Egitto – Intervista dal carcere ad Alaa Abdel Fattah

Alaa Abdel Fattah è uno delle e degli attivisti egiziani che il regime di Sisi ha condannato a 5 anni di carcere per manifestazione non autorizzata. Si trattava di una manifestazione contro i processi militari ai civili (NoMilTrials) che si tenne il giorno stesso dell’entrata in vigore della legge anti-protesta, nel 2013. Qualche giorno fa (8 novembre), dopo 3 anni e mezzo già scontati, c’è stato l’ultimo appello per la scarcerazione di questo processo farsa. Il giudice ha confermato la condanna a 5 anni di carcere e 5 anni di libertà vigilata (che significa passare almeno 12 ore al giorno in commissariato), più la cauzione di 100000 lire egiziane (20000 euro circa). A dicembre, tuttavia, Alaa aspetta un’altra sentenza per insulto alla magistratura.
Abbiamo tradotto l’ultima intervista di Alaa rilasciata in carcere e pubblicata il giorno stesso della sua sentenza d’appello.
1. Pensi che il tuo caso sia trattato come una questione politica e non solo giudiziaria?
Il periodo attuale è quello che più di tutti ha visto un processo di politicizzazione della magistratura che non ha risparmiato neanche le procedure più formali preservate nel passato. Mi riferisco, per esempio, ai procedimenti dei tribunali ordinari. Nel passato i servizi di sicurezza e il potere esecutivo, quando volevano evitare questi criteri, facevano ricorso alla giurisdizione eccezionale o ai tribunali militari, o ricorrevano alla detenzione prolungata senza processo.
A partire dal 30 giugno, però, la magistratura è stata utilizzata come una delle parti del conflitto politico. Il che ha portato la giustizia ordinaria a annullare le norme a cui aveva aderito precedentemente, come è possibile verificare anche nei casi giudiziari non politici. Fenomeni come quello della detenzione preventiva sono diventati molto comuni. Così come l’intervento diretto dei servizi di sicurezza è diventato senza precedenti.
L’apparato di sicurezza non accetta che qualcuno gli chieda conto, vuole che tutto stia sotto il suo controllo in maniera manifesta e palese. Persino i processi avvengono in dei luoghi controllati dalla sicurezza: stazioni di polizia, Accademia di polizia, o l’aula dei processi della prigione di Wadi Natrun.

2. Qual è la tua condizione all’interno del carcere e qual è l’atteggiamento della direzione carceraria nei tuoi confronti?
Chi detiene il potere si è molto impegnato nell’ isolarmi dal mondo esterno. Questo è abbastanza palese con le restrizioni e limitazioni che applicano, come il divieto di leggere libri o giornali, o quello di ricevere corrispondenze e altre restrizioni. D’altro canto il controllo dello spazio pubblico fuori dalle carceri può solo perpetuarsi in modo ancora più brutale sui detenuti dentro.
Per esempio, c’era un accordo tra un programma europeo sulla tv egiziana e il canale della BBC. In questo programma c’era un’ora di diretta giornaliera con notizie dal mondo, non solo politiche ma anche sulle scienze, cultura e altro. Questa diretta ultimamente è stata interrotta. In tv passa solo l’informazione di stato. A noi è concesso vedere solo i canali egiziani e leggere i giornali del governo. L’unico programma che passa ora è Top 40, un programma musicale di musica pop che tra l’altro non mi piace. Per forza di cose, dunque, so tutto su Kardashian e poco su quello che accade nell’area geografica attorno a me.
Poi ci sono le visite, tre o quattro volte al mese che durano un’ora, in cui con la mia famiglia cerchiamo di scambiarci più informazioni possibili, sia personali che non.
Ma nonostante tutto quello che ho appena raccontato, la mia condizione in detenzione, nonostante tutte le limitazioni e le restrizioni è migliore rispetto alla maggior parte dei detenuti.

3. Come vedi l’Egitto da dentro il carcere, cosa pensi dei progetti di cui parlano i media?
Il progetto di riforma economica è catastrofico e non può portare a nessun miglioramento nell’economia. Questa riforma non è neanche simile a quella portata avanti negli anni 80, che contestavamo ideologicamente. Le istituzioni della finanza internazionale e non solo, sanno molto bene che il prezzo dell’inflazione sta soffocando gli investimenti.
D’altronde proprio in base ai criteri di queste istituzioni, quello in atto non è neanche un programma di riforma e se dicono altro, allora è una menzogna.
Un altro crimine che il governo sta portando avanti in politica estera è che ogni qualvolta si trova in crisi diplomatica sigla accordi sull’acquisto di armi. Naturalmente i governi esteri accettano diventando complici dei crimini per interessi economici. Per questa ragione sono disposti a tutto, come la mancanza di giustizia nel caso Regeni (il ricercatore italiano sul cui corpo sono stati trovati segni di tortura e il cui caso ha portato a una crisi diplomatica tra Roma e Il Cairo).

4. Come vedi ora la rivoluzione del 25 gennaio e il 30 giugno e cosa pensi a quello che accade ai giovani rivoluzionari, pensi che ci siano stati errori nella rivoluzione di gennaio?
La rivoluzione di gennaio ha perso. Dunque è normale che la controrivoluzione si vendichi con i rivoluzionari.
Il 30 giugno è stata una controrivoluzione capeggiata dagli apparati di sicurezza e dalle forze armate, inclusa una buona parte del sistema giudiziario e grandi funzionari dello stato. Tuttavia è stata anche appoggiata da molte altre parti, tra cui alcuni appartenenti alla rivoluzione di gennaio che erano stanchi, avevano finito le energie e cercavano la stabilità. Altri avevano il terrore dei gruppi musulmani al potere. Altri ancora erano settori colpiti duramente dopo la fine dell’era di Mubarak. Queste fazioni che hanno appoggiato la controrivoluzione sono però le stesse di cui il regime ha perso il supporto quando non si è limitato solo ad eliminare gli avversari politici appartenenti alle forze dell’islam politico e ad attaccare i simboli della rivoluzione di gennaio (il che è naturale). Quello che sta avvenendo ora è l’attacco a tutto quello che è fuori dal cuore del potere. Anche nei confronti di chi sta fuori dal conflitto politico, come ad esempio i businessman.
La sconfitta della rivoluzione di gennaio è una disfatta nello spazio fisico ma non nell’immaginazione dei giovani. Noi continuiamo a essere ispirati malgrado percepiamo di non esserlo affatto. E questa contraddizione è evidente nella posizione del governo venuta fuori dalla rivoluzione del 25 gennaio: è una rivoluzione gloriosa e il 30 giugno l’ha compiuta, ma i suoi simboli sono malsani e nemici della patria.
Il tema che concerne gli errori della rivoluzione di gennaio è molto complesso. Questo perché la rivoluzione di gennaio è stato un processo dai molteplici aspetti e le analisi necessarie non si possono fare nel tempo di una visita, che come ho ricordato prima dura un’ora, e in cui dobbiamo affrontare tutti gli aspetti delle nostre vite, da quelli pubblici a quelli privati.

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