Giovedì 11 gennaio 2018, trentotto persone migranti hanno presentato denuncia attraverso le loro legali presso la procura della repubblica della città di Pau nelle Alpi Atlantiche francesi. Le 38 persone (tutte sudanesi tranne un eritreo) denunciano per “trattamento inumano e degradante e atti di tortura” le condizioni con cui sono stati accolti in Italia. Ora sono tutti in attesa di essere deportati, secondo quanto previsto dal regolamento di Dublino III, in Italia. Al momento dell’arrivo a Lampedusa, o direttamente in Sicilia, in seguito al loro rifiuto di dare le impronte digitale i 38 sono stati maltrattati, altri picchiati, privati di acqua e cibo. Due di loro sono stati anche oggetto di tortura e hanno riportato “uno un braccio rotto e l’altro i testicoli schiacciati”. “Ci hanno messo in una grande sala per quattro giorni. Eravamo circa 200. Molte donne e bambini. Persone provenienti da molti paesi diversi. C’era solo un bagno. Ci hanno fatto passare attraverso la finestra. Siamo stati trattati come criminali, come animali. Dopo 4 giorni ci hanno costretti a prendere le nostre impronte digitali. Successivamente, siamo stati trasferiti in un altro posto in cui abbiamo soggiornato per 15 giorni. Nessuno è venuto a farci domande. Nessuno è venuto ad aiutarci. Ci hanno dato del cibo al mattino e alla sera. Nessuno ci ha dato alcuna informazione“ racconta il sudanese Abdoulazy. Dopo essere stati costretti a lasciare le impronte le 38 persone, tutte considerate come maggiorenni, sono riuscite a scappare, a raggiungere Ventimiglia e passare la frontiera. Ora, vogliono restare in Francia.
Molte di queste persone erano state fermate durante i continui rastrellamenti polizieschi nei piccoli accampamenti nella zona di Calais e (come avviene anche in Italia), allontanati dalla frontiera e portati in un primo momento nei centri di accoglienza (CAO, Centre d’accueil et d’orientation – Centri di accoglienza e orientamento) nell’estremo sud della Francia, a Gelos e a Bayonne, vicino ai Pirenei. Per loro nel dicembre scorso era previsto il trasferimento nella città di Pau, in uno dei recentemente istituiti centri PRAHDA ( Programme d’accueil et d’hébergement des demandeurs d’asile – Programma di accoglienza e alloggio per richiedenti asilo): questi tipi di centri di accoglienza rappresentano ormai il passaggio verso la deportazione.
A fine dicembre il centro CAO di Gelos è stato chiuso, i gestori hanno abbandonato la struttura ma i 17 migranti, sostenuti e supportati da solidali antirazzisti, hanno rifiutato il trasferimento e sono rimasti nell’edificio, autogestendosi. L’8 dicembre 150 persone hanno manifestato davanti alla prefettura di Pau, contro il trasferimento e la deportazione.
Anche per i migranti del CAO di Bayonne era previsto il trasferimento nel PRAHDA di Pau: il 19 dicembre però un numeroso gruppo di migranti e solidali aveva tenuto un presidio davanti alla stazione, raggiungendo successivamente i binari e occupandoli, impedendo così la partenza dei treni diretti a Pau, con i quali le autorità prevedevano di trasferire 21 persone a Pau.
Malgrado i controlli sempre più stringenti, migliaia di persone sbarcate in Italia, dopo essere passate attraverso hotspot e centri di accoglienza, riescono ancora a continuare il loro viaggio e superare le frontiere con la Francia. Qui tuttavia ritrovano un sistema di controllo e gestione che li bracca, ferma e segrega nei centri di accoglienza, deportando indietro chi ha rilasciato le impronte in Italia. “Nel 2017, dal 1 gennaio a metà ottobre, i respingimenti passivi dalla Francia in Italia sono stati oltre 23.000, di cui circa 8.000 persone con titolo di soggiorno valido in Italia e 15.000 irregolari” (erano 737 nel 2016) riporta l’ultima relazione della Commissione parlamentare sui diritti umani. Le persone fermate alla frontiera e quelle rimandate indietro vengono “condotte a Taranto per essere identificate. Da oltre un anno, infatti, come sottolineato anche dal Capo della Polizia Gabrielli, per alleggerire i territori di confine si ricorre a questa procedura per cui i migranti, una volta fermati oltre frontiera e rimandati in Italia, vengono presi in consegna dalle forze di polizia. Dopo un primo rapido controllo nel posto di frontiera italiano o in questura, vengono fatti salire su uno o più pullman e, scortati, raggiungono Taranto. Giunti all’hotspot vengono nuovamente sottoposti alla procedura di identificazione e foto-segnalamento. A questo punto della procedura gli esiti sono diversi. Nel caso di persone irregolari, viene loro notificato un decreto di espulsione ed escono dalla struttura con l’obbligo di lasciare il paese entro 7 giorni dalla notifica. A quanti esprimono la volontà di chiedere asilo, viene fatto firmare il modulo apposito e viene avviata la procedura per l’immissione nel circuito d’accoglienza. Chi risulta invece già essere richiedente asilo assegnato a una struttura di accoglienza, viene rilasciato senza però il contestuale rilascio di un titolo di viaggio necessario a raggiungere la struttura.” riporta la stessa relazione.
Le lotte comuni e la solidarietà attiva, contro il regime delle frontiere e il sistema di gestione e controllo delle persone migranti chiamato accoglienza, sono più che mai necessarie.