Egitto – Lettere di prigionieri della dittatura

Alaa Abdel Fattah è entrato nel suo quarto anno di carcere nella prigione di Tora, al Cairo. Scrive dal carcere: “Questa settimana ho iniziato il mio quarto anno di prigione. Potrei essere rilasciato a ottobre, qualora il mio appello venga accettato. Ma potrei anche non esserlo. Potrei essere rilasciato nel Marzo 2019, dopo aver scontato la mia sentenza. Ma poi non so. Loro hanno degli altri casi sospesi, contro di me. Se rilasciato potrei riuscire a partecipare a questa conferenza, ma potrei anche non parteciparvi. La mia sentenza prevede anche 5 anni di libertà vigilata, e chi lo sa se sarò nelle condizioni di partecipare a questa conferenza in un paese che dava i visti alle persone come me, ai tempi in cui io ero ancora autorizzato a viaggiare.
Ora, non voglio essere troppo pessimista. La migliore prospettiva è probabilmente la peggiore. Il vero problema è che c’è davvero poco che tu possa fare per influenzare chi ha il potere di decidere.
Ma non è proprio questo che mi preoccupa; viviamo in tempi estremamente reazionari. La mia sconfitta era inevitabile”.

Sono migliaia di migliaia i prigionieri politici nelle carceri egiziane. Tra questi anche Ahmad Douma, una delle figure più attive nella rivoluzione del 2011. Si legge su un blog: “Sono in molti a scrivere che “Alaa [Abdel Fattah] è stato imprigionato da tutti i regimi”. La verità è che queste parole non sono proprio esatte. Alaa ha subito processi sotto tutti i governi, ed è stato arrestato da tutti loro tranne Morsi [Fratelli Musulmani]. Al tempo di Morsi, Alaa ha affrontato diversi processi ma nessuno si è concluso prima che Morsi venisse deposto .[…] La verità è che “a essere imprigionato da tutti i regimi è stato Ahmad Douma. Non c’è regime che ha preso il potere che non l’ha messo dentro. E’ stato arrestato sotto Mubarak, poi al tempo del Consiglio Militare, l’hanno arrestato sotto Morsi e infine sotto Sisi (molti dimenticano che il 30 giugno 2013 lui stava già in carcere). Douma sì che è stato arrestato in tutte le stagioni e da tutti i regimi”. Lui e Alaa sono tra le/i giovani messi dentro come capri espiatori per tutta la generazione di arrabbiati, puniti a causa dei nostri sogni e della nostra rivoluzione. Ogni giorno che passa è una punizione per loro come per noi”.

Dalla prigione scrive anche un giovane condannato a morte dai tribunali militari che da tempo ha cominciato lo sciopero della fame e della sete: “Sono Ahmad Amin Ghazali, vi invio questo messaggio probabilmente quando sarà già nell’aldilà. Muoio lentamente. Sono troppo debole per alzarmi e per parlare. Non riesco a muovermi. Continuano a picchiarmi, a maltrattarmi, a tenermi ammanettato a letto per farmi finire lo sciopero. Ma le flebo e l’alimentazione forzata non sarebbero crimini internazionali? La direzione del carcere vieta le mie visite e il trasferimento in ospedale. Ciò rende la mia morte molto lenta.
Io chiedo il minimo dei diritti che mi spettano in vita, malgrado la sentenza di morte, malgrado indossi l’abito rosso dei condannati a morte. Tutto ciò che mi resta è lo sciopero, che è garantito da tutte le leggi. Non vi chiedo altro che sostenermi per farmi vivere una vita umana almeno che non muoia”.

Infine, la famiglia dello studente Ahmed Khatib, affetto da Leishmaniosi e ora trasferito in ospedale, fa sapere che non sanno nulla delle cure che il figlio sta ricevendo, né tantomeno hanno potuto vederlo. Inoltre, la richiesta della famiglia alla presidenza della repubblica di concedere un’amnistia per permettere delle cure appropriate, non ha ricevuto ancora nessuna risposta.

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