Un incendio, avvenuto nella notte del 27 gennaio, nella tendopoli di San Ferdinando, ha provocato la morte della ventiseienne Becky Moses, il grave ferimento di altre due persone di cui non si conoscono i nomi, la distruzione di centinaia di tende e baracche autocostruite e dei documenti e dei pochi beni di centinaia di abitanti delle tendopoli.
Dopo la tragedia, la cui responsabilità ricade interamente sul sistema di sfruttamento, gestione e repressione istituzionale, altra violenza contro i/le abitanti delle campagne viene ora propagata dalle ipocrite prese di posizione di ONG, associazioni, partiti, liste elettorali, sindacati, giornalisti. Gli e le abitanti vengono descrittx come schiavi, alla mercé di caporali senza scrupoli, sfruttati nei campi in cui lavorano a testa bassa, adattatisi a vivere in tendopoli abbandonate, senza acqua e servizi igienici, tra rifiuti, fango e sporcizia. Spicca al contrario, nei comunicati e nel racconto sui media, l’umanità dei membri di associazioni che aiutano e gestiscono gli immigrati, di sindacati che li difendono, organizzano, tendono a infonder loro “coscienza” del loro stato, di giornalistx coraggiosx che girano nei ghetti a raccontare e fotografare il “degrado umano” di questi luoghi. È tutto un rattristarsi per le disumane condizioni di vita, un appellarsi ai politici di turno per porre fine a questo orrore, a salvare le povere vittime impotenti che vivono nei ghetti.
Ciò che viene cancellato da questa narrazione, il che rappresenta una ennesima forma di violenza e repressione, nonché premessa per nuove violenze di stato, sono le voci, le storie, le continue lotte, le chiare rivendicazioni di case, documenti e contratti, l’autorganizzazione, la solidarietà e il mutuo appoggio – che malgrado tutto esistono – di chi vive nelle campagne. E questo è comprensibilmente necessario, da parte delle istituzioni che reprimono, dei padroni che sfruttano, delle organizzazioni umanitarie e di sinistra che si rendono complici. Per far continuare tutto come prima, pur mostrando una facciata umanitaria, le persone che vivono nelle tendopoli devono essere raccontate e rese oggetti dei piani statali e mai soggetti del cambiamento.
Non si ricorda nemmeno come la tendopoli andata a fuoco fosse l’ennesima struttura provvisoria statale, descritta come soluzione umanitaria dopo la rivolta del 2010, e man mano abbandonata dalle istituzioni, che hanno spento l’illuminazione della zona, sospeso il ritiro dei rifiuti, interrotto gli allacci elettrici nelle tende, ridotto al minimo la fornitura di acqua, tutto ciò come forma di dissuasione per chi veniva a viverci e per costringerli così a spostarsi in altre tendopoli controllate, finanziate con centinaia di migliaia di euro.
Non viene descritto il controllo militare pervasivo e costante della zona della tendopoli, le continue minacce e intimidazioni contro gli/le abitanti, le retate e gli arresti dei senza documenti, le frequenti perquisizioni a tappeto di tutte le tende e baracche, la repressione che colpisce anche le/i solidali che supportano le lotte.
Non si evidenzia che hotspot, centri di prima (CARA, CAS) e seconda accoglienza (SPRAR), CPR e tendopoli di “terza accoglienza” come questa, facciano parte di un unico sistema integrato di controllo e gestione della forza lavoro immigrata. E la storia di vita di Becky Moses è purtroppo esemplificativa a riguardo: dopo due anni di attesa di una risposta alla domanda d’asilo in uno SPRAR, fiore all’occhiello della presunta buona accoglienza, a Riace, considerato un modello di ospitalità e integrazione, aveva ricevuto un diniego (come il 60% e più dei richiedenti) ed era stata buttata in strada senza tanti complimenti. Come tantx, solo in una tendopoli aveva potuto trovare un riparo grazie a dei conoscenti, nell’attesa del ricorso.
Le soluzioni che nel tempo sono emerse, cavalcando simili morti e incendi, sono sempre e ancora le stesse. Più controllo statale, nuove tendopoli di stato – sempre definite temporanee e provvisorie, si intende, sempre viste come un meno peggio – sempre più simili a prigioni, più polizia, nuove leggi anti-caporalato. Dopo l’iniziale indignazione, ONG, associazioni, partiti, liste elettorali, sindacati, giornalisti, in nome di presunti piccoli miglioramenti e della “necessaria” sinergia con le istituzioni, avallano e cooperano nell’attuazione di queste politiche, fino alla prossima morte, fino alla prossima tragedia.
