riceviamo e diffondiamo:
Finché non verran giù mura e sbarre
Sabato 23 settembre quasi una trentina di persone è tornata davanti le mura del CPR di Ponte Galeria. Nonostante alcuni saluti estemporanei – e lontani dagli occhi delle guardie – organizzati durante l’estate, mancava ormai da giugno una presenza solidale che provasse a spezzare l’isolamento di quel luogo infame e dimenticato.
Al nostro arrivo abbiamo incrociato diverse mamme con bambinx che uscivano dal cancello del CPR: credendole amiche o parenti delle detenute, qualcuna di noi ha provato ad avvicinarle e parlarci, scoprendo che nessuna di loro aveva idea del luogo di cui era stata ospite per assistere a una partita. Difatti, nel primo pomeriggio, l’associazione I Diritti Civili nel 2000 – Salvabebè/Salvamamme, aveva permesso a queste famiglie di assistere al primo incontro delle Fiamme Oro (squadra di rugby della PS), all’interno di un progetto di contrasto alla povertà estrema finanziato dalla Regione Lazio. Così, nel campo della caserma Stefano Gelsomini, immediatamente alle spalle delle sezioni del CPR, famiglie per la maggior parte immigrate – sotto lo sguardo di Minniti e Gabrielli, ospiti illustri del macabro evento – assistevano ignare e felici mentre a pochi metri da loro scorreva la vita detenuta di molte loro connazionali.
Non ci stupisce il tentativo di ammantare di gioia quella gabbia, di renderla per un giorno un luogo attraversabile con leggerezza, un posto che “accoglie” famiglie in difficoltà, ospiti delle stesse persone che contribuiscono alla caccia, alla reclusione e alla morte di centinaia di migranti senza documenti. Sappiamo bene, com’è stato ricordato ieri dal microfono aperto, che questi tentativi compiuti da guardie, associazioni e volontari vari, sono solo strumenti del potere per addomesticarci e ammansirci, che siano diretti alle famiglie contente di passare un pomeriggio spensierato e ricevere regali, o che siano per le stesse persone detenute continuamente pressate da chi prova a reprimerle e calmarle con promesse di liberazione.
Il presidio è continuato per un paio d’ore, tra musica, cori e interventi che hanno raccontato alle donne prigioniere cosa succede qui fuori, tra le morti in mare in Libia, le retate con le quali si continuano a rastrellare donne in strada e nelle case, e le proteste ed evasioni che hanno caratterizzato quest’estate all’interno degli altri lager di stato. In diverse lingue è stato diffuso il numero di telefono utilizzato per mantenere i contatti con le detenute, alcune delle quali hanno difatti chiamato durante il presidio, permettendoci così di poter ristabilire dopo mesi delle relazioni con le donne recluse e capire come stanno e cosa avviene dentro quelle mura.
Mentre tornavamo in stazione, abbiamo sentito chiaramente le donne urlare in risposta ai fuochi d’artificio e alle nostre grida di saluto. Per qualche minuto, alle grida è seguita una battitura all’interno del CPR.
È la rabbia e la resistenza delle recluse che ci spinge ogni volta a tornare, anche se in pochi, davanti a quelle mura, in un parcheggio inospitale e circondate solo da guardie e telecamere.
È la forza e il coraggio di chi lotta nei centri d’accoglienza, nei CPR, in carcere, nelle proprie case per non farsi sgomberare, di chi è in strada a resistere alle retate, di chi riesce a sfuggire a una deportazione: è questo il motivo per cui non vogliamo smettere di tornare a Ponte Galeria o di stare nei quartieri, per costruire relazioni solidali finché ogni muro e confine non verranno abbattuti e ogni gabbia distrutta.
nemiche e nemici delle frontiere