Milano – 5 marzo presidio contro la riapertura del CIE

Fonte: TeLOS

Dopo i presidi a Saronno, Como e Monza, ci troviamo tutti e tutte a Milano, dalle 15.30 in piazza Duca d’Aosta (stazione Centrale).

“Da quale cervello feroce impazzito dalla rabbia, da quale spirito sadico vigliacco e snaturato, nacque l’idea terribile della gabbia, dove l’uomo rinchiude l’uomo e lo tiene murato?” (Alexandre Marie Jacob)

L’anno nuovo è iniziato con la notizia eclatante annunciata dal ministro degli interni Minniti dell’intenzione governativa di aprire in ogni regione italiana un CIE. I Centri di Identificazione ed Espulsione sono strutture di detenzione amministrativa, nelle quali vengono rinchiuse persone sprovviste di documento identificativo valido, finalizzate all’espulsione coatta nei rispettivi paesi d’origine. Già questo ci appare inaccettabile, il tutto è però aggravato dal fatto che le condizioni all’interno sono terribili: dalla qualità del cibo, spesso corrotto con psicofarmaci, alla mancanza di cure mediche, supporto legale e standard igienici accettabili. Nel tentativo di uscirne non sono mancate proteste individuali (scioperi della fame e della sete, atti di autolesionismo) né collettive: evasioni e rivolte incendiarie hanno infatti portato all’inagibilità parziale o definitiva di questi centri, al punto che dei 13 iniziali solo 4 sono attualmente funzionanti, e a capacità ridotta.

Minniti ha dichiarato la necessità di rendere più efficiente il meccanismo delle espulsioni, al fine di aumentare la sicurezza nelle strade e migliorare le relazioni fra italiani e stranieri, espellendo soggetti probabilmente detentori di stili di vita criminosi (lavoro nero, spaccio, prostituzione, furti e furtarelli, accattonaggio, occupazioni abusive, elemosine, insomma tutto ciò che è tipico di chi non può essere integrato poiché senza documenti). Ma l’argomento cardine del ministro per la riapertura dei CIE è l’allarme terrorismo: cavalcando la paura dei recenti attentati in Europa, sostiene la funzionalità delle espulsioni nel creare un argine sicuro contro lo jiadismo, a fronte di un flusso migratorio massiccio per il quale il sistema fino ad oggi applicato non è sufficiente.

Questo atto, oltre alla propaganda politica, ha come fine l’aumento del controllo: nell’impossibilità statale di gestire le persone migranti (obiettivo irraggiungibile ma soprattutto per noi non auspicabile), l’aumento della capacità di espulsione funge da deterrenza per chi vive una condizione di clandestinità. Chi è identificato come illegale è più facilmente ricattabile in quanto non si deve far notare e non deve creare problemi, e di conseguenza diviene sfruttabile dal mercato nero inteso in senso lato: dalla raccolta della frutta alla prostituzione.

Un individuo non bianco che arriva in Italia, si deve subito confrontare con gli Hotspot, strutture nelle quali i migranti vengono identificati, schedati, catalogati. In base alla nazionalità le opzioni sono: essere smistati in centri di seconda accoglienza sul territorio nazionale (CAS, CARA, SPRAR), portati direttamente in un CIE o rilasciati con decreto d’espulsione obbligatorio, quindi papabili per una futura deportazione; le persone divengono così pura merce da barattare, differenziare, smistare, gestire e smaltire se in eccesso o difettosa.

Il consiglio regionale lombardo, per parola del suo stesso assessore alla sicurezza, ha pensato a tre possibili città adatte alla costruzione di un CIE: Milano, Como o Monza.

Noi, nemici di ogni frontiera e di ogni prigione, non abbiamo intenzione di stare a guardare mentre c’è chi si arricchisce e specula sulla pelle dei migranti, soltanto perché individui sacrificabili, capro espiatorio sociale o mezzi propagandistici.

Opporsi alla riapertura dei Centri d’Identificazione ed Espulsione non significa soltanto battersi per la libertà delle persone migranti, ma anche lottare per non rendere ancora più prigione tutto ciò che ci circonda; significa contrastare apertamente le logiche securitarie e militariste, cercando di aprire brecce per liberarsi di tutto il vecchio mondo; in poche parole, sfidare apertamente l’esistente per riprendersi la libertà che ci spetta.

 

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