È quello che sta accadendo anche in queste ore. Le persone scampate all’incendio sono state ammassate, e vengono ora gestite, nelle solite strutture provvisorie: poco più di 100 in una tensostruttura, montata in zona dalla protezione civile, altre centinaia in un adiacente capannone. Il prefetto ha rafforzato la sorveglianza delle forze dell’ordine di 24 ore su 24, “al fine di impedire eventuali disordini o turbative dell’ordine pubblico”.
Per opporci a tutto questo, per rispetto nei confronti del coraggio e della determinazione delle/degli abitanti di San Ferdinando e per supportare, ancora e sempre, l’autodeterminazione di chi lì vive – crediamo sia importante ricordare a tuttx le lotte e rivendicazioni portate avanti negli ultimi 2 anni, e le loro voci e i loro appelli.
Cronologia 2016-2017
8-9 giugno 2016. L’8 giugno, durante uno dei frequenti interventi dei carabinieri nella tendopoli, viene ucciso con un colpo di pistola il ventisettenne maliano Sheik (Sekiné) Traoré. Nella serata la rabbia degli abitanti prende forma di una protesta nei dintorni del campo, che viene controllata e repressa dall’intervento delle forze dell’ordine. Il giorno dopo, 9 giugno, un corteo di 400 persone parte dalla tendopoli e raggiunge il Municipio di San Ferdinando.
30 giugno 2016. La risposta delle autorità all’omicidio di Sekiné Traoré, è ancora una volta la pianificata costruzione di una ennesima nuova tendopoli, la terza dal 2010, finanziata con 750.000 euro. Contro queste politiche di segregazione, si svolgono cortei in contemporanea a San Ferdinando e Bari, per dire no a tendopoli e ghetti di stato e rivendicare, come fanno da tempo, documenti, case, contratti per tutte e tutti.
12 novembre 2016. Si svolge a Roma la manifestazione nazionale “No Confini No sfruttamento”, proposta dagli/dalle abitanti dei ghetti e delle tendopoli di Puglia e Calabria e che vede la partecipazione di 3000 persone, immigratx di varie parti d’Italia, da quellx che vivono nelle occupazioni abitative di Roma e quellx che lavorano nei magazzini della logistica.
6 febbraio 2017. 400 abitanti della tendopoli scendono in strada “uniti e unite contro confini, repressione e sfruttamento”, bloccando la tangenziale che conduce al porto di Gioia Tauro e le strade di San Ferdinando. Come racconta un compagno che vive della tendopoli “Ci siamo accorti che le persone che vivono nella tendopoli hanno molti problemi con i documenti, la residenza e il posto in cui viviamo, sono queste le difficoltà che affrontiamo, così abbiamo deciso di unirci per mostrare alle persone che abbiamo molti problemi, per far sentire la nostra voce. Qui nella tendopoli siamo persone di diversi paesi africani, ci siamo uniti e siamo riusciti a organizzare una manifestazione. Siamo scesi in strada a San Ferdinando, sono venuti i carabinieri e i media, le televisioni, le stazioni radio. Siamo andati al Comune di San Ferdinando per parlare con loro. Io e altri immigrati abbiamo capito che l’unico modo per parlare alle persone dei nostri problemi è unirci e organizzare manifestazioni pacifiche perché io non potrei mai combattere da solo per i miei problemi, né gli altri possono farlo, quindi il primo modo per vivere e avere una vita migliore in questo paese è unirci, perché se stiamo insieme diventiamo forti ed è impossibile sconfiggerci. Per questo continuo a dire alle persone che unirsi è importante per far sentire alle autorità i nostri problemi.”
7/9 marzo. Per due giorni, 200 appartenenti a tutte le forze dell’ordine, supportati da un elicottero, circondano la tendopoli procedendo, tra le proteste degli abitanti, a identificazioni, perquisizioni, multe e chiusure delle piccole botteghe che vendono beni di prima necessità. 20 uomini e 5 donne vengono portatx in commissariato.
22 marzo. Un nuovo corteo percorre e blocca l’incrocio principale di San Ferdinando, in risposta alle retate e ai controlli dei giorni precedenti e alle notizie di un prossimo sgombero dalla tendopoli. In seguito al corteo, due solidali vengono denunciate, accusate di aver impedito l’identificazione di una persona che partecipava alla manifestazione.
13 aprile. Lavoratori e lavoratrici delle campagne danno vita a una manifestazione che dalla tendopoli raggiunge il Municipio di San Ferdinando.
24 aprile. Anche un gruppo di abitanti della tendopoli di San Ferdinando partecipa alla manifestazione nazionale “No confini No sfruttamento” a Foggia, contro la repressione e gli sgomberi, come quello recente del campo di Rignano, dove in seguito ad un incendio divampato nella tendopoli circondata da giorni dalle forze dell’ordine, hanno perso la vita Mamadou Konate e Nouhou Doumbia. Un compagno di San Ferdinando racconta le modalità scelte per continuare la lotta: “Le persone vengono convinte da varie organizzazioni che qualcuno li aiuterà. Penso che nessuno possa lottare al tuo posto, finché non lotti per te stesso. Nessuna organizzazione può darti qualcosa, ci usano come merci nei supermercati, nessuno lotta per i tuoi diritti, quello che è necessario fare è autorganizzarsi e lottare in prima persona”.
2 luglio. Un incendio, a quanto pare doloso, distrugge varie baracche e tende nella tendopoli, lasciando un centinaio di persone senza riparo. Sono gli stessi abitanti a spegnere il fuoco, vista la consueta assenza dei VV.FF. Per protesta e per richiedere case, documenti e contratti, viene bloccata la strada adiacente al campo. Le autorità approfittano dell’incendio per accelerare l’ultimazione della nuova tendopoli.
2 agosto. Gli/le abitanti della tendopoli, rifiutando le mediazioni, costringono le autorità a tenere un incontro pubblico nel campo, dove queste ultime vorrebbero illustrare le meraviglie della nuova tendopoli, in via di completamento. I/le immigratx, compatti, dichiarano pubblicamente di rifiutare di trasferirsi in quella che definiscono “una prigione”.
11 agosto. Gli/le abitanti della tendopoli di San Ferdinando scrivono e diffondono un appello: “Il 18 agosto inizierà lo sgombero della tendopoli dove viviamo, che sappiamo bene essere un posto orribile, e la conseguente deportazione nel nuovo campo. Ma finché non ci saranno delle soluzioni reali e le nostre richieste non verranno ascoltate noi da qui non ce andiamo! Con questo appello vi chiediamo di raggiungerci qui a San Ferdinando, per sostenerci e resistere insieme!”
18 agosto. È il giorno del previsto sgombero, definito “trasferimento volontario”. Decine di agenti delle forze dell’ordine scortano le autorità presso la nuova tendopoli per convincere gli abitanti a trasferirsi. Gli/le immigratx in un comunicato descrivono quanto accaduto: “Ieri, 18 agosto, dentro la tendopoli abbiamo aspettato l’arrivo di polizia e istituzioni in modo pacifico e molto determinato. La sera prima, in un’assemblea insieme anche ai solidali di diverse parti d’Italia, avevamo scelto i nostri portavoce per esporre ancora una volta le nostre richieste. Prima di tutto l’accesso ai documenti per tutti e tutte (permesso di soggiorno, residenza e passaporto), poiché senza non è possibile fare niente. Dopo aver esposto le nostre intenzioni abbiamo detto alle istituzioni che sarebbero dovute tornare con altre proposte. Quindi a quel punto l’incontro ufficiale è finito e grazie alla nostra determinazione abbiamo ottenuto un buon risultato! A questo punto istituzioni e associazioni hanno intercettato piccoli gruppi di persone facendo ancora false promesse. Addirittura alcune associazioni hanno offerto dei soldi (10/20 euro) alle persone per convincerli ad andare nella nuova tendopoli. Nello stesso momento è stata tolta l’acqua nella tendopoli dove viviamo.” Nei giorni successivi arriveranno tre fogli di via, per tre anni, ad alcuni/e solidali presenti.
29 agosto. Un nutrito gruppo di abitanti della tendopoli prova ad occupare le casette del “Villaggio della solidarietà” a Rosarno, costruite nel 2012 per fornire una soluzione abitativa ai/alle immigratx e mai consegnate. L’intervento delle forze dell’ordine glielo impedisce.
6 ottobre. Le forze dell’ordine si recano ancora una volta nella tendopoli per completare il trasferimento delle persone che ci vivono nell’adiacente capannone industriale dismesso. Le proteste e la resistenza delle/degli immigrati li fanno desistere nel portare a termine l’opera.