Egitto – Il regime contro ogni dissidenza: aggiornamenti sulla repressione

Nessuno degli altri despoti che hanno governato l’Egitto dal 1952 aveva osato condannare al carcere il capo del sindacato dei giornalisti, Yehia Qalash, il suo vice, Gamal Abd el Reheem, e il capo della “commissione delle libertà”, Khaled al-Balshy. La sentenza è di due anni e 10.000 ghinee di cauzione ciascuno per restare in libertà fino all’appello. I tre sono stati condannati con l’accusa di aver nascosto persone ricercate e aver diffuso notizie false sul loro conto. In realtà queste “persone” sono i due giornalisti, Amr Badr e Mahmoud al-Saqa, che avevano un mandato di cattura a causa delle proteste contro la cessione (illegale secondo la giustizia egiziana) di Tiran e Sanafir ai sauditi, per cui sono stati incarcerati in detenzione amministrativa poi rilasciati, e si trovavano nella sede del sindacato durante l’irruzione della polizia il 1° maggio scorso. L’episodio, anche questo unico nella storia di un paese governato sempre da autocrati, era stato duramente condannato dal sindacato che aveva chiesto le dimissioni del ministro degli interni.

Si tratta dell’ennesimo passo verso la completa censura della libertà di stampa, di espressione, di pensiero e parola. L’Egitto, giusto per fare un esempio, è collocato al 159 posto su 180 stati nell’indice della libertà di stampa. Dalla deposizione di Morsi 6 giornalisti sono stati assassinati, decine hanno subito processi e intimidazioni, 27 sono in carcere. Quotidianamente all’aeroporto chiunque sia considerat* oppositore o oppositrice, avvocat*, attivist*, ex-detenuti, riceve il diniego di lasciare il paese.

La situazione rimane tragica anche nelle carceri. È di qualche giorno fa la notizia della ricollocazione di circa 800 prigionieri politici dal carcere di Borg el-Arab (Alessandria), conosciuto per essere luogo di tortura, persecuzione e maltrattamento, verso altre carceri. La misura è stata presa a causa delle forti proteste (in realtà le ultime di una lunga serie) dei detenuti che sono da sempre soggetti a costrizioni illegali: spesso non viene data la possibilità di avere visite, di ricevere alimenti e indumenti da fuori, di avere l’ora d’aria, di avere servizi igienici nelle celle. Oltre alle torture, le violenze fisiche e la mancanza di assistenza sanitaria. Alla protesta interna, però, si sono uniti anche i familiari fuori dal carcere – anche loro soggetti a vessazioni di ogni genere – che sono stati dispersi dal gas e dalle cariche della polizia. Di qui l’ordine di spostare, ancora una volta senza seguire le procedure legali, i detenuti verso altre carceri lontano dal luogo di residenza.

Ma gli abusi non riguardano solo i/le prigioniere. Un’associazione per i diritti umani ha segnalato che in questi anni si sta verificando la terza ondata di emigrazione per ragioni politiche della storia della repubblica (dopo quella di Nasser e Sadat) e che questa tocca tutte le classi sociali e professionali, così come l’affiliazione politica. Questo avviene proprio nel momento in cui l’UE vuole stringere nuovi accordi con il regime per la gestione dei flussi migratori.

L’ultimo assassinio di Stato è avvenuto a Amereya, un distretto del Cairo conosciuto per avere un commissariato implicato in uno dei numerosi casi di tortura, dove un uomo, Magdy Makeen di 53 anni, è stato trovato morto ammazzato di tortura dopo ore dall’arresto, poi trasferito su un letto d’ospedale. La polizia ovviamente nega e dice che la morte è avvenuta a causa di una crisi di diabete.

Magdy è morto di diabete così come Stefano Cucchi di epilessia.

Fuoco alle prigioni!

Libertà per tutt*!

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