accordi tra ministri degli interni europei, delle indotte psicosi securitarie dell’Opinione Pubblica.
Dopodichè vengono sistematicamente mollati in mezzo alla strada, il cerchio è chiuso sono tutti contenti. O forse no.

Il sindaco di Taranto si è svegliato male quando s’è accorto di avere un problema grosso quanto l’affare che sperava di aver cloncluso. Un fiume di esseri umani senza nulla da perdere ad invadere la città. Con le mani nei capelli facendo una forzatura al dipositivo a cui si era piegato senza problemi pochi mesi prima fa riaprire le ex Ricciardi, un edificio scolastico in disuso già utilizzato durante l’emergenza nordafrica. Con la mediazione delle associazioni umanitarie vi fa trasferire tutti quelli che attendendo di poter salire sul treno per allontanarsi dalla ennesima prigione della loro odissea, non hanno un tetto per passare la notte.
Un luogo sicuro assicurano caritatevoli ed indaffarati gli emissari dell’associazione Babele e lo ripetono ai migranti in inglese in francese in arabo.

Il sindaco chiede un tavolo con la prefettura, dopo 48 ore la celere è alle ex ricciardi a ribadire chi comanda sul traffico di questi esseri umani.Non certo le intempestive crisi di coscienza di un sindaco connivente a tutte le peggiori imposizioni coloniali (ilva, eni, marina militare qui dettano la legge, lui scrive) e neanche le buone intenzioni dei volontari garanti della pace sociale.

Fin qui la storia ufficiale a cui affianchiamo il racconto di qualcuno che ha passato l’ultima settimana a chiedersi con le lacrime di rabbia agli occhi sfidando il senso d’impotenza e la rassegnazione che questa macchina mostruosa incute, cosa fare? Qualcuno ha provato a bucare quelle barriere fisiche sbirresche e linguistiche con questo fiume di persone, cercando nell’emergenza di stringere una complicità che potesse sabotare l’ingranaggio.

Siamo consapevoli che la prigione estesa che è questo mondo rinchiuda noi tanto quanto chi prende il mare. Che la gestione dei flussi migratori a velocità alternata serve per stabilire il prezzo del lavoro, fomentare la xenofobia, rafforzare i dispositvi di controllo sulla vita di tutti. La frontiera è ovunque, i check point invisibili sono ad ogni angolo, venti passi nel cortile sono diventati ventimila passi forse. E certe volte fa bene a chi è immerso nella sua sonnolenta routine fatta di serate nei posti occupati di assemblee con i loro rituali sentire cosa si è disposti a rischiare.

SOFFOCARE PER UN SOFFIO DI LIBERTA’ come diceva qualcuno dalle carceri greche.
Non abbiamo nessuna intenzione di unirci al lamento sulla inefficienza dello Stato visto che umanitarismo e controllo sociale sono due facce della stessa sporchissima moneta.
Ma a noi le giornate passate sono sembrate uno spiraglio da cui far filtrare aria nuova.
Per questo ci siamo presi lo spazio per parlare e farci raccontare, abbiamo provato ad avere un giorno di respiro lontano dagli occhi dei carcerieri più o meno caritatevoli.

Con chi dovremmo stringere allenanze? Con chi ha accettato umanitariamente di aiutare a gestire gli immigrati o con chi è fuggito da molte carceri per arrivare fin qui a ricordarci di desiderare anche noi tutto lo spazio e tutto il tempo che ci è stato sequestrato dalla prigione estesa?
Quello che vi sembra un borbottio sommesso che viene dal mare facile da coprire con le fanfare del potere, presto sarà un urlo assordante di libertà.

Migranti reclusi nell'hotspot di Taranto

Migranti reclusi nell’hotspot di Taranto

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