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ALLE RADICI DELLA FUGA
LA MISTIFICANTE DEFINIZIONE DI “MIGRANTE ECONOMICO” DI FRONTE ALLE RESPONSABILITA’ ECOLOGICHE E SOCIALI DEL MONDO CIVILIZZATO IN CUI VIVIAMO
“Sulle sabbie del deserto come sulle acque degli oceani non è possibile soggiornare, mettere radici, abitare, vivere stabilmente. Nel deserto come nell’oceano bisogna continuamente muoversi, e così lasciare che il vento, il vero padrone di queste immensità, cancelli ogni traccia del nostro passaggio, renda di nuovo le distese d’acqua o di sabbia vergini e inviolate”
Alberto Moravia
Una discussione a più voci, un confronto tra percorsi diversi. Scardinare l’apparente separazione tra le diverse critiche a questo mondo. Il fenomeno migratorio è un fenomeno epocale, che non saranno i respingimenti in mare o i campi di concentramento in Libia a fermare. Il patto col diavolo di Minniti e dell’Unione Europea, ieri con Erdogan oggi con le milizie tribali nord africane, non fermerànno un esodo di massa che ha radici ben più profonde.
L’Africa è terreno di conquista per ogni sorta di investitore: dalla terra per l’agricoltura industriale e biotecnologica, alle miniere, alle infrastrutture energetiche, alle discariche. Il mondo digitale, del software e della tecnologia, esiste grazie alla materialità dello sfruttamento in atto in quelle zone del globo. Le innovazioni scientifiche di stampo biotecnologico accrescono ancora di più il divario di potere e denaro tra chi ha in mano i brevetti ed i mezzi in grado di sviluppare la produzione ed organizzare la forza lavoro e chi si è visto distruggere da secoli di massacri e guerre schiavistiche o coloniali le conoscenze tradizionali legate al territorio abitato.
Territorio che, in ogni caso, non esiste più. Di fronte alla desertificazione, al cambiamento climatico causato dalle attività umane, gli equilibri naturali si sono dissolti. Dal deserto e dall’oceano bisogna fuggire, come diceva Moravia.
I responsabili, i modi in cui quotidianamente avalliamo questo sistema, ecco su cosa occorre interrogarsi. Rifiutare gli esseri umani in fuga da guerre e carestie significa non voler accettare di pagare il prezzo delle nostre scelte di vita e della nostra organizzazione sociale. Ma rimane sempre il problema di tutto ciò che di non umano – gli altri animali, le piante, gli ecosistemi – quotidianamente distruggiamo per affermare la nostra supremazia. Fermarsi al fenomeno migratorio, quindi, resta insufficiente per una profonda comprensione di cosa il sistema scientifico, tecnologico ed industriale produce a livello mondiale.
Senza lasciarsi abbindolare dalle frasi di circostanza che, dall’EXPO di “nutrire il pianeta” al G7 dell’agricoltura di Bergamo, ci ripetono come sia il progresso la soluzione e la via in cui dobbiamo credere, occorre invece pensare a quale, nel 2017, possa essere una prospettiva di liberazione che travalichi le necessità dell’essere umano e prenda in considerazione anche il rapporto con la totalità naturale che ci circonda. Perchè come non può esistere libertà accanto allo sfruttamento di altri esseri umani, così non ci può essere vita accanto alla sistematica uccisione di organismi viventi e l’avvelenamento di interi ecosistemi.