riceviamo e diffondiamo.
Oggi una decina di compagne sono andate davanti al CIE di Ponte Galeria per qualche slogan di solidarietà nei confronti delle donne recluse, accompagnato da fuochi d’artificio.
Da dicembre, l’unica sezione funzionante nel CIE romano è quella dove sono detenute le donne.
Due giorni fa, la violenza degli Stati e dei loro confini ha ucciso Milet, una ragazza migrante che tentava di continuare il suo viaggio attraversando la frontiera a Ventimiglia.
La stessa violenza europea che imprigiona e deporta ogni giorno tantissime persone.
Il sistema di dominio del patriarcato non ha confini, infatti si riflette in oppressioni specifiche dai luoghi di nascita alla democratica Europa, passando per la repressione, poliziesca e non, inflitta durante il viaggio.
Gran parte dei dispositivi di militarizzazione e controllo delle frontiere si sviluppano seguendo il vettore della lotta alla tratta per “liberare le donne”, stessa politica che intensifica le continue retate e la militarizzazione delle strade in chiave securitaria, strumentalizzando la violenza maschile contro le donne per mostrificare i migranti.
Il tentativo continuo è quello di nascondere che la violenza sessista è agita dagli uomini, con o senza divisa, ovunque.
Mentre l’Italia infantilizza e vittimizza le donne migranti, considerandole soggetti da accogliere e gestire, ogni giorno le donne continuano le resistenze alle deportazioni e alle identificazioni, e i tentativi di passare le frontiere anche a costo della vita.
Il CIE di Ponte Galeria è l’unico, al momento, che imprigiona le donne, poiché gli altri centri di identificazione ed espulsione sono stati chiusi dalle rivolte. Nello stesso CIE, l’infermeria viene utilizzata come sezione per le persone trans, determinando così una triplice oppressione: migrante, detenut*, e isolat* attraverso la negazione della propria identità.
Il saluto solidale di oggi vuole essere anche l’invito a tutt* a lottare contro la violenza specifica che gli Stati agiscono sui corpi delle donne e delle persone trans, con e senza documenti.
compagne
Aggiornamenti dall’interno del Cie
Nel CIE romano di Ponte Galeria al momento ci sono circa 70 recluse, mentre continua a essere chiusa la sezione maschile, distrutta dalla rivolta dell’inverno scorso.
La situazione all’interno del CIE che ci viene raccontata quotidianamente dalle detenute è quella che purtroppo ci troviamo spesso a riportare. I problemi più sentiti sono le condizioni igieniche insopportabili e il cibo scadente, che da sempre accompagnano la prigionia delle detenute e dei detentuti di ogni CIE. Resta ancora il problema legato all’accesso alle visite ginecologiche: il protocollo d’intesa firmato da Prefettura e ASL Roma D sembra sia servito soltanto alla Questura per non fare uscire le detenute dal centro per effettuare le visite mediche, negando in pratica l’assistenza sanitaria.
Al momento molte delle donne imprigionate sono richiedenti asilo, quindi i tempi di permanenza medi sono abbastanza alti (intorno ai 6-8 mesi), tra la richiesta di asilo, la risposta, il ricorso e i soliti lunghissimi tempi della burocrazia. Diverse le persone che invece dal CIE ci passano solo per qualche giorno, in vista dell’espulsione o del rimpatrio forzato con accompagnamento alla frontiera.
Da dentro ci dicono che la situazione è molto tesa. Spesso ci sono litigi e discussioni, a volte anche accese. Sopportare una lunga prigionia in attesa di risposte che non arrivano mai, farcite di menzogne e false promesse crea un clima di tensione difficile da gestire. Quello che emerge di più dai racconti delle prigioniere è proprio questo gioco di ricatti continui. I carcerieri di turno promettono libertà o esiti positivi di commissioni sulle richieste d’asilo in cambio di calma e docilità. Provano sempre a dividere le detenute tra di loro e soprattutto con chi è solidale da fuori.
Per questo è necessario continuare ad andare sotto quelle mura, finchè ogni lager di stato non venga abbattuto.
nemici e nemiche delle frontiere