riceviamo e diffondiamo
ricordiamo che potete scriverci a hurriya (at) autistici.org
Riguardo la protesta dei migranti nello Sprar gestito dalla cooperativa Eta Beta, scriviamo alcune considerazioni a freddo a seguito di un confronto collettivo, derivante dal limite di aver espresso la nostra solidarietà in modo individuale non coordinato.
Pur essendo coscienti della necessità e importanza di accendere i riflettori su quanto avveniva, pensiamo che le comunicazioni date durante le proteste siano state caricate di significato, secondo interpretazioni di alcune strutture politiche presenti in quei giorni.
Premettiamo inoltre che tale protesta non è la prima che avviene in questo determinato Sprar, che non è l’unica all’interno dei centri gestiti dalla cooperativa Eta Beta né degli altri centri presenti in Italia, nonostante questi vengano considerati il fiore all’occhiello dell’accoglienza.
La protesta è iniziata martedì 10 maggio, con la scelta dei migranti di autogestire il centro in cui sono costretti a vivere, allontanando gli operatori. Le motivazioni e le rivendicazioni dei ragazzi si riferivano sia a condizioni di vita materiali (ritardo pagamento pocket money, mancata consegna degli abbonamenti dei mezzi pubblici e dei kit per l’igiene personale…) sia alla gestione delle loro vite da parte della cooperativa, ma soprattutto all’attesa indeterminata dei documenti, che obbliga molti di loro nella struttura da oltre 3 anni.
Alle proteste precedenti avvenute in questo Sprar sono seguiti gli allontanamenti di alcune persone, individuate dalla cooperativa come responsabili. Anche in questo caso, infatti, ci sono state 34 denunce a carico dei migranti per interruzione di pubblico servizio e violenza privata, tramite una lista di nomi fornita dalla cooperativa.
Negli ultimi tempi a Roma, sotto la sigla di RomAccoglie (un percorso in cui attivisti dei movimenti, associazionismo, attivisti dei diritti umani, CGIL, operatori dell’accoglienza, interloquiscono con candidati sindaco e istituzioni) si sta tentando di equiparare gli obiettivi delle lotte dei migranti con quelli degli operatori dei centri, con lo scopo finale di creare un’accoglienza buona. Questa proposta è la conseguenza dello scandalo di Mafia Capitale, a cui si sta contrapponendo tale spinta cittadinista e legalitaria: individuando le criticità del sistema dell’accoglienza nella malagestione e corruzione degli appalti, si propone lo Sprar come modello unico dell’accoglienza, a gestione comunale, con garanzia di trasparenza e libero accesso a giornalisti e attivisti dei diritti umani.
La protesta di martedì ha significato sicuramente un momento di rottura forte con la cooperativa e con il sistema di gestione chiamato accoglienza. Anche in questa occasione, operatori e attivisti (Communia, Esc, Clap) hanno cercato di accomunare le vertenze sindacali alle lotte dei migranti, utilizzando il momento di contrapposizione alla cooperativa per proporre un ennesimo confronto con le stesse istituzioni responsabili delle condizioni delle persone in lotta. I migranti hanno rifiutato questa proposta in quanto consapevoli che gli operatori sarebbero stati gli unici interlocutori della trattativa e che la situazione sarebbe stata destinata a non risolversi definitivamente a causa della mediazione al ribasso da parte degli attivisti. Ancora una volta si è mostrata la tendenza a considerare i migranti delle persone incapaci di prendere delle decisioni autonome: mentre la loro volontà era di portare avanti la protesta con un picchetto permanente, nonostante i continui ricatti insiti nel sistema della richiesta d’asilo, veniva inoltre agitato lo spauracchio del CIE per intimidirli e convincerli a orientare diversamente la lotta.
A un anno dallo sgombero dell’accampamento di Ponte Mammolo, che ha generato una retorica ipocrita sull’accoglienza, crediamo sia il tempo non solo di fare bilanci ma di mettere in campo nuove pratiche e conflittualità. Le dinamiche su cui è necessario riflettere sono molteplici, a partire dalla gerarchia che si produce nell’individuare dei referenti tra i migranti per attivare una trattativa con la controparte, come fossero un corpo unico. Fino a ora le uniche azioni concrete contro il sistema di identificazione, gestione, controllo ed espulsione sono state portate avanti dalle stesse persone che vivono questi dispositivi sulla propria pelle, attraverso lotte determinate, superando frontiere, incendiando i CIE e opponendosi all’identificazione coatta. Da parte nostra le pratiche messe in campo sono state scoordinate, residuali ed emergenziali, con l’unico risultato di essere testimoni. Le possibilità di incontro e condivisione in un momento di autogestione si chiudono non appena viene ristabilito l’ordine; approfittare collettivamente di queste crepe per creare relazioni e costruire complicità potrebbe aprire uno squarcio.
Domenica 15 maggio probabilmente il Pigneto sarà teatro dell’iniziativa di RetakeRoma che metterà al lavoro (gratuito) persone costrette nel circuito degli Sprar. Nella più normalizzata divisione sessista dei ruoli, gli uomini puliranno il quartiere e le donne cucineranno: decoro e legalità sono le parole d’ordine. Questo si inserisce all’interno di un progetto più ampio di categorizzazione delle persone migranti per favorirne la criminalizzazione, attraverso la differenziazione tra buoni (richiedenti asilo) e cattivi (senza documento ed extralegali).
Il 2 giugno saremo all’isola pedonale del Pigneto dove da più di due anni il feroce attacco dello Stato, tra rastrellamenti e militarizzazioni, è richiesto a gran voce anche da una parte della cittadinanza. Daremo vita a un momento di discussione sulla gestione delle persone migranti da parte dell’Europa e lo sfruttamento tramite il ricatto del lavoro gratuito.
Il 4 giugno, come ogni mese, saremo al CIE di Ponte Galeria a fianco delle persone recluse, in un momento in cui lo Stato sta ristrutturando e fortificando il lager a seguito delle rivolte che ne hanno distrutto una parte.
Nemici e nemiche delle frontiere
A integrazione di questo comunicato, ci sembra opportuno fornire alcuni dati sugli Sprar utili a smontare i presupposti su cui si basa l’accoglienza stessa.
Il sistema Sprar è caratterizzato da un tempo di attesa di 12 mesi in media per ottenere una risposta alla domanda d’asilo, a cui si sommano ulteriori 12 mesi per i ricorsi in caso di esito negativo. Ciò significa che il tempo medio complessivo per una richiesta si attesta sui 2 anni, tempo in cui le persone migranti sono costrette a vivere in questi centri.
Esistono inoltre forti differenze territoriali per quanto riguarda i dinieghi, che raggiungono a livello nazionale la percentuale del 60%, passando dal 46% in alcune regioni del Nord fino ad arrivare all’84% della Sardegna e al 76% della Toscana, considerata “modello virtuoso di accoglienza”.
Come si evince dal grafico, delle persone costrette a entrare in questi centri, i 2/3 fuoriescono dal circuito dell’accoglienza per diversi motivi. Solo 1/3 dei migranti risulterebbe integrato, considerando qui integrazione l’ottenimento di casa e lavoro. Questi ultimi dati ci sembrano in realtà poco significativi perché non specifici (per esempio su tipologie di contratti lavorativi) e sopratutto poiché ci offrono una visione puramente quantitativa sulle condizioni di vita delle persone migranti, la cui voce e giudizio sul sistema accoglienza non è mai presa in considerazione.
Nella tabella sottostante, vengono riportati i dati sui dinieghi in Italia suddivisi per nazionalità (tra cui molte di quelle di provenienza dei migranti dello Sprar di via Tiburtina 994).
Altri dati interessanti riguardano la situazione specifica di Roma che, a fronte di 8346 richieste d’asilo, ne respinge 4936, cioè il 59%.
Alla luce di questo, possiamo affermare che la retorica sulla buona accoglienza e integrazione delle persone migranti viene smentita dagli stessi dati freddi ufficiali che evidenziano come in realtà questo sistema sia solo funzionale al business dell’accoglienza, mentre le persone migranti vengono escluse e per la stragrande maggioranza ritornano nella loro condizione di irregolarità dopo anni di limbo e isolamento nei centri.