In una settimana tre diversi incendi sono divampati nelle baraccopoli di Rignano e Borgo Tressanti (Foggia) e di San Ferdinando, vicino Rosarno, nel comune di Reggio Calabria, campi che da tempo le istituzioni progettano di sgomberare. Nell’ultimo incendio avvenuto nella notte tra giovedi e venerdi a Borgo Tressanti è morto un ventenne bulgaro.
Le istituzioni sono responsabili delle morti nei campi dove sono segregati i/le richiedenti asilo e/o i lavoratori e lavoratrici migranti delle campagne, in Grecia, dove una donna e un bambino sono morti durante un incendio nell’hotspot di Lesbo, così come in Italia.
L’unica soluzione progettata dalle istituzioni nei confronti degli immigrati è quella di costringerli a sopravvivere in campi container e tendopoli controllati e gestiti dallo stato, dove è più facile che venga represso qualsiasi tentativo di autorganizzazione della vita quotidiana e di lotta per il cambiamento della propria condizione di sfruttati/e ed emarginati/e.
Anche quando, per assicurarsi un riparo meno provvisorio e rischioso (in caso di utilizzo di fuochi per cucinare e riscaldarsi), di tende e baracche, le persone occupano delle strutture abbandonate, è rapido l’intervento delle forze dell’ordine per effettuare retate, sgomberi e arresti. È avvenuto a Foggia lo scorso 25 ottobre, con lo sgombero di 25 migranti, rumeni, bulgari e magrebini, che avevano occupato degli appartamenti vuoti e mai completati; il 6 dicembre a Falerna (Reggio Calabria), dove 200 persone che vivevano nel Residence degli Ulivi, un ex centro accoglienza abbandonato, sono state sgomberate da ingenti forze di polizia e ad agosto nella piana del Sele a Eboli (Salerno), con 37 braccianti migranti scacciati dall’ex opificio industriale APOFF, sequestrato alla camorra e abbandonato da tempo.
L’esperienza delle difficoltà, in zone rurali, a organizzarsi e resistere alla repressione, in condizioni difficili e peggiori di quelle delle città, il non riconoscimento della residenza (e del conseguente accesso alla sanità, alla scuola etc.), da parte delle istituzioni, per chi vive tuttora in strutture abbandonate occupate, ha portato comprensibilmente i/le braccianti autorganizzat* a rivendicare, attraverso una campagna più generale, case per tutt*, come previsto dai contratti collettivi dei lavoratori agricoli.
Di seguito il comunicato della rete “Campagne in Lotta”
Fuoco ai ghetti di stato, casa per chi ci vive!
Nella notte fra il 6 e il 7 dicembre, un incendio ha distrutto una decina di baracche all’interno della tendopoli di San Ferdinando (RC), provocando gravi ustioni a due lavoratori immigrati e danni materiali a tutti gli altri occupanti. Ciò accade a distanza di pochi giorni da un altro incendio, l’ennesimo avvenuto nel “Gran Ghetto” alle porte di Foggia, altro esempio di ghetto di Stato dove vivono migliaia di braccianti che ogni anno lavorano per i profitti del settore agroindustriale. E purtroppo non si contano gli episodi simili, anche con esiti drammatici, che si potrebbero evitare se solo ci fosse l’interesse di tutelare i lavoratori nel nostro paese. Interesse ancora minore se la manodopera è straniera, e può essere utile allo Stato e al capitale nel creare gerarchie nei diritti e divisioni all’interno della forza lavoro. In Italia, come in tutta Europa, la vita e il lavoro di uno/a straniero/a valgono poco, o nulla.
Noi lo diciamo da anni: questi eventi hanno colpevoli ben precisi, gli stessi che tramite il regime della mobilità controllata costringono i migranti nel nostro paese (e non solo) a vivere al confino, sia esso materiale, giuridico o economico-produttivo. L’assenza di interesse (se non di facciata e con provvedimenti puramente propagandistici) nel far rispettare i contratti collettivi di categoria, che obbligano i produttori agricoli a garantire alloggio e trasporti al lavoratori; le questure e le prefetture delle nostre città, che tramite innumerevoli abusi d’ufficio e ritardi cronici costringono i migranti a una condizione di irregolarità e li privano dell’accesso a quei pochi diritti formalmente garantiti a tutti; le forze dell’ordine che con atti intimidatori e la militarizzazione di interi territori reprimono chi all’illegalità è costretto e condannato da leggi inique, focalizzando l’attenzione dei media su aspetti marginali come la prostituzione e il caporalato per nascondere i fattori strutturali dello sfruttamento di questo settore: sono queste le cause materiali di una situazione sempre più insostenibile, e chi le produce è il mandante morale di assassinii, incendi, incidenti e malattie che si verificano in assenza di diritti, tutele e libertà.
In un clima di intimidazione crescente, si stanno intensificando nelle ultime settimane e in piena stagione di raccolta veri e propri blitz delle forze dell’ordine, nella tendopoli di San Ferdinando e nel centro di Rosarno, alla ricerca di pretesti e capri espiatori per poter giustificare le soluzioni repressive e la riproduzione di meccanismi di segregazione attraverso i campi e le tendopoli. Mentre infatti questa situazione si protrae, con una gestione emergenziale che fa comodo solo a chi specula e a chi sfrutta, si riempiono le tasche di privati, cooperative e amministrazioni locali, che del business dell’accoglienza hanno fatto la propria ricchezza. Risale al giugno di quest’anno la notizia dell’elargizione di cospicui finanziamenti da parte del Ministero degli Interni ai comuni di San Ferdinando e Rosarno (di almeno 450.000 euro, oltre ai 300.000 stanziati contestualmente della regione Calabria). Di recente è stato reso noto che, sebbene questi fondi dovrebbero essere indirizzati alla risoluzione della questione alloggiativa dei lavoratori stagionali della piana di Gioia Tauro, verranno invece spesi, come già reso noto dai rispettivi sindaci, in una nuova tendopoli già in costruzione a ridosso di quella esistente, maggiormente controllata e abitata soltanto da persone selezionate in base al possesso di un documento e di un contratto di lavoro; in lavori per il ripristino del fatiscente campo container nel comune di Rosarno, e per la sistemazione delle strade (con il pretesto che per quelle strade transitano ‘gli immigrati’ in bicicletta e subiscono incidenti). Una parte dei fondi sarà destinata inoltre alla gestione dei rifiuti perché, sostiene il sindaco, sono gli immigrati a produrre la maggior parte della spazzatura del comune di San Ferdinando. Ciò che resta dovrebbe in parte essere utilizzato per un fantomatico “corso di formazione” destinato ai lavoratori agricoli stranieri, e in parte elargito ad associazioni ed enti religiosi che a vario titolo lavorano con i migranti. È evidente che siamo di fronte a un furto, un raggiro. Le amministrazioni comunali cercano di arricchire le martoriate casse degli enti locali utilizzando fondi che sulla carta sono destinati ai lavoratori e alle lavoratrici delle campagne, proponendo false soluzioni che riproducono le ben note condizioni di emarginazione cui questi ultimi sono costretti. Il tutto senza che il ministero dica una parola. Mentre in provincia di Foggia, dove da anni si susseguono annunci di sgombero e intervento, tutto tace nonostante il secondo, devastante incendio dell’anno al ghetto.
Dietro la maschera della mancanza di fondi, della difesa del “decoro” e della sicurezza, si nasconde la volontà di perpetuare la situazione di miseria in cui vivono questi lavoratori e queste lavoratrici, obbligati dalla mancanza di alternative ad accettare condizioni di lavoro inique. Sappiamo bene che solo il riconoscimento di un documento di soggiorno può consentire ai migranti di spostarsi liberamente, in base alle proprie aspirazioni e necessità, nonché di ottenere un regolare contratto, e che solo l’effettiva applicazione di quest’ultimo, che in agricoltura prevede l’alloggio e il trasporto ai luoghi di lavoro a carico del datore, può garantire la tutela di lavoratori e lavoratrici costretti alla mobilità dalla stagionalità di questo settore produttivo. I lavoratori delle campagne prigionieri dei ghetti di stato hanno mostrato da tempo di non essere più disposti ad accettare questi soprusi. Grazie alle lotte è stato possibile ottenere importanti risultati, come dimostrano le mobilitazioni dell’ultimo anno. La loro voce può arrivare a scuotere i palazzi del potere, com’è successo il 12 novembre a Roma. Pretendiamo risposte dai responsabili politici di questa situazione, e continueremo su questa strada fino alla vittoria: basta ricatti, documenti e contratti